(Cattedrale di San Zeno, 10 Settembre 2015)
La prima parola di stasera è il silenzio. Silenzio raccolto e drammatico. Silenzio carico di dolore, di preghiera ma anche di speranza. Silenzio di compassione e indignazione insieme. Facciamo silenzio per le migliaia e miglia di morti in mare e altrove in questa migrazione epocale che stiamo vivendo.
Questi nostri fratelli, vecchi giovani, donne, uomini, bambini cercavano un mondo migliore, nuove opportunità di vita, un futuro, la libertà, e sono morti.
Li accompagniamo con la nostra preghiera al trono dell’Altissimo perché Lui, l’unico giusto, possa dare loro non solo ciò che non hanno trovato su questa terra, ma molto di più: la felicità piena e duratura, il compimento traboccante delle loro aspettative di felicità, amore senza fine. Dio che è ricco nella misericordia e nella fantasia, siamo certi saprà non far rimpiangere loro quanto hanno lasciato sulla terra, asciugherà le loro lacrime, una ad una e consolerà i loro cuori.
La prima parola di stasera è dunque il silenzio con cui affidiamo a Dio tutti questi nostri fratelli e nostre sorelle che non sono più tra noi sulla terra, di cui non conosciamo il nome, anonime vittime della guerra, dell’ingiustizia, del terrorismo, dell’indifferenza e dell’odio, ma che Dio, l’onnipotente invece conosce per nome. Lui di ognuno di loro conosce il nome e il colore degli occhi, il numero dei capelli e le pieghe dell’anima; Lui ama ognuno di loro come unico.
La seconda parola però, oltre il silenzio, è un grido. Un grido che vuole risvegliare la coscienza di ognuno di noi, un grido che ci chiama a responsabilità, che ci domanda conto del sangue del fratello. E non possiamo rispondere come Caino: “son forse io il custode di mio fratello?” Noi siamo i custodi dei nostri fratelli e questa consapevolezza deve essere forte in noi.
La seconda parola stasera è un grido che mi sento di lanciare di fronte al mondo. La mia voce è una povera voce e conta niente. Chi mai l’ascolterà? Chi potrà raggiungere? Ciononostante voglio parlare. Qualcuno mi potrebbe dire: ma chi ti credi di essere? Ma io parlo lo stesso. Qualche altro forse mi potrà dire che sono un ingenuo che non conosce la complessità dei problemi e dice banalità. Ciononostante sento il dovere da questa cattedrale, di dire alcune cose, anche a rischio di essere incompleto o parziale.
Ai fratelli dell’Islam dico: fate pace tra di voi e fate voi per primi gesti di accoglienza! E’ urgente, necessario, doveroso che tra sciiti e sunniti e tutte le altre fazioni in lotta ci sia pace; isolate e fermate i terroristi che bestemmiano il nome di Allah il grande! Molti paesi islamici poi hanno ricchezze a non finire: le usino non per fomentare le guerre ma per accogliere i propri fratelli di fede.
Ai terroristi, ai quali va una buona parte di responsabilità per la situazione attuale, gridiamo: basta, in nome di Dio. Basta, perché il vostro disprezzo della vita umana e della cultura sta causando solo morte e distruzione. Pagherete domani, davanti alla storia e a Dio, per i vostri misfatti.
Ai potenti del mondo che governano le nazioni gridiamo di adoperarsi in ogni modo perché ci sia un po’ di pace nel mondo. Una pace che non può che essere fondata sulla giustizia sociale. E’ possibile fare qualcosa. Occorre farlo e in fretta.
Ai potentati economici e finanziari che sfruttano il mondo, in particolare l’Africa, diciamo con Papa Francesco che una certa economia uccide e che ogni ingiustizia nei confronti dei poveri grida vendetta al cospetto di Dio. L’economia deve aiutare la vita e l’ambiente, non distruggerli. Chi poi fa profitti speculando sui poveri, siano scafisti o gentleman in giacca e cravatta, ha un peso enorme sulla propria coscienza.
Ai paesi europei che chiudono le frontiere, dico che non è questa l’Europa che vogliamo, non è questa l’Europa che sogniamo.
Ai nostri amministratori comunali, quelli delle nostre terre che ancora non hanno aperto le porte all’accoglienza, domando di farlo al più presto, mentre alle comunità cristiane presenti in questi comuni chiedo di essere di sprone e pungolo.
Ai governati in particolare dell’Africa gridiamo: cessi la corruzione; cessino le guerre fratricide e la ricerca sfrenata del proprio interesse; dedizione invece chiediamo, dedizione piena al bene dei propri paesi, perché ci siano in essi condizioni di vita migliore.
Ai giovani africani che vengono da noi, manifestiamo certo la nostra accoglienza fraterna e piena ma anche diciamo che il loro futuro non è prevalentemente qui. Non può che essere in Africa, un ricco continente che ha bisogno di crescere nella prosperità, nella giustizia e nella pace che per questo ha bisogno di loro. Che abbiano quindi il coraggio, passata l’emergenza, di ritornare nei loro paesi e contribuire così al loro sviluppo.
A tutti i cattolici o che si ritengono tali, ripeto le parole di Gesù: “avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete alloggiato…” Queste parole ci impegnano a servire ogni uomo, specialmente quando è più debole e fragile: quando è nel seno materno appena concepito, quando è bambino indifeso, quando è vittima dell’ingiustizia e depredato dei suoi diritti, quando è migrante e forestiero, quando è senza lavoro, quando è malato o anziano o vicino alla morte. Prima di ogni altra considerazione e di ogni distinzione, prima di ogni legittima mediazione politica o valutazione su quote, possibilità e modalità, il cuore di ogni cattolico non può che essere abitato da queste parole di Gesù.
E proprio guardando alla nostra chiesa, provenendo in questo momento i migranti per la stragrande maggioranza dall’Africa, chiedo a tutto il personale religioso, sacerdoti e consacrati, di origine africana, di mettersi a completa disposizione di questa emergenza migratoria, non chiudendosi in se stessi, quasi che la loro condizione fosse un privilegio, ma sentendosi partecipi in pieno delle angosce e delle speranze dei propri fratelli africani. Il Signore ci ha fatto dono da anni di questa presenza tra noi. Lui che vede più in là di noi, forse ci stava preparando al momento attuale. Ora è giunto il tempo che questa ricchezza africana della nostra Chiesa, sia messa a frutto.