Omelia per l’ultimo giorno dell’anno
Cattedrale di San Zeno, Pistoia, 31 dicembre 2021
Siamo dunque giunti al termine di questo anno difficile; un anno che si va ad aggiungere a quello precedente, non meno difficile. Seppure non possiamo dire di essere al punto di partenza, le preoccupazioni sono ancora grandi. Proprio in questi giorni, siamo di nuovo in mezzo al guado, posti di fronte a qualcosa che sembra non finire; qualcosa che, mi pare un dato evidente, lampante, noi non riusciamo ancora a superare. Tutta l’umanità non riesce ad oggi a sconfiggere il male che ci ha afferrato. Mi sembra che soltanto un cieco non veda questo insuccesso ad oggi, di tutte le risorse di intelligenza, di scienza, di tecnologia di cui siamo capaci.
Certo, qualcosa si è fatto. Forse anche molto, da un certo punto di vista. La situazione infatti non è esattamente quella di quando eravamo in pieno dentro la pandemia. Si sono trovati vaccini che sicuramente hanno fatto e fanno. Si sono trovati e si stanno trovando anche farmaci. Siamo però ancora indietro. Mi pare evidente. Se si considera poi che c’è una grande parte del mondo che ad oggi rimane fuori dalle cure adeguate e dalla prevenzione, credo non si possa misconoscere il dato che sottolineavo: l’uomo, l’umanità fa enorme fatica ed è in affanno nella soluzione di questo problema.
Forse è anche questo dato, magari non colto chiaramente ma comunque percepito nel profondo dell’animo, che ci mette dentro un grande senso di incertezza e di precarietà al quale non eravamo abituati. Ci mette dentro anche un senso di sfiducia, ci abbatte, ci deprime. Col rischio concreto di cadere in uno stato di prostrazione generalizzato e permanente.
A questa situazione si aggiunge anche quella determinata dalla crisi ambientale. Abbiamo tutti ben presente il rischio che stiamo correndo e quanto sia necessario cambiare rotta al mondo. Il clima impazzito testimonia di mutamenti che, in parte almeno, dipendono dal modo in cui viviamo, produciamo, ci sviluppiamo. Consumando energia in modo esagerato, immettendo contemporaneamente nell’atmosfera agenti fortemente inquinanti. Il Santo Padre Francesco ha lanciato un forte grido di allarme nella sua enciclica laudato si, ma vediamo quante difficoltà ci sono da parte degli Stati ad adottare misure davvero efficaci per la risoluzione del problema. Il rischio che, tra un dibattito e l’altro, si stia andando verso un punto di non ritorno è reale.
Alla pandemia e al rischio ambientale, si aggiunge infine la situazione di povertà, di ingiustizia e di mancanza di libertà che spinge intere popolazioni a migrare, a cercare rifugio in posti più sicuri, senza trovare per altro piena accoglienza. Un altro terribile inarrestabile dramma contemporaneo, al quale, ancora una volta, sembriamo incapaci di trovare una soluzione.
Sicuramente si tratta di problemi enormi e di non facile soluzione. Sta di fatto che noi, uomini e donne del 2021 e tra poco del 2022, al momento non siamo in grado di trovare una soluzione a questi tre colossali drammi che io vedo collegati strettamente l’uno all’altro.
Credo comunque che si debba reagire e, soprattutto noi cristiani, ritengo che siamo chiamati in questo tempo, proprio in questo frangente della storia, a rendere testimonianza di speranza e di fiducia. Non per nasconderci i problemi e le oggettive difficoltà del percorso ma per dare concreta visibilità alla certezza che la nostra fede alimenta. E’ difficile interpretare i segni dei tempi ed è sempre rischioso. Ma alla luce della parola di Dio, bisogna pur cercare di capire che cosa Dio stia dicendo all’’umanità, nella ferma convinzione alimentata dalla nostra fede, che Dio vuole il bene per ogni sua creatura come del mondo intero e che “tutto concorre al bene, per coloro che Dio ama”. Certi dunque che l’annuncio degli angeli ai pastori è perennemente attuale: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Dio ama”.
Non possiamo allora non metterci nei panni della Madonna. Nei panni di colei che annunciata essere la madre del Messia salvatore di Israele, si trova a partorire quel bambino nel nascondimento, in una stalla, ai margini potremmo dire, della storia. Gli occhi del cuore di Maria SS.ma vedevano nel bambino il compiersi delle promesse di Dio, vedevano le attese soddisfatte, vedevano il Regno di Dio sulla terra. Gli occhi però del suo corpo, vedevano povertà e silenzio, emarginazione e solitudine. Ce ne voleva di fede per vedere in quel piccolo bambino, il salvatore del mondo, l’atteso delle genti! Metterci nei panni di Maria, vuol dire allora assumere il suo sguardo di fede, quello stesso con cui guardò il bambino appena partorito e vide in esso il Salvatore del mondo. Questa fede che è ricolma di speranza è quella che ci è richiesta quest’oggi, carissimi fratelli ed amici.
Nello stesso tempo, mi pare che proprio questa nostra fede in un Dio di amore, ci fa capire che Dio stesso ci sta spingendo con forza a cambiare strada nel mondo. Attraverso l’esperienza drammatica della nostra impotenza e della enormità dei problemi che abbiamo davanti, credo che Egli ci spinga a trovare le strade di una maggiore solidarietà, di una più grande attenzione reciproca e di una più piena assunzione di responsabilità. Tanti anni fa, Papa Paolo VI, un grande profeta del nostro tempo, parlò della necessità di costruire una civiltà dell’amore, che significa una civiltà del prendersi cura l’uno dell’altro, dell’affrontare insieme i problemi condividendo risorse e intelligenze, fatta di responsabilità che da orientamento alla libertà individuale. Dopo tanti anni, è forse giunto il momento di costruirla per davvero, questa civiltà dell’amore, spinti anche dalle avverse circostanze che stiamo sperimentando. L’edificazione di una civiltà dell’amore è diventata ormai una necessità vitale.
Ed è di questa dura lezione, che quest’anno vogliamo ringraziare il buon Dio, pregandolo che continui sempre ad aver misericordia di noi e a benedirci.