Inaugurazione anno pastorale 2024/2025

Inaugurazione anno pastorale 2024/2025

Cattedrale di San Zeno – Pistoia (19 ottobre 2024)

 

Cinquanta anni fa iniziava un’impresa missionaria che per la prima volta vedeva impegnata direttamente la diocesi nel suo complesso. Nasceva la “Missão Pistoia” non come opera di privati ma come testimonianza missionaria di tutta la chiesa pistoiese. Alcuni sacerdoti si mettevano a disposizione di questa avventura evangelica, insieme a dei laici. Partivano per Manaus, in Amazzonia, in Brasile.

Me la ricordo bene quella stagione che interessò molte diocesi italiane. Il 1974 fu proprio l’anno della mia ordinazione sacerdotale, cinquant’anni fa, e anche dalla mia diocesi di origine, Lucca, partirono amici sacerdoti e laici per qualcosa che allora ci affascinava e ci faceva sentire davvero a servizio del Vangelo. Da Lucca come da Pistoia partivano non in cerca di onori o di primi posti – per riprendere il brano evangelico che abbiamo ascoltato ora – ma per mettersi a servizio di chiese sorelle che avevano bisogno; a servizio di popoli che attendevano la vicinanza di fratelli e sorelle disposti a bere il calice del Signore, fatto di fatica, di impegno e di tanto amore, anche a rischio della vita.

Questi uomini e queste donne hanno dato una bella testimonianza di Vangelo che è giusto davvero ricordare e per la quale rendere grazie al Signore, come facciamo stasera in un contesto che è particolarmente significativo: l’Eucaristia di inizio dell’anno pastorale, con la benedizione e il mandato ai catechisti e ai vari operatori pastorali.
Da allora, di acqua sotto i ponti ne è passata e tante cose sono cambiate nel mondo. Quella stagione missionaria si è conclusa col ritorno a Pistoia di don Umberto e poi di Nadia. Ma il seme gettato è stato importante e le testimonianze che abbiamo ascoltato all’inizio della celebrazione ce ne hanno fatto vedere la fioritura.

Considero una fioritura di quella stagione anche il fatto che in questi 50 anni, proprio da alcuni paesi che allora si consideravano “terre di missione”, hanno cominciato a venire per mettersi a servizio tra noi diversi sacerdoti “fidei donum”, missionari essi stessi in mezzo a noi, il cui apporto e contributo è importante per la nostra chiesa; si tratta di un dono penso ancora da apprezzare pienamente.

E poi, seppure una stagione è finita, la lezione che ci viene dall’esperienza della Missão Pistoia resta e deve restare come qualcosa di fecondo anche per noi oggi. Per la nostra Chiesa che ha concluso ora il suo ventesimo Sinodo e che è spinta dallo Spirito santo ad acquisire sempre di più uno stile sinodale per una missione e una testimonianza che oggi sappiamo essere fondamentale proprio qui, nelle nostre contrade, con le nuove generazione, in mezzo alla gente confusa ed incerta che ha perso il senso della vita o che ripone nel denaro lo scopo dell’esistenza.

La dimensione missionaria è fondamentale per la chiesa di oggi e di sempre, perché la chiesa esiste per la missione: così l’ha voluta il suo Signore. Essa non può non caratterizzare tutta la vita della chiesa e le concrete nostre parrocchie, ed è per questo che, dietro l’impulso di Papa Francesco, si parla della necessità di una conversione missionaria.

Così anche voi catechisti, come pure tutti gli operatori pastorali o partecipi, comunque, della vita delle parrocchie, vi dovete sentire dei missionari, missionari della misericordia del Signore, corresponsabili tutti, sinodalmente, insieme ai sacerdoti, ai diaconi e al vescovo, della missione, dell’annuncio del Vangelo, di quel servizio di cui Cristo ci ha dato l’esempio, lui che è non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti.

Colgo questa occasione, intanto, per dire a tutti voi un grazie sincero a nome del Signore stesso, per il vostro impegno e la vostra sensibilità. Siete parte viva della Chiesa pistoiese e collaboratori del Signore proprio nel servizio. Attitudine, questa, che deve caratterizzare ogni ministero e carisma nella Chiesa.

Anche la prima lettura ci richiama al servizio. Quello del servo di Dio che per giustificare la moltitudine, accetta l’umiliazione di addossarsi le iniquità degli uomini, offre se stesso in sacrificio, prostrato nel dolore.
Una lontana profezia di Cristo, questa di Isaia, che la lettera agli ebrei svela riconoscendo in Gesù il sommo sacerdote che ha condiviso la nostra vita come l’ultimo degli uomini; che con il suo amore ha preso parte alle nostre debolezze ed è stato messo alla prova in ogni cosa come noi.
Discepoli di questo Figlio di Dio, davanti a noi non abbiamo altra scelta che quella di essere servi per amore, donando la nostra vita disinteressatamente per gli altri e l’avvento del Regno di Dio.

Cos’è allora l’anno pastorale se non il cammino di discepoli che nel tempo imparano a seguire il loro maestro sempre di più sulla strada dell’amore vero, del servizio autentico, della generosa e gratuita dedizione? Guai, se considerassimo l’anno pastorale come una serie di attività, al modo di un’azienda che mette in atto opere per aumentare il fatturato e il guadagno, o se pensassimo a tutti i nostri impegni come ad un’opera della nostra volontà, alla fine inevitabilmente sterile, come ad un insieme di cose da fare per passare il tempo e produrre una qualche agitazione nella nostra città e nei paesi.

L’anno pastorale è invece, lo ripeto, il cammino di discepoli innamorati di Cristo che imparano a seguirlo sulla via del servizio, per raggiungere ogni uomo e donna e invitarli al banchetto delle nozze dell’Agnello. Significativamente, il motto della giornata missionaria che si celebra stasera e domani è: «Andate e invitate al banchetto tutti». Sì. L’anno pastorale e ogni attività pastorale, come ogni carisma, ogni servizio, ogni impegno nella parrocchia, deve avere come fine questo: imparare ad essere come il Signore servi che invitano tutti al banchetto della gioia, dell’amore vero, della fraternità, della pace, della vita eterna.

Mi permetto di insistere sul servizio perché è la cifra del nostro impegno nella chiesa e nel mondo. Qualche volta purtroppo, nelle nostre comunità capita che lo stile e la mentalità del servizio, vengano soppiantati da piccoli recinti di potere. La tentazione del potere può esserci nei ministri sacri ma anche nei laici che operano in parrocchia. Piccoli poteri, anche meschini direi, che a volte si autodifendono duramente e incrostano le parrocchie chiudendo di fatto la porta agli altri. Questo accade quando non ci si sa mettere da parte o si mantengono ruoli e compiti per anni e anni; quando si vuole condizionare la vita della parrocchia; quando i “nuovi” o i giovani vengono visti con diffidenza e si sottopongono alla dura legge del “qui si è sempre fatto così”. Quando però il servizio diventa il recinto di un pur piccolo potere, la comunità si frantuma, inaridisce e finisce per non essere più attrattiva.

Qui, dunque – e termino – la pagina evangelica di oggi dovremmo averla sempre sotto gli occhi: la richiesta di Giacomo e Giovanni è la richiesta di potere e onore; come dice il testo, la loro richiesta indigna gli altri apostoli, marca cioè una frattura nel gruppo.
Ma noi non vogliamo che questo accada. La parola di Cristo che vogliamo portarci via stasera, all’inizio del nuovo anno pastorale, 50° della Missão Pistoia e giornata missionaria mondiale è quella con cui egli redarguisce i suoi: «Fra voi non sia come nel mondo: il più grande sia il più piccolo e lo “schiavo” di tutti».