Ordinazione presbiterale Alessio e Eusebio
(XIII Domenica del tempo Ordinario Anno C)
Cattedrale di San Zeno 30 giugno 2019
Quarantacinque anni fa, come oggi, “cantavo Messa”; così si usava dire una volta. Ero stato ordinato presbitero insieme al compianto Vescovo Mansueto, la sera prima, solennità dei santi Pietro e Paolo, di sabato, esattamente come quest’anno. Anche allora, il 30 di giugno era la XIII domenica del tempo ordinario dell’anno C e le letture della Messa furono esattamente quelle che abbiamo ascoltato poco fa. Non fui io a fare l’omelia e dunque a commentarle; lo fece il mio parroco; però quelle letture le ho scolpite nella memoria.
Oggi sono qui dopo tanti anni, a ringraziare il Signore insieme a voi per il dono ricevuto con il sacramento dell’Ordine. Sono qui stasera, per motivi misteriosi noti solo al Signore e per una sacra potestà che viene solo dallo Spirito, anche per consacrare a mia volta, quale successore degli apostoli, due nuovi presbiteri.
Doppiamente grato al Signore, mi accingo a conferirvi, carissimi Alessio ed Eusebio, il sacramento dell’Ordine nel grado del presbiterato. Lo faccio veramente con tanta gioia, non solo per l’affetto che in questi anni ci ha unito ma anche perché vedo nella vostra Ordinazione, una speciale benedizione del Signore che ci accarezza, nonostante tutte le nostre deficienze, i nostri mali, le sofferenze che a volte ci procuriamo con le nostre stesse mani. Un nuovo prete è come la nascita di un figlio: è segno di speranza; è segno che Dio non ci ha abbandonato ma ci continua ad amare; è slancio per il futuro; è apertura gioiosa alla vita; è conforto alla nostra debolezza e linfa vitale per le nostre povere vite.
Ed io stasera, illuminato dallo Spirito Santo, vedo con occhi di speranza la nostra chiesa; sento di poter aprire il cuore alla fiducia, lodando il Signore per quanto ci dona.
Ci sono momenti, è vero, soprattutto a causa delle nostre piccinerie e chiusure di cuore e di mente, in cui il fiato si fa corto e l’animo rancoroso; in cui le difficoltà ad intendersi e a camminare gioiosamente insieme sembrano insormontabili. A volte ci prende un po’ di stanchezza perché c’è sempre da ricominciare daccapo, da ripartire, da riprovare, da ricucire, con l’aggiunta che a volte sembra persino tempo perso.
Cionostante, io vedo stasera lo Spirito Santo di Dio che lavora instancabilmente in noi e chi ha occhi abituati alla fede, non può non vedere le opere di Dio nella nostra chiesa, nelle nostre parrocchie, nel nostro presbiterio. Con gli occhi illuminati dalla fede e resi penetranti dalla potenza dello Spirito Santo stasera scorgo non solo il germogliare del grano ma anche le messi abbondanti, le spighe pronte per il raccolto e operai che mietono, con generosità, contenti di essere stati chiamati all’opera. Sono un visionario? Non credo.
L’ordinazione di questi nostri due fratelli è un segno evidente di tutto questo; sono un segno anche gli anniversari delle ordinazioni presbiterali e diaconali che stasera ricordiamo; come pure questa bella cattedrale stracolma di gente.
Affidiamoci allora con fiducia e speranza alla parola di Dio e ripercorriamo l’itinerario che le letture di oggi ci propongono. Lasciamoci prendere per mano dal Signore, certi che la sua Parola è lampada ai nostri passi. Ai vostri, carissimi Alessio ed Eusebio; e ai nostri, presbiteri, diaconi, religiosi e laici.
Nella prima lettura prende forma la chiamata di Dio: la chiamata al suo servizio. Eliseo, unto da Elia da cui riceve anche il mantello, si muove per questo. All’origine della sua missione c’è la volontà di Dio. Una chiamata che è anche gesto di attenzione e di amore da parte del Signore. Questa chiamata – carissimi amici – è all’origine non solo della nostra missione ma della nostra stessa vita. Noi siamo chiamati all’esistenza dall’infinito amore di Dio; siamo da Lui chiamati ad essere suoi figli; da lui ancora siamo chiamati a compiere una missione sulla terra; da Lui infine siamo chiamati a partecipare alla sorte dei santi nella luce nel Regno eterno di Dio.
Ricordiamocelo, dunque, fratelli e sorelle! Ricordatelo sempre anche voi, Alessio ed Eusebio. All’origine di noi stessi, di quello che siamo e che siamo chiamati a fare, c’è l’appello del Signore. In questa volontà d’amore sta il fondamento della nostra vita e della nostra missione, come del nostro stesso destino. In essa sappiate sempre rifondarvi ogni giorno.
Quando magari sarete tristi o abbattuti, ripensate con gratitudine che siete stati chiamati dal suo amore. Quando magari vi sentirete stanchi o sconfitti, ricordate che voi esistete e siete preti perché Lui vi ha chiamato. Così pure, quando proverete gioia e felicità, anche allora e forse lì ancora di più, sappiate che tutto è dono Suo e viene da Colui che ha pensato a voi e ha dato a voi le potenzialità per portare frutti di gioia per la bellezza della vostra e altrui vita.
Nella seconda lettura, sempre di chiamata si parla. San Paolo ci fa capire che la nostra è una chiamata alla libertà, ad essere pienamente liberi, ma ci dice altresì che tale libertà non consiste nel fare quello che ci pare e piace, bensì nell’amare. “Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il tuo prossimo come te stesso”.
Ecco si, l’amore; l’amore a misura di Cristo; l’amore che è dono di sè, che ci spinge a metterci al servizio, che ci fa guardare all’altro come ad una manifestazione preziosa di Dio: questo è ciò a cui si è chiamati tutti e a cui è chiamato in particolare il presbitero; per il quale, l’amore per il prossimo include in modo decisivo e prioritario – va sottolineato – il dono del Vangelo che è Gesù con la sua grazia di salvezza significata nei sacramenti.
Carissimi amici; carissimi Alessio ed Eusebio, non abbiate allora mai paura ad amare come il Signore ci ha insegnato: le persone e il popolo a cui sarete inviati; gli altri presbiteri confratelli, il vescovo, l’umanità tutta. Forse non sarà sempre facile. Anche l’apostolo Paolo, nella lettera ai Galati, mette in guardia su ciò che può capitare e cioè che ci si morda e ci si divori a vicenda. Parole grosse, che mettono di fronte a noi tutti un rischio che ben conosciamo. L’ironia beffarda con cui Paolo conclude, mostra l’insensatezza di tali comportamenti e invita a far prevalere almeno un minimo di buon senso: “badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri”. Non ci scandalizzino queste parole di Paolo, anzi, teniamole bene a mente perché il pericolo è sempre in agguato. Perciò, carissimi Alessio e Eusebio, sappiate rinnovare ogni giorno il vostro sincero impegno per creare comunione, partecipazione, incontro, condivisione; tentando di riannodare continuamente quei legami di amore che il Signore è venuto a stabilire e che noi spesso spezziamo. Siate lampade luminose d’amore; chiunque vi incontra, trovi un cuore aperto che si fa casa accogliente; e sappiate anche andare a cercare chi la casa non ce l’ha mai avuta o non ce l’ha più e ha bisogno di quella del vostro cuore, abitato da Cristo.
Le parole di Gesù nel Vangelo di Luca ci invitano alla missione, all’annuncio del Regno. È la chiamata che tutti ci coinvolge ma che stasera in modo speciale per voi si rinnova, carissimi Alessio e Eusebio.
Vorrei però soffermarmi un attimo soltanto sulla conclusione del brano evangelico, laddove Gesù dice che nessuno che metta mano all’aratro e poi si volti indietro, è adatto per il regno di Dio. Qui si afferma una cosa: che nel rispondere all’amore del Signore non ci devono essere rimpianti per ciò che si è lasciato, per le rinunce che il servizio del Regno richiede, per le “cipolle d’Egitto”, come dicono gli israeliti nel deserto. Bisogna invece andare avanti, a testa bassa, con ostinazione, a denti stretti, tesi alla meta; i ripensamenti possono essere buoni solo se sono il riconoscimento dei propri peccati per aprirsi alla grazia di Cristo. Non ci si può voltare indietro, se non per fare memoria della misericordia di Dio e ricordare le meraviglie che Egli ha operato in noi. Altrimenti no, occorre guardare avanti, con tenacia, rinnovando ogni giorno il santo proposito. La vita passa presto e il tempo dei ripensamenti è tempo perso; tempo tolto a Dio e ai fratelli.
Carissimi Alessio ed Eusebio, fate dunque attenzione a che non si insinui dentro di voi, come tentazione sottile, il rimpianto per ciò che avreste potuto essere o per ciò che avete lasciato. Reagite prontamente, perché il momento del volgersi indietro, come nostalgia o fantasia, qualche volta può capitare e può dar luogo a forme di compensazione che affogano la vita del prete e a volte la rendono persino ridicola. E può capitare anche sotto una curiosa forma: quella del rimpianto di ciò che è stato un tempo, di quel che era nel passato. Il passato è estremamente prezioso e là ci sono le nostre radici, senza le quali non ci sarebbe né presente né futuro. Le nostalgie sono però fuori luogo. Siate piuttosto amanti del tempo presente, pur con tutte le sue contraddizioni; capaci senz’altro di notarle e di rilevarle, richiamando gli uomini a riflettere e a convertirsi. Amate però il presente, il vostro tempo, quello di oggi e quello che vi sarà dato da vivere domani; con le sue sfide, le sue problematicità e anche le sue risorse. Sappiate guardare avanti con fiducia, nonostante tutto. Anche se dovesse crollare il mondo e capitassero le peggiori cose, siate sempre animati dalla speranza e dalla ferma convinzione che il Signore è fedele e che il suo amore è per sempre.
Si, il Signore è davvero fedele per sempre. E noi stasera, con gratitudine lo sperimentiamo. A Lui ogni onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen