III° Domenica di Pasqua (Cattedrale di San Zeno Pistoia, 23 aprile 2023)
Diaconato Andrea Torrigiani
La terza domenica di Pasqua con le sue letture bibliche ci accompagna nel cammino in compagnia del Risorto e ci permette di continuare ad assaporare la gioia luminosa della Risurrezione di Cristo. La festa si contorna quest’oggi di circostanze che ne fanno apparire ancora di più la bellezza: il fatto del Sinodo diocesano che stiamo celebrando e l’Ordinazione di Andrea al diaconato.
Quanto al nostro sinodo, mi fa oltremodo piacere leggervi il saluto benedicente che il Santo Padre in persona ci ha voluto inviare, incoraggiandoci a proseguire nel cammino intrapreso… (lettura della lettera). Con la benedizione del Santo Padre, nei prossimi giorni entreremo nel vivo dei lavori sinodali. Con l’Eucaristia di stasera rendiamo grazie a Dio per il dono del suo Spirito e insieme invochiamo ancora con grande fiducia l’assistenza di questo Santo Spirito.
Quanto al diaconato che verrà conferito a un figlio della nostra chiesa, non possiamo che raddoppiare la nostra gratitudine al Signore per il dono che ci fa. E proprio sul diaconato vorrei fare una prima riflessione.
Diacono vuol dire servitore. Domandiamoci però quale sia il servizio a cui il diacono è chiamato, tanto da essere segno di quello a cui è chiamata tutta la chiesa. Mi pare necessario precisarlo perché a volte, di questo servizio, si danno interpretazioni che rischiano di perdere di vista il significato vero del ministero a cui il diacono e l’intera chiesa è chiamata.
Dovrebbe dunque essere chiara una cosa: il servizio a cui il diacono è chiamato è sempre ed unicamente a Cristo Signore: a Lui che nasce e che cresce, a lui che predica e compie i miracoli, a lui che muore sulla croce, è deposto in un sepolcro e risorge vittorioso dalla morte. Significa aiutarlo a portare la sua croce, raccoglierlo esanime tra le braccia, deporlo amorevolmente nel sepolcro per annunciarlo risorto, predisponendo la mensa su cui Egli si dona come pane della vita.
Servire Cristo Signore però – qui sta il punto – è sempre anche servire con amore tutto il suo corpo di cui Egli è il capo, quel corpo fatto di membra concretissime e diverse. Non c’è mai dicotomia nel servizio del vangelo: si è chiamati a servire sempre e innanzitutto Cristo ma lo si fa concretamente servendo anche le pecorelle del Signore, soprattutto direi quelle che non appartengono al gregge o che si sono ferite, smarrite o perdute.
La celebrazione eucaristica è esattamente il momento in cui il mistero di Cristo e del suo corpo si rende evidente, si vive e se ne è sempre più partecipi: servendo al mistero eucaristico, il diacono serve Cristo Signore e, proprio per questo, nello stesso tempo si pone al servizio di quel corpo che Dio ha costituito come suo popolo. Non ci può dunque mai essere dicotomia tra celebrazione e vita: la celebrazione liturgica significa, alimenta e impegna la vita mentre la vita si feconda nella celebrazione liturgica del mistero pasquale.
La prima lettura di stasera che ci propone l’annuncio fatto da Pietro di Cristo Salvatore, l’annuncio cioè della salvezza in Cristo, è l’esempio di questo servizio apostolico del diacono e della Chiesa tutta. Ci fa capire che se servire il prossimo vuol dire si, come ha fatto Gesù, guarire i malati, sanare gli storpi e i lebbrosi, ridare la vista ai ciechi o dar da mangiare a chi ha fame, esso vuol dire anche annunciare Gesù Cristo morto e risorto come unico salvatore del mondo e annunciare in Lui la remissione di ogni peccato. Sempre con la chiara coscienza, come lo stesso Pietro ci dice nella sua lettera da cui è tratta la seconda lettura della Messa odierna, di essere dei salvati, gente a cui è stata usata misericordia e che quindi non può accampare diritti perchè tutto nella sua vita è grazia: “voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia”.
Lo stupendo brano evangelico ci richiama infine esso stesso al compito della chiesa nel mondo. Vi vedo adombrato anche quello del diacono. Questi, infatti, immagine di Cristo servo, è chiamato ad accompagnare gli uomini e le donne delusi e amareggiati, sconfortati dall’infrangersi sulla durezza della vita dei sogni di bene portati nel cuore, persone smarrite similmente ai discepoli di Emmaus. Come il divino maestro, il diacono è chiamato a farsi compagno di strada delle persone e a rincuorarle con l’annuncio della parola e la luce del vangelo, da offrirsi non dall’alto di un piedistallo di superiorità clericale ma in una fraterna compagnia che susciti alla fine in chi viene accompagnato, il desiderio di ascoltare ancora e di conoscere qualcosa di più sul destino della propria vita. Chiamato a far ardere il cuore di coloro a cui si accompagna, il diacono diviene segno dell’opera stessa della chiesa, chiamata appunto a farsi compagna di strada delle varie generazioni che si susseguono nel tempo, suscitando una commozione nel cuore che lo faccia ardere di speranza e aprire all’incontro con il Signore crocifisso e risorto.
C’è però una regola in tutto questo: che per primo cioè il diacono, come ogni cristiano, si sia fatto accompagnare lui stesso e si faccia accompagnare ogni giorno lui stesso dal Maestro che istruisce sul senso della vita, comunica il suo amore senza limiti e spezza il pane per lui. Solo da questo continuo camminare insieme a Gesù, la Chiesa trova la forza di essere annunciatrice della buona notizia del Regno di Dio e di servire ogni uomo e donna, specie i più poveri, nel nome del Signore. Solo da questa assidua frequentazione del divino e misterioso viandante, per cui ogni giorno il cuore arde nel petto, il diacono come ogni cristiano, potrà adempiere in modo autentico la propria missione a lode e gloria di Dio.
È questo che auguro con tutto il cuore a te stasera, carissimo Andrea e che auguro all’intera nostra chiesa pistoiese in sinodo.