Chiusura del Sinodo diocesano (29 giugno 2024)

Chiusura del Sinodo diocesano (29 giugno 2024)

Cattedrale di San Zeno, Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo

 

Le domande dirette e incalzanti di Gesù a Pietro mi hanno sempre colpito molto, anche cinquant’anni fa, quando, giovanissimo, ricevetti l’Ordinazione sacerdotale nella Cattedrale di Lucca. Mi sono sempre risuonate nella mente e nel cuore e ho sempre visto davanti a me il volto del salvatore che coi suoi occhi penetranti, mentre mi domandava se lo amassi per davvero, mi scrutava con infinito amore fino nei più reconditi recessi dell’anima mia.

E ogni volta, oggi come allora, mi sento come si poteva sentire Pietro: disarmato, nudo davanti al Signore, povero, consapevole del suo limite, eppure sinceramente innamorato di Cristo. Velleitario in questo amore, perché per essere autentico ogni amore deve misurarsi con i fatti concreti; al tempo stesso però, paradossalmente, sincero: Tu sai tutto Signore! Tu sai come stanno veramente le cose! Tu sai che, nonostante tutto, in fondo all’anima, ho cercato di volerti bene cercando anche di aiutare gli altri a conoscerti e a volerti bene.

Quelle domande vorrei che il Signore continuasse a rivolgermele tutti i giorni della mia vita. Gli chiedo la grazia di ripetermele sempre senza stancarsi, perché sostengono la mia vita, soprattutto ora che il più di essa è passato e l’orizzonte si avvicina: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?”; Simone, figlio di Giovanni, mi ami?”; Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?” Si, Signore Gesù, abbi pazienza con me; continua a chiedermi se davvero ti amo.

Quello che mi ha sempre colpito è stato anche la conclusione ogni volta del Signore: “Pasci i miei agnelli”; “Pascola le mie pecore”; “Pasci le mie pecore”. In questa ripetuta conclusione di Gesù c’è la mia vocazione, tutta la mia vita, il senso di questa mia vita, spesa, pur con tutte le mie deficienze, a servire gli agnelli e le pecorelle del Signore. In tanti luoghi, attraverso tanti incarichi, fino all’ultimo, il più recente che mi ha consegnato in vecchiaia come a Zaccaria nuovi figli da amare e servire.

Per questo rendo grazie al Signore per il dono che mi ha fatto, per avermi chiamato al suo seguito, per avermi chiamato nel gruppo degli apostoli ed avermi affidato, pur ben conoscendo Lui la mia poca affidabilità, il suo preziosissimo gregge, per il quale Egli non ha esitato a versare tutto il suo sangue.
Stasera però siamo qui anche e soprattutto perché si è concluso davvero felicemente il nostro sinodo diocesano che ci ha visti impegnati nell’ascolto attento dello Spirito Santo, in modalità diverse, per ben due anni. I gruppi sinodali, i circoli minori, le assemblee sinodali, sono stati momenti intensi di ascolto e di confronto. Lo Spirito Santo ci ha guidato con mano paziente in questi stentati passi di sinodalità; ci ha preso per mano come bambini che imparano piano piano a camminare. E noi ci siamo lasciati guidare e ora possiamo dire davvero che quello che abbiamo detto e scritto è opera nostra e dello Spirito Santo in sinergia.

Nel primo anno, nella prima sessione sinodale, abbiamo cercato di capire quali fossero le principali sfide da affrontare come popolo di Dio inviato a testimoniare l’amore del Signore. Abbiamo cercato di cogliere le attese e le speranze, ma anche le angosce e le problematicità di noi e della nostra gente, dei nostri territori. Ne abbiamo individuate alcune che sono contenute nella prima parte del libro sinodale già promulgato lo scorso 25 luglio. Nel secondo anno, nella seconda sessione sinodale da poco conclusa, abbiamo invece cercato di trovare risposte alle attese individuate, indicando prospettive di impegno, di riforma della nostra chiesa, di conversione e di rinnovato lancio missionario. Stasera tutto questo lavoro mi viene consegnato perché lo prenda in attenta considerazione e quindi lo promulghi con l’autorità che è propria del servizio episcopale. L’intero libro sinodale sarà quindi consegnato alla Diocesi e a tutti nella prossima festa solenne di San Jacopo. Da lì partirà comunque una nuova fase del cammino diocesano, non meno importante e impegnativa di quella che si è appena conclusa: continuare l’impegno per acquisire stabilmente uno stile sinodale in tutte le articolazioni della nostra Chiesa; si aprirà quindi il tempo della ricezione dei dettati sinodali e della loro applicazione per il rinnovamento del volto e della vita della chiesa diocesana perché sia davvero lievito di speranza e di amore nella nostra società.

Mi sento davvero di rendere grazie al Signore per questo sinodo che abbiamo celebrato dopo ben 87 anni dall’ultimo. Ringrazio insieme al Signore tutti i sinodali che hanno dato prova di grande senso ecclesiale e hanno testimoniato l’unità bella e articolata della Chiesa diocesana. Ringrazio sentitamente tutti quelli – e sono tanti – che hanno lavorato e collaborato ad ogni livello per la buona riuscita del Sinodo, a partire dalla Commissione centrale guidata in modo esemplare dal Vicario e Segretario generale del Sinodo, don Cristiano.

Io scorgo nel cammino sinodale voluto da Papa Francesco per tutta la chiesa universale e per le chiese che sono in Italia e in modo particolare proprio nel nostro sinodo, una grande profezia, un grande segno di speranza per il mondo. Mentre nel mondo si fanno le guerre e nelle società ci si contrappone sempre di più in modo violento, la chiesa invece si raduna insieme, i suoi membri pur diversissimi e di orientamenti personali diversissimi, si confrontano mettendosi in ascolto umile della voce dello Spirito. La chiesa cerca cammini di comunione e di fraternità In questo senso va nettamente contro corrente, mostrandosi qual essa è: “Segno cioè e strumento dell’unità di tutto il genere umano”.

Non vogliamo però stasera fermarci quasi a farci i complimenti. Lungi da noi questo pensiero e questo comportamento. Ciò che è avvenuto è opera miracolosa dello Spirito Santo. A noi tutti, non solo a me, questa sera, sono rivolte invece le domande che il Signore pose a Pietro. Alla fine poi, quello che conta è rispondere a Lui: “Mi ami tu, chiesa di Pistoia?” “Mi vuoi bene per davvero?” Mi ami sul serio, chiesa di Pistoia, con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, in tutte le tue componenti?” Ecco le domande a cui non possiamo sottrarci. Tutto bello, tutto bene ma, al dunque, la questione è questa: “mi ami, tu, chiesa di Pistoia”.

E come a Pietro e a me, anche alla nostra Chiesa diocesana, il Signore chiede di dimostrare l’amore per lui, prendendoci cura degli agnelli e delle pecorelle del Signore. Ci chiede di essere una chiesa aperta, in mezzo alle fatiche e le sofferenze degli uomini e delle donne dei nostri territori. Chiesa in uscita per incontrare tutti e testimoniare a tutti l’amore del Signore.

Qui ci viene incontro il racconto degli atti degli apostoli nella prima lettura della Messa di stasera. Davanti a Pietro c’è un povero, c’è una persona che soffre. Pietro non ha niente da offrire. Ha solo il suo amore e la potenza dell’amore di Cristo. Prende per mano il povero e lo solleva nel nome di Cristo. Un gesto ricco solo della potenza delle fede e dell’amore per Cristo. E’ quello che è chiesto anche alla nostra chiesa. Di questa attenzione piena di amore verso chi soffre, di queste mani tese a rialzare, di questa fede grande nel Signore Gesù, deve essere fatta la vita delle nostre comunità e la loro testimonianza.

Al tempo stesso però, come ci insegna Paolo nella seconda lettura di oggi, non possiamo e dobbiamo dimenticare che il nostro ritrovato e rinnovato compito dell’annuncio, chiede fedeltà alla verità del Vangelo che non è nostro. Per cui non possiamo mai farci prendere dalla paura del mondo e di andare anche contro corrente. Non possiamo essere come banderuole che si adattano ad ogni corrente, prendendo dal mondo idee, concezioni di vita e comportamenti che niente hanno a che fare col vangelo di Gesù. Siamo chiamati piuttosto come chiesa ad essere fedeli al mandato apostolico, annunziando con coraggio e amore Gesù via, verità e vita. Dobbiamo poter dire con San paolo: “Il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti, io non l’ho ricevuto né l’ho imparato dagli uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo”.

Concludo invocando la protezione celeste dei santi festeggiati oggi, davvero campioni della fede. Ad essi aggiungo anche il nostro San Jacopo che di essi è stato compagno fraterno, accumunato ad essi nella sequela di Cristo e nel martirio. San Pietro, San Paolo, San Jacopo pregate per noi ed aiutateci ad essere dei veri apostoli come lo siete stati voi e proteggete questa nostra terra e i suoi abitanti perché si sviluppi nella giustizia e nella pace.