Immacolata concezione (8 dicembre 2019)

Immacolata concezione (8 dicembre 2019)

Cattedrale di San Zeno

 

L’odierna festa ci pone davanti agli occhi la bellezza straordinaria di Maria SS.ma, la sua immacolatezza, la sua piena libertà dal peccato, la sua totale redenzione operata dalla misericordia del Padre, in virtù della morte e risurrezione del Figlio, per opera dello Spirito Santo.

Pur nella sua eccezionale bellezza e luminosità, non riusciamo a sentire lontana da noi questa madre tenerissima; tante sono le volte che ci è stata vicina nella nostra vita; tante sono le volte che la sentiamo accanto a noi. Conosciamo la sua fatica; sappiamo che il suo si non fu senza conseguenze dolorose. La conosciamo trafitta dalla spada dal dolore; ci sono noti i suoi patimenti e tutto questo ce la fa sentire vicinissima a noi, una di noi, pur contemplandola ammirati nel suo splendore di immacolata sposa, di Regina del mondo e sovrana di ogni bellezza. La sua grandezza non la distacca da noi, perché ella rimane l’umile serva del Signore, col grembiule della povera gente addosso, con la dolcezza di una madre che piange per i figli scapestrati o indifferenti. E lei finisce sempre per prenderci per mano e portaci al Signore. La sua bellezza non le impedisce di prendere le nostre mani sporche di odio e di ribellione per lavarcele alla fonte, proprio come fa appunto una mamma col bambino che si è sporcato.

E la cosa più bella è che questa donna, luminosa sopra le stelle, umile e alta, più che creatura, è qui con noi. Non è fuori da questa chiesa, stasera. E’ con noi e ci accompagna nel divino sacrificio. Fa corona con noi all’altare del Signore e noi siamo confortati dalla sua amorosa presenza. Per lei, ci sentiamo più sicuri nel confuso cammino della vita.

Certo, la sua totale liberazione dal peccato, il suo essere immacolata, ci interroga e ci mette in crisi. Perché noi non lo siamo davvero, immacolati. Non lo siamo come persone; non lo siamo come chiesa. Nonostante la chiara consapevolezza di essere amati infinitamente da Dio e di essere stati da lui salvati dall’abisso del male per essere trasferiti nel regno della sua ammirabile luce, siamo ugualmente consapevoli dei nostri peccati

Allora la festa di oggi è anche occasione per riconoscere la distanza della nostra vita da quello che il Signore si attende da noi. E penso stasera soprattutto alla nostra Chiesa pistoiese; a tutte quante le sue pesantezze; al peccato che l’attraversa; alla pochezza della vita ecclesiale. Non me ne vogliate se dico stasera che non siamo una chiesa immacolata. Santa si, per il suo redentore e perché lo Spirito ancora soffia nelle sue ali. Santa per i suoi gloriosi santi del passato e per quella schiera anonima di santi della porta accanto che ancora oggi abitano la nostra chiesa. Ma nello stesso tempo, dobbiamo in sincerità riconoscere che siamo una chiesa difettosa sotto tanti aspetti. Una chiesa non certo immacolata, ma macchiata per il peccato dei sui membri. Macchiata per le divisioni che ancora ci caratterizzano; per il cinismo che a volte ci prende; per le sordità e le cecità che spesso abbiamo.

Siamo forse un cuor solo e anima sola? Direi ancora troppo poco. A sprazzi qualche volta, ma il più delle volte, ognuno cammina per conto suo. Eppure, con il cammino sinodale che abbiamo intrapreso, vorremmo proprio imparare a camminare insieme, come un popolo radunato nell’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Quanta fatica facciamo ancora a conoscerci e a stimarci, ad accoglierci e a pensare più a ciò che ci unisce che a ciò che ci divide! E poi quanto poco ancora siamo rivolti al Signore come al nostro unico re! Così poco protesi a seguire lui e lui solo. Come invece facciamo presto ad assumere criteri di giudizio, valutazioni, opinioni che sono quelle veicolate dal mondo, riproducendo così all’interno della comunità cristiana quelle stesse dinamiche di potere, di interessi e invidie che nel mondo conducono all’ostilità e alla violenza!

No, non siamo una chiesa immacolata, seppur santa per il dono di grazia! Eppure non possiamo costruirne un’altra di chiese, a nostro piacimento, perché questa non ci piace. La nostra unica casa, la nostra unica e comune dimora, l’unica e sostanziale comunità cristiana è questa: presieduta dal Vescovo in nome del Buon Pastore, servita dai presbiteri e dai diaconi, formata da tutti i battezzati, laici e religiosi; tutti partecipi dello stesso dono e della stessa missione nel mondo.

Riconoscere come chiesa di Pistoia la distanza che ci separa da Colei che è l’immagine della chiesa, non ci deve però scoraggiare. Anche perché lo Spirito lavora. Lavora Instancabilmente. E ha lavorato. In questi 5 anni, da quando sono qua, posso dire di aver visto tante volte lo Spirito del Signore all’opera e questo da speranza e consolazione. La Vergine Santa, proprio lei, che si distanzia da noi per la sua santità, ci invita stasera comunque a rallegrarci, perché il Signore, nella sua misericordia rimane a noi fedele e la testa del serpente antico è definitivamente schiacciata, anche se il serpente può dare ancora colpi con la sua coda.

E allora, voglio concludere una breve considerazione su questo mio primo quinquennio tra voi, carissimi amici e fratelli, ed è una cosa bella, per cui benedico il Signore come ci ha invitato a fare Paolo nella lettera agli Efesini.

Son passati in fretta questi 5 anni. Mi ricordo ancora la magnifica accoglienza che ebbi in questa città, con questo duomo stracolmo di gente. Entrai in diocesi, visitando l’ospedale, il carcere, la mensa della Caritas e la Maic. Fu una giornata memorabile e bellissima per me, tanto che la porto gelosamente nel cuore.

Devo dire che il mio amore per voi, carissimi presbiteri, diaconi e laici tutti, religiose e religiose, non è venuto meno in questi anni. E ne ringrazio davvero il Signore. Direi piuttosto che si è approfondito e radicato. Non sono mancati e non mancano momenti di sofferenza e di fatica… Ma l’amore senza croce non è mai amore, lo sappiamo. Il bene che vi voglio, che voglio a questa chiesa santa e peccatrice allo stesso tempo è grande e più grande di cinque anni fa. Più consapevole e realistico, ma sicuramente più grande e intenso. E con gioia, sento anche il vostro affetto e la vostra vicinanza, tanto importante per me.

Dopo cinque anni, siamo ora qua a tentare un cammino sinodale che è una tappa importante per la nostra chiesa. Un passo che dobbiamo fare insieme, credendo che per una chiesa, è questo il modo di rinnovarsi e rendersi docile all’azione dello Spirito Santo. Una chiesa permanentemente in stato sinodale, che si riunisce per discerne i sentieri nuovi della missione alla quale la spinge il suo Signore, per essere fermento di umanità nuova nel mondo. Questo oggi siamo e vogliamo essere.

Chiediamo allora la potente intercessione della Immacolata, perché riusciamo col suo aiuto a vedere in faccia il male che ci tiene schiavi e che non ci fa mettere a frutto i numerosi talenti che questa chiesa ha. Chiediamo la sua intercessione perché ci porti a Gesù; perché ci aiuti ad innamorarci di Lui e a seguirlo con tutto il cuore per le strade del mondo, portando soprattutto ai più deboli, concreta speranza. A Maria Immacolata chiediamo infine una benedizione speciale per il percorso sinodale che abbiamo appena iniziato.




Ordinazione presbiterale Alessio Bartolini e Eusebiu Farcas (XIII domenica T.O. – 30 giugno 2019)

Ordinazione presbiterale Alessio e Eusebio
(XIII Domenica del tempo Ordinario Anno C)
Cattedrale di San Zeno 30 giugno 2019

Quarantacinque anni fa, come oggi, “cantavo Messa”; così si usava dire una volta. Ero stato ordinato presbitero insieme al compianto Vescovo Mansueto, la sera prima, solennità dei santi Pietro e Paolo, di sabato, esattamente come quest’anno. Anche allora, il 30 di giugno era la XIII domenica del tempo ordinario dell’anno C e le letture della Messa furono esattamente quelle che abbiamo ascoltato poco fa. Non fui io a fare l’omelia e dunque a commentarle; lo fece il mio parroco; però quelle letture le ho scolpite nella memoria.
Oggi sono qui dopo tanti anni, a ringraziare il Signore insieme a voi per il dono ricevuto con il sacramento dell’Ordine. Sono qui stasera, per motivi misteriosi noti solo al Signore e per una sacra potestà che viene solo dallo Spirito, anche per consacrare a mia volta, quale successore degli apostoli, due nuovi presbiteri.
Doppiamente grato al Signore, mi accingo a conferirvi, carissimi Alessio ed Eusebio, il sacramento dell’Ordine nel grado del presbiterato. Lo faccio veramente con tanta gioia, non solo per l’affetto che in questi anni ci ha unito ma anche perché vedo nella vostra Ordinazione, una speciale benedizione del Signore che ci accarezza, nonostante tutte le nostre deficienze, i nostri mali, le sofferenze che a volte ci procuriamo con le nostre stesse mani. Un nuovo prete è come la nascita di un figlio: è segno di speranza; è segno che Dio non ci ha abbandonato ma ci continua ad amare; è slancio per il futuro; è apertura gioiosa alla vita; è conforto alla nostra debolezza e linfa vitale per le nostre povere vite.
Ed io stasera, illuminato dallo Spirito Santo, vedo con occhi di speranza la nostra chiesa; sento di poter aprire il cuore alla fiducia, lodando il Signore per quanto ci dona.

Ci sono momenti, è vero, soprattutto a causa delle nostre piccinerie e chiusure di cuore e di mente, in cui il fiato si fa corto e l’animo rancoroso; in cui le difficoltà ad intendersi e a camminare gioiosamente insieme sembrano insormontabili. A volte ci prende un po’ di stanchezza perché c’è sempre da ricominciare daccapo, da ripartire, da riprovare, da ricucire, con l’aggiunta che a volte sembra persino tempo perso.
Cionostante, io vedo stasera lo Spirito Santo di Dio che lavora instancabilmente in noi e chi ha occhi abituati alla fede, non può non vedere le opere di Dio nella nostra chiesa, nelle nostre parrocchie, nel nostro presbiterio. Con gli occhi illuminati dalla fede e resi penetranti dalla potenza dello Spirito Santo stasera scorgo non solo il germogliare del grano ma anche le messi abbondanti, le spighe pronte per il raccolto e operai che mietono, con generosità, contenti di essere stati chiamati all’opera. Sono un visionario? Non credo.
L’ordinazione di questi nostri due fratelli è un segno evidente di tutto questo; sono un segno anche gli anniversari delle ordinazioni presbiterali e diaconali che stasera ricordiamo; come pure questa bella cattedrale stracolma di gente.
Affidiamoci allora con fiducia e speranza alla parola di Dio e ripercorriamo l’itinerario che le letture di oggi ci propongono. Lasciamoci prendere per mano dal Signore, certi che la sua Parola è lampada ai nostri passi. Ai vostri, carissimi Alessio ed Eusebio; e ai nostri, presbiteri, diaconi, religiosi e laici.

Nella prima lettura prende forma la chiamata di Dio: la chiamata al suo servizio. Eliseo, unto da Elia da cui riceve anche il mantello, si muove per questo. All’origine della sua missione c’è la volontà di Dio. Una chiamata che è anche gesto di attenzione e di amore da parte del Signore. Questa chiamata – carissimi amici – è all’origine non solo della nostra missione ma della nostra stessa vita. Noi siamo chiamati all’esistenza dall’infinito amore di Dio; siamo da Lui chiamati ad essere suoi figli; da lui ancora siamo chiamati a compiere una missione sulla terra; da Lui infine siamo chiamati a partecipare alla sorte dei santi nella luce nel Regno eterno di Dio.
Ricordiamocelo, dunque, fratelli e sorelle! Ricordatelo sempre anche voi, Alessio ed Eusebio. All’origine di noi stessi, di quello che siamo e che siamo chiamati a fare, c’è l’appello del Signore. In questa volontà d’amore sta il fondamento della nostra vita e della nostra missione, come del nostro stesso destino. In essa sappiate sempre rifondarvi ogni giorno.
Quando magari sarete tristi o abbattuti, ripensate con gratitudine che siete stati chiamati dal suo amore. Quando magari vi sentirete stanchi o sconfitti, ricordate che voi esistete e siete preti perché Lui vi ha chiamato. Così pure, quando proverete gioia e felicità, anche allora e forse lì ancora di più, sappiate che tutto è dono Suo e viene da Colui che ha pensato a voi e ha dato a voi le potenzialità per portare frutti di gioia per la bellezza della vostra e altrui vita.

Nella seconda lettura, sempre di chiamata si parla. San Paolo ci fa capire che la nostra è una chiamata alla libertà, ad essere pienamente liberi, ma ci dice altresì che tale libertà non consiste nel fare quello che ci pare e piace, bensì nell’amare. “Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il tuo prossimo come te stesso”.
Ecco si, l’amore; l’amore a misura di Cristo; l’amore che è dono di sè, che ci spinge a metterci al servizio, che ci fa guardare all’altro come ad una manifestazione preziosa di Dio: questo è ciò a cui si è chiamati tutti e a cui è chiamato in particolare il presbitero; per il quale, l’amore per il prossimo include in modo decisivo e prioritario – va sottolineato – il dono del Vangelo che è Gesù con la sua grazia di salvezza significata nei sacramenti.
Carissimi amici; carissimi Alessio ed Eusebio, non abbiate allora mai paura ad amare come il Signore ci ha insegnato: le persone e il popolo a cui sarete inviati; gli altri presbiteri confratelli, il vescovo, l’umanità tutta. Forse non sarà sempre facile. Anche l’apostolo Paolo, nella lettera ai Galati, mette in guardia su ciò che può capitare e cioè che ci si morda e ci si divori a vicenda. Parole grosse, che mettono di fronte a noi tutti un rischio che ben conosciamo. L’ironia beffarda con cui Paolo conclude, mostra l’insensatezza di tali comportamenti e invita a far prevalere almeno un minimo di buon senso: “badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri”. Non ci scandalizzino queste parole di Paolo, anzi, teniamole bene a mente perché il pericolo è sempre in agguato. Perciò, carissimi Alessio e Eusebio, sappiate rinnovare ogni giorno il vostro sincero impegno per creare comunione, partecipazione, incontro, condivisione; tentando di riannodare continuamente quei legami di amore che il Signore è venuto a stabilire e che noi spesso spezziamo. Siate lampade luminose d’amore; chiunque vi incontra, trovi un cuore aperto che si fa casa accogliente; e sappiate anche andare a cercare chi la casa non ce l’ha mai avuta o non ce l’ha più e ha bisogno di quella del vostro cuore, abitato da Cristo.

Le parole di Gesù nel Vangelo di Luca ci invitano alla missione, all’annuncio del Regno. È la chiamata che tutti ci coinvolge ma che stasera in modo speciale per voi si rinnova, carissimi Alessio e Eusebio.
Vorrei però soffermarmi un attimo soltanto sulla conclusione del brano evangelico, laddove Gesù dice che nessuno che metta mano all’aratro e poi si volti indietro, è adatto per il regno di Dio. Qui si afferma una cosa: che nel rispondere all’amore del Signore non ci devono essere rimpianti per ciò che si è lasciato, per le rinunce che il servizio del Regno richiede, per le “cipolle d’Egitto”, come dicono gli israeliti nel deserto. Bisogna invece andare avanti, a testa bassa, con ostinazione, a denti stretti, tesi alla meta; i ripensamenti possono essere buoni solo se sono il riconoscimento dei propri peccati per aprirsi alla grazia di Cristo. Non ci si può voltare indietro, se non per fare memoria della misericordia di Dio e ricordare le meraviglie che Egli ha operato in noi. Altrimenti no, occorre guardare avanti, con tenacia, rinnovando ogni giorno il santo proposito. La vita passa presto e il tempo dei ripensamenti è tempo perso; tempo tolto a Dio e ai fratelli.

Carissimi Alessio ed Eusebio, fate dunque attenzione a che non si insinui dentro di voi, come tentazione sottile, il rimpianto per ciò che avreste potuto essere o per ciò che avete lasciato. Reagite prontamente, perché il momento del volgersi indietro, come nostalgia o fantasia, qualche volta può capitare e può dar luogo a forme di compensazione che affogano la vita del prete e a volte la rendono persino ridicola. E può capitare anche sotto una curiosa forma: quella del rimpianto di ciò che è stato un tempo, di quel che era nel passato. Il passato è estremamente prezioso e là ci sono le nostre radici, senza le quali non ci sarebbe né presente né futuro. Le nostalgie sono però fuori luogo. Siate piuttosto amanti del tempo presente, pur con tutte le sue contraddizioni; capaci senz’altro di notarle e di rilevarle, richiamando gli uomini a riflettere e a convertirsi. Amate però il presente, il vostro tempo, quello di oggi e quello che vi sarà dato da vivere domani; con le sue sfide, le sue problematicità e anche le sue risorse. Sappiate guardare avanti con fiducia, nonostante tutto. Anche se dovesse crollare il mondo e capitassero le peggiori cose, siate sempre animati dalla speranza e dalla ferma convinzione che il Signore è fedele e che il suo amore è per sempre.

Si, il Signore è davvero fedele per sempre. E noi stasera, con gratitudine lo sperimentiamo. A Lui ogni onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen




Chiesa di San Bartolomeo in Pantano – Festa di San Bartolomeo (24 agosto 2018)

SAN BARTOLOMEO
24 agosto 2018

Oggi è un giorno speciale per la nostra città. È la festa di San Bartolomeo. Legata ai ricordi dell’infanzia, è l’occasione per far festa con i bambini, portandoli ad ungere, secondo la tradizione. È la festa con la quale riprende anche la vita della città e il quartiere si colora di allegria, mentre questa antica e bellissima austera chiesa accoglie una moltitudine di persone che vengono a ricevere una benedizione, accostarsi alla confessione, nutrirsi del pane di Cristo o anche solo a sostare un momento nel cammino della vita. Questo edificio di pietra, metafora di quello che è la chiesa di sempre, accoglie tutti quelli che vogliono entrare, senza discriminazioni di sorta, buoni o cattivi, belli o brutti, neri, bianchi, gialli o rossi: chiede solo rispetto per la santità del luogo e per il mistero che vi si celebra.

Potremmo togliere di mezzo questa festa, svilirla, ritenendola un retaggio di un passato ormai morto, rievocata soltanto dal punto di vista folkloristico? Credo proprio di no. Questa festa parla di Pistoia e delle sue radici cristiane ancora vive; parla ancora oggi del bisogno che ogni uomo ha di Dio; come parla a noi del bene prezioso dei bambini che sono in mezzo a noi e che anzi dovrebbero essere molti di più. Questo giorno ci racconta anche della festa, ci parla di tranquillità, di pace, di fraternità, di amicizia e di gioia, tutte cose di cui abbiamo estremo bisogno e di cui sentiamo oggi più che mai il bisogno, quando si alzano mura e steccati addirittura di odio, ci si prende ogni giorno di più a male parole, ci si offende, ci si insulta, si mostrano i muscoli e ci si divide ferocemente come se fossimo già in una guerra civile o di nuovo, dentro cupi anni di piombo.

E allora, carissimi fratelli e amici, cerchiamo di vivere al meglio questa festa, di godercela, cercando davvero di rinverdire la nostra fede cristiana, riscoprire la bellezza dell’amore verso il prossimo, ridare slancio al nostro impegno di costruttori di pace, offrendo così un buon futuro ai nostri figli.

Ma noi, ci crediamo in Gesù Cristo, carissimi fratelli e sorelle? Non vi sembri scontata questa domanda e soprattutto la risposta: che diamine che ci crediamo, altrimenti non saremmo qui, mi potreste dire. Eppure io credo che la domanda non sia affatto fuori luogo. Abbiamo sentito il Vangelo; lì Natanaele, cioè Bartolomeo, dall’iniziale scetticismo passa all’adesione entusiasta: «Signore, tu sei il figlio di Dio, tu sei il re d’Israele». Ma noi, crediamo nel Signore Gesù? Chi è Lui per noi, per me? Possiamo davvero dire a Lui, come disse Bartolomeo: «Tu sei il Figlio di Dio, tu sei il mio re?»

Chi seguiamo, nella nostra vita? a chi diamo fiducia? Chi è il nostro punto di riferimento essenziale? Domande che già ponevo a me stesso, a voi e alla città nel giorno della festa di San Jacopo e che ripongo oggi, sempre nella festa di un apostolo.

Perché la fede nel Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, non la possiamo dare per scontata. No. La fede in Gesù Cristo non è semplicemente un dato culturale; un riferimento di tipo sociologico o un semplice “credere in qualcosa”. Questa fede non posso darla per scontata nella mia vita, anche se son vescovo; non la possono dare per scontata nemmeno i sacerdoti, a volte dimentichi e in alcuni terribili casi addirittura traditori, del principale loro compito che è come quello di Filippo, narrato nel vangelo di oggi: portare le persone a Cristo.

La fede cristiana, lo dicevo già il 25 di luglio e oggi qui lo ripeto, si esprime nel credo che ogni domenica professiamo e che forse conosciamo davvero poco; si concretizza nell’osservanza dei comandamenti del Signore che sono espressione dell’amore vero e che forse ci siamo un po’ scordati; la fede si vive nella chiesa e con la chiesa fondata sugli apostoli; e ciò vuol dire in comunità con gli altri fratelli e sorelle; la si annuncia infine a tutti come il tesoro più prezioso del quale nessuno può essere privato.

Prima di tutto però la fede è rapporto vivo con Cristo; relazione di fiducia e di amore con Lui, ascolto della sua parola e comunione di grazia con Lui; è essere perdonati da lui e quindi un esser liberati da Lui per vivere con Lui, in Lui e per Lui, come preghiamo ogni volta che andiamo a Messa.

Questa fede cristiana è aperta al dialogo con tutti, credenti e non credenti; non ha paura di confrontarsi con nessuno; anzi, tende la mano ad ogni creatura, qualunque sia il suo credo, la sua cultura, la sua lingua o le sue usanze. Aperto al dialogo verso tutti, pieno di amore e di disponibilità nei confronti di chiunque che rimane sempre immagine di Dio e dunque fratello, il cristiano sa però che la sua fede è originale rispetto a quella di qualsiasi altra religione e che ha ragioni da mostrare anche al non credente.

Carissimi fratelli e sorelle, in questo mondo globalizzato che ci vorrebbe soltanto consumatori di un grande e unico super mercato; in questo mondo che, come ha detto Papa Francesco è «soggetto alla globalizzazione del paradigma tecnocratico, che mira consapevolmente a un’uniformità unidimensionale e cerca di eliminare tutte le differenze e le tradizioni, senza rispetto per la peculiarità e ricchezza di ogni persona e di ogni popolo»; che vorrebbe unificarci rendendoci però ingranaggi di un unico sistema amministrato da burocrazie e da una finanza mondiale che favorisce solo la ricchezza di pochi, noi affermiamo la dissonanza della fede cristiana, l’eccedenza di questa fede e della visione d’uomo che essa comporta, il valore della differenza e il valore delle tradizioni e dei singoli popoli. Convinti che questo non impedisca la convivenza pacifica tra le genti ma anzi la renda possibile, perché nel dialogo e nel confronto libero e rispettoso si superano le paure e si mantiene viva la strada per la ricerca della verità, anelito che non si può cancellare dal cuore dell’uomo.

In questa fede umile e forte noi, carissimi amici, vogliamo radicarci sempre di più, anche se è esigente, ci chiede coerenza di vita e non si accontenta di parole o di segni di facciata. In questa fede e con questa fede vera, vorremmo che crescessero i nostri figli, assaporando la bellezza di una vita vissuta col Signore nell’amore generoso e magnanimo verso il prossimo. Con questa fede vogliamo costruire una società buona, accogliente, giusta e fraterna. È difficile, in specie coi tempi che corrono, ma non ci arrendiamo. Lo dobbiamo a Dio e ai nostri figli.

San Bartolomeo, apostolo di Cristo che per Cristo ha dato letteralmente la pelle, interceda per noi e ci aiuti ad essere gioiosi cristiani autentici, e soprattutto aiuti ad esserlo i nostri bambini.

+ Fausto Tardelli