Venerdì della V° settimana di quaresima – 12 aprile 2019 – Quinta stazione quaresimale
L’ultima tappa del nostro cammino quaresimale si conclude con il racconto della risurrezione di Lazzaro, l’amico di Gesù. Il ciclo battesimale delle letture bibliche delle ultime tre settimane di Quaresima, ci ha condotto per mano, prima a riconoscere con la samaritana il bisogno di un’acqua di salvezza che irrighi i deserti della nostra anima e del mondo; poi col cieco nato, a chiedere la luce degli occhi per vedere Dio e il nostro prossimo. Questa sera ci avviciniamo alla Pasqua come al trionfo della vita con la vicenda di Lazzaro.
Il quadro che l’evangelista Giovanni ci presenta è abbastanza straziante. Vediamo le lacrime di Marta e di Maria; la loro angoscia. Vediamo anche l’affetto grande e intenso di Gesù per l’amico. “Allora scoppiò in pianto”: questo particolare della narrazione ce lo manifesta.
Ed ecco che in questo cotesto straziante, Gesù compie il miracolo. Si tratta di un “segno”.
La risurrezione di Lazzaro dunque è solo un segno di una verità più profonda…Quella di Lazzaro non è come la risurrezione di Cristo, né come quella che ci è promessa da Gesù.
Nota magnificamente Joseph Ratzinger nel suo libro “Gesù di Nazaret” (pag. 271-272): «Se nella risurrezione di Gesù si fosse trattato soltanto del miracolo di un cadavere rianimato, essa ultimamente non ci interesserebbe affatto. Non sarebbe infatti più importante della rianimazione, grazie all’abilità di medici, di persone clinicamente morte. Per il mondo come tale e per la nostra esistenza non sarebbe cambiato nulla.
Le testimonianze neotestamentarie invece non lasciano alcun dubbio che nella risurrezione del Figlio dell’uomo sia avvenuto qualcosa di totalmente diverso. …
Nella risurrezione di Gesù è stata raggiunta una nuova possibilità di essere uomini, una possibilità che interessa tutti e apre un futuro, un nuovo genere di futuro per gli uomini».
Queste illuminate riflessioni spiegano ciò di cui la risurrezione di Lazzaro è segno: la risurrezione di Cristo e la nostra vita con Lui.
Ben più di quello che è capitato a Lazzaro, noi infatti siamo stati resi partecipi della Risurrezione di Cristo; mediante il Battesimo, siamo stati sepolti nella morte di Cristo e risorti con Lui. La nostra identità di uomini è ormai quella di risorti con Cristo, ciò per cui siamo venuti al mondo e che ci identifica come uomini.
Questo è vero al punto che se non viviamo da risorti con Cristo, semplicemente non siamo uomini; in realtà neppure siamo vivi. Siamo piuttosto dei morti che camminano per la strada, dei “morti viventi”.
Ma che vuol dire vivere da risorti?
Credo che la risposta a queste domande sia triplice: innanzitutto significa vivere nella gioia, con il cuore pieno di speranza, senza farsi abbattere da niente. Nella gioia cioè di sapere che niente ci può davvero ferire e uccidere, se si rimane attaccati a Gesù Cristo; che le avversità e le contrarietà della nostra esistenza, tutte le croci che in modo o nell’altro costellano i nostri giorni, come pure tutte le fatiche che si incontrano nella testimonianza della fede, tutto, proprio tutto, è illuminato dalla gioia pasquale, dall’incontro col risorto che continuamente ci ripete: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro».(Mt 11,28).
In secondo luogo, per vivere da risorti, occorre nutrirsi di Cristo parola e pane di vita eterna. Gesù lo ha detto a chiare lettere: «In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita» (Gv 5,24).
Infine, c’è un terzo modo ancora, fondamentale, per vivere da risorti, ed è l’apostolo Giovanni a dircelo nella sua prima lettera, anche qui con molta chiarezza: «Fratelli, noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida ha più la vita eterna che dimora in lui». (IGv 3, 14-15).