III° venerdì di quaresima 21 marzo
Seconda Stazione Quaresimale (Chiesa di Santa Maria Liberata – Chiesa di San Bartolomeo Apostolo)
“Il fratello ingombrante”
La storia di Giuseppe venduto dai fratelli è tristemente attuale, sempre attuale direi, nella storia del mondo. Dal tempo di Caino e Abele, il fratricidio o il rifiuto del fratello segna le vicende umane; le tinge drammaticamente di sangue. Sarà anche per questo, per indicare una via diversa possibile che Gesù, tra i suoi apostoli volle ben due coppie di fratelli? Forse, chissà.
Comunque è così: la cronaca del mondo è piena di fratelli che odiano i fratelli. E il motivo? Ascoltiamo il testo della genesi: «Israele amava Giuseppe più di tutti suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica con maniche larghe. I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non riuscivano a parlargli amichevolmente». Il motivo dunque è evidente: l’invidia. E’ sempre così. E’ l’invidia che fa maturare l’odio e pone le basi anche dell’uccisione. Anche se non sempre arriva a quel punto, come si vede nel racconto che abbiamo ascoltato, dove Giuda mostra un qualche sentimento e convince gli altri a non uccidere Giuseppe ma a venderlo, senza che questo non sia ugualmente grave.
Ebbene si, l’invidia. Ci sembra a volte che non sia niente, o sia cosa di poco conto; la declassiamo facilmente a semplice immaturità psicologica e tendiamo a sminuirla o a non riconoscerla in noi. Difficilmente si ammette di essere invidiosi. L’invidia invece è un grande peccato e un vizio capitale. Essa (Dice il Catechismo della chiesa cattolica 2539 – 2540) «Consiste nella tristezza che si prova davanti ai beni altrui e nel desiderio smodato di appropriarsene, anche indebitamente». Quando arriva a volere un grave male per il prossimo, l’invidia diventa peccato mortale: Sant’Agostino vede nell’invidia «il peccato diabolico per eccellenza». e San Gregorio Magno dice che «dall’invidia nascono l’odio, la maldicenza, la calunnia, la gioia causata dalla sventura del prossimo e il dispiacere causato dalla sua fortuna».
E perché si è invidiosi? E’ semplice: perché si pensa di non essere amati a sufficienza, come ci meritiamo o vorremmo. Soprattutto perché cediamo al cattivo pensiero che il bene che hanno gli altri, tolga qualcosa a noi. Come sempre, la causa è il nostro io presuntuoso e superbo che vorrebbe tutto per sé e non tollera di non essere considerato il più bravo, il più grande, il più meritevole di tutti.
Ma colui che è oggetto di invidia che fa? Di solito, o gode di questo e trova compiacimento nel veder soffrire gli altri e si diverte mettendoli sotto i piedi, oppure, al contrario, si riempie di rabbia e di risentimento, meditando vendetta, perché attribuisce all’invidia altrui il suo insuccesso, il non aver potuto raggiungere gli obiettivi che si era prefissato. E quando si fa così in questo modo, ancora si pecca, in quanto è sempre l’io, il nostro io a voler prevalere. La storia di Giuseppe invece ci racconta un’altra storia, con un altro finale. Giuseppe, quasi ucciso e venduto dai fratelli, sarà proprio lui che salverà i fratelli nel tempo della carestia e li riabbraccerà pieno di amore.
Come non vedere allora in Giuseppe, la figura di Nostro Signore di cui ci parla il Vangelo, pietra angolare nonostante sia stata scartata dai costruttori? E’ Lui, Gesù, ad essere stato venduto da noi e ucciso sulla croce. I contadini di cui parla la parabola evangelica sono mossi dall’invidia come i fratelli di Giuseppe, è evidente. Invidia nei confronti del padrone della vigna. Sono invidiosi della ricchezza del padrone per cui non vogliono dargli il suo. Bastonano i servi, uccidono il figlio, pensando addirittura – scioccamente – come sempre è sciocco l’invidioso – di prendere l’eredità del figlio. In quei contadini siamo rappresentati tutti noi, l’umanità intera, dalle origini fino ai nostri giorni; l’uomo infatti, sembra assurdo, ma eppure è invidioso di Dio, della sua potenza, delle sue prerogative e vuole strappargli dalle mani questo potere; vuole diventare Dio, prendere il suo posto, senza rendersi conto che Dio in realtà tutto dono all’uomo, anche la sua natura divina e che quindi non c’è bisogno di strappargli niente, perché tutto si riceve, quando si è vuoti di se stessi e si è pronti a ricevere Dio come un dono. L’uomo invece spesso si fa attrarre dal maligno che è tale proprio perché roso dall’invidia nei confronti di Dio e dell’uomo amato da Dio.
Ma quando l’ uomo si lascia prendere da questa invidia sulla scia del maligno e vuole rubare il posto a Dio, bramando il suo potere e la sua gloria, inevitabilmente e immediatamente si trasforma in un carnefice dell’altro uomo. Credendosi Dio, vuole essere riconosciuto come tale da tutti gli altri esseri viventi ed è perciò spinto a dominarli, a schiacciarli, ad asservirli a sé, e quando questi in qualche modo si ribellano o si sottraggono o anche solo tentano di sottrarsi, ecco che debbono essere distrutti, annientati.
Così, carissimi fratelli e sorelle si spiegano i grandi genocidi della storia, le ideologie che hanno fatto milioni di morti, ma anche ogni manipolazione arbitraria della natura umana, i femminicidi che riempiono le cronache e ogni violenza nei confronti di chi è diverso. La mala pianta però alberga dentro di noi, dobbiamo riconoscerlo: i fatti ricordati non si sarebbero potuti verificare e non si potrebbero verificare se la mala pianta dell’invidia non fosse nel cuore anche di ciascuno di noi.
L’opera nefasta del maligno però e anche tutta la nostra invidia non riusciranno mai a sconfiggere Cristo e a distruggere l’opera di Dio. Anche se come Giuseppe, Gesù è stato considerato e ancora molti lo considerano un fratello “ingombrante”, del male che si è scaricato e che si scarica su di Lui, ne fa motivo di vittoria e quindi di speranza per l’umanità. Egli è il Risorto, nostro Salvatore ed è una meraviglia ai nostri occhi. Accorriamo dunque a Lui con fiducia in questo tempo quaresimale; chiediamogli che ci cambi il cuore e che al posto della invidia distruttrice, mettano radici la benevolenza, la gratitudine e la carità sincera. Chiediamo che Dio ci faccia sentire così forte il suo amore, così intensamente, così pienamente da liberarci dalla schiavitù dell’invidia.
+ Fausto Tardelli