Natale
Cattedrale di S. Zeno 24 dicembre 2017
È Natale, carissimi amici. Si, è Natale, è vero. Credo però che occorra subito sgombrare il campo dalla parodia del Natale che purtroppo spesso in questi giorni va in onda. Togliamo dalla banalità il Natale. Ritorniamo a comprendere che cosa esso sia, in verità. Togliamolo dalla carta da regalo in cui l’abbiamo impacchettato; da quella melassa sdolcinata e stucchevole della bontà a buon mercato e dei buoni sentimenti che, a Natale, sembra che dobbiamo avere per forza.
Il Natale è una cosa sola; non mille altre, come fosse una grande sacca dove dentro ci si infila un po’ di tutto. Con il massimo rispetto per babbo natale, ma lui, col Natale non c’ha a che vedere niente. Natale è la nascita di Gesù. Questo è il Natale. Natale significa nascita ma se non si dice di chi, non si capisce nulla…. Natale è la nascita del Signore Gesù. È la nascita nella carne umana del Figlio di Dio. È l’incarnazione dell’eterno Verbo di Dio. È Dio stesso che è venuto ad abitare in mezzo a noi e ha preso in tutto la nostra condizione umana, eccetto il peccato. Dio, che nessuno ha mai visto, si è fatto vedere a noi in un bambino nato 2000 anni fa a Betlemme. Non è una favola. Non è un racconto fantastico; non è un film di fantascienza: è la verità; un evento storico. A Betlemme nacque un bambino da una giovane donna di Nazareth, sposata ad un uomo di nome Giuseppe. Quel bambino, per il credente, è Dio stesso; il Figlio unigenito del Padre, una cosa sola con lui e con lo Spirito Santo.
Vivere il Natale allora non può che voler dire innanzitutto ritornare a questa fondamentale verità; vuol dire rinnovare la nostra fede in Dio che si è fatto presente in mezzo a noi. Agli occhi del mondo, questa cosa è una follia, una stupidaggine, un non senso, un’invenzione della fantasia umana? Può essere. Per noi è invece la verità che ci da la vita: Dio ci ha visitato. È entrato nella storia, nel nostro mondo; è divenuto uno di noi. Con questo gesto, Dio è venuto a cercarci, a incontrarci, a ristabilire un’amicizia che l’uomo aveva rifiutato. L’incarnazione di Dio avviene infatti, come professiamo nel credo ogni domenica a messa: “per noi uomini e per la nostra salvezza”. Dio è venuto sulla terra, è nato nella nostra carne, per fare pace con noi e guarirci da quel male mortale che portiamo in noi che è il peccato, la mancanza di amore. “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama”. Annunciano gli angeli ai pastori svegliati perché vadano ad adorare i bambino.
Non ci vuol molto a riconoscere che l’uomo è profondamente malato e che ha bisogno di guarigione. Solo un cieco potrebbe non vedere il dramma dell’umanità. È necessario fare l’elenco delle malvagità di cui il cuore umano è stato capace durante tutta la storia e ancor oggi? Non credo proprio che ce ne sia bisogno, tanto è evidente il male che assedia l’uomo e con il quale l’uomo scende spesso a patti. È indubbio dunque che l’umanità ha bisogno di salvezza, di guarigione, di sradicare da sé il male e raggiungere una pace che è interiore e d esteriore insieme. Ciascuno di noi, se siamo sinceri, dobbiamo riconoscere di avere questo bisogno di salvezza, di liberazione dai nostri piccoli o grandi egoismi, dai nostri piccoli o grandi peccati, dalla nostra indifferenza nei confronti degli altri, dai nostri rancori e gelosie, dalla rabbia e dalla violenza che si annida dentro di noi; dalle nostre dipendenze, dai nostri vizi. Tutti poi sentiamo incombere su di noi il rischio più grosso: la mancanza di amore; che nessuno ci voglia bene o che non riusciamo noi a volerne agli altri; il rischio dunque della solitudine, di rimanere soli, scordati e dimenticati da tutti, forse, a volte, anche a causa di noi stessi, del nostro carattere, delle scelte che abbiamo fatto e che ci segnano irrimediabilmente la vita.
Noi dunque, tutta l’umanità, il mondo abbiamo bisogno di salvezza. Ma con il Natale nasce per noi il Salvatore, il medico che può guarirci: il gioco allora sembrerebbe fatto! Cos’altro ci manca? Non è però così. Quel medico divino; quel Dio venuto ad abitare fra noi; quel salvatore, tante volte non è seguito, non è accolto, non si corre da Lui, non ci si affretta ad incontrarlo; si gira alla larga; ci si volta piuttosto da un’altra parte per cercare altrove, illudendoci, guarigione e salvezza, libertà, riconoscimento e amore.
Come è possibile? Come può accadere una cosa del genere? Come può essere successo? Sta di fatto che ciò è accaduto e continua ad accadere, dopo la nascita del bambino Gesù. Già questa avvenne fuori, perché non c’era posto per lui. Appena nato poi, lo si cercò per ucciderlo e la sacra famiglia fu costretta ad emigrare in Egitto. Cresciuto, Gesù trovò spesso un muro, proprio tra i suoi, tra coloro che avrebbero dovuto riconoscerlo come il salvatore. Poi? Poi siamo stati capaci di uccidere il nostro salvatore, di appendere al legno della croce Colui che poteva guarirci dal nostri mali. C’è dell’assurdo in tutto questo!
Ma c’è un motivo per cui questo accadde e ancora continua oggi ed è ciò su cui il maligno fa leva per farci sembrare ridicolo, inattendibile, anzi ingannevole, tutto ciò che Dio fa: è il modo stesso con cui Dio è voluto venire tra noi. Nell’umiltà, nel nascondimento, nella tenerezza dell’amore, nella forma più indifesa e impotente. E noi, noi proprio no, questa cosa qui, ci confonde, ci scombussola, perché noi siamo malati soprattutto di superbia e pensiamo sempre di essere chi sa chi e riteniamo anche che chi conta veramente e può far qualcosa per noi, deve essere uno superbo come noi, un potente che fa vedere i muscoli! Se Dio fosse venuto tra noi in pompa magna, con lampi e fulmini, su un carro di fuoco, con la potenza di legioni di angeli; se fosse venuto a noi come un ricchissimo e potentissimo signore, non ho dubbi che l’avremmo subito accolto. Deferenti e col capo chino, l’avremmo circondato di onori e di lodi; avremmo avuto infatti la sciocca certezza che Egli avrebbe risolto i nostri problemi e dato salvezza a tutti noi. Invece no. Dio si presenta in un modo che ci spiazza. Non ci vuole costringere. Vuole il nostro amore e l’amore o è libero o non è amore. Non vuole che lo amiamo per interesse, perché l’amore per interesse è una contraddizione in termini e non guarisce il cuore: lo ammala di più; lo fa diventare cattivo e violento. Con la sua nascita come un piccolo bambino indifeso e fragile, Dio vuole insegnarci che la guarigione del nostro cuore e del mondo, passa attraverso l’umiltà di riconoscere in verità il nostro bisogno di Dio e degli altri; consiste nel riconoscerci piccoli e amati con dolcezza; sta nell’accettare di essere amati e perdonati; nell’imparare a prendersi cura amorevolmente del nostro prossimo, fino ad amare persino i nostri stessi nemici.
Allora, carissimi amici, noi che per grazia di Dio sappiamo come stanno veramente le cose, accorriamo disponibili alla grotta di Bethleem. Affrettiamoci. Ringraziamo dal profondo del cuore questo Dio che si è messo nelle nostre mani; riconosciamo, confessiamo con onestà i nostri peccati, i mali interiori che rovinano la nostra vita e chiediamo al salvatore del mondo, umilmente e ardentemente, la guarigione. Attraverso il sacramento della riconciliazione, riceviamo il perdono dei nostri peccati. Nell’Eucaristia, mangiamo il pane della vita che è Gesù, vivo e vero, umilmente presente in un insignificante pezzetto di pane. Apriamo le braccia della tenerezza verso Gesù e accogliamolo con la premura e l’attenzione con la quale si prende in braccio un neonato; con la stessa premura e umiltà apriamo il cuore e le braccia alle persone che ci stanno vicine ogni giorno; a quelle che incontriamo; a quelle che sappiamo essere nel bisogno qui da noi e nel mondo.
Solo così il Natale del Signore sarà autentico, sarà degnamente celebrato e sarà davvero un Buon Natale. Quel Buon Natale che auguro di cuore a me e a tutti voi.
+ Fausto Tardelli