Santa Messa della Vigilia di Natale (24 dicembre 2019) – Cattedrale di San Zeno
Carissimi fratelli ed amici, vi confesso che faccio una certa fatica a pensare al Natale coi colori della festa, delle luci e dell’allegria. Quasi come un’ossessione infatti, mi viene subito alla mente come il Salvatore del mondo fu accolto quando venne nel mondo per dare compimento alle promesse antiche: certamente non bene. Certamente non come si sarebbe meritato. In effetti, la narrazione evangelica ci presenta la nascita di Gesù avvolta nella precarietà, dentro a una stalla, in una mangiatoia, fuori dalla città. Il Re dei re, il Signore dei signori, l’unigenito figlio di Dio venne in mezzo a noi – atteso da secoli – e trovò le porte chiuse; si dovette adattare, con una madre che lo partorì tra gli stenti e poche persone, anche non molto raccomandabili come erano i pastori di Betlemme, a stringersi attorno a Lui. La gioia della nascita del Salvatore non elimina l’amarezza per le nostre chiusure di cuore. È questo il punto! Anche perché la vicenda della nascita del Salvatore non è circoscritta a quel tempo. È attuale.
Papa Francesco, nel discorso per gli auguri alla curia romana, ha detto pochi giorni fa: «Fratelli e sorelle, non siamo nella cristianità̀, non più̀! (…) Non siamo più̀ in un regime di cristianità̀ perché́ la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più̀ un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata». Dunque, aldilà dei colori della festa, mi viene da dire: quanti di noi sono davvero disposti ad accogliere il Signore nella propria vita? E insieme a lui anche gli altri? È vero, siamo presi da mille cose e mille problemi; abbiamo grosse preoccupazioni e anche una giusta voglia di svago e di spensieratezza. Va tutto bene. Però la domanda rimane e provoca: sei disposto ad accogliere il Cristo nella tua vita? A dargli spazio, a farlo regnare in te? E sei disposto ad ascoltare con attenzione chi ti sta accanto, il tuo sposo o la tua sposa, i figli, il vicino, il collega? Sei disposto a farti prossimo, particolarmente di chi è nel bisogno? Sei disposto a pensare un po’ meno a te stesso, a quello che ti piace, a quello che vorresti, a quelli che sono i tuoi desideri, per far posto invece a Dio, alla sua parola e ai suoi inviti, ai suoi comandamenti, come pure agli altri esseri umani, da servire con attenzione e premura, e come pure all’intero creato da salvaguardare e custodire?
Il Natale ha senso se è un momento nel quale si prende in mano la coscienza e la si mette davanti a Dio. Se cioè ci si lascia interrogare e anche inquietare. In questo caso il Natale sarà vero, perché forse produrrà qualche effetto positivo in noi e conosceremo quella gioia che viene solo dall’accoglienza di Dio e del prossimo.
Ancora il Santo Padre ha scritto nei giorni scorsi una bellissima lettera sul presepe, invitando a mantenere viva una preziosa tradizione che risale a San Francesco. Ma il presepe serve per mettercisi davanti e riflettere; serve per pensare al mistero di un Dio che non ha paura di farsi piccolo e debole per amore; che venne non per essere servito ma per servire. Quella capannuccia col bue e l’asinello e coi pastori ha valore in quanto mi chiede se sia disposto ad accogliere Dio nella mia vita e ad accogliere gli altri nella pace, vicini o lontani, chiunque essi siano.
Nonostante comunque tutte le nostre chiusure e l’amarezza che ciò porta con sè, in questa santa notte non possiamo lasciarci prendere dalla tristezza: quello che sovrabbonda, stanotte, è l’ostinata volontà di Dio di amarci, così come siamo, nonostante la nostra durezza di cuore.
Il canto degli angeli di cui abbiamo sentito or ora nel vangelo è chiaro: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e, sulla terra, pace agli uomini, che egli ama». Il Signore Dio onnipotente continua a nascere tra noi, ostinatamente; continua ad offrirsi a noi con infinita tenerezza; non smette di bussare con mansuetudine alla porta della nostra vita. Come è certo che il sole in questi giorni comincia a prendersi la rivincita sulla notte e le giornate cominciamo a riallungarsi, così, ancora più certo è che, a Natale, Dio dimostra che ancora non si stanca di noi e che la sua misericordia non verrà mai meno. Ecco perché il profeta Isaia ha potuto gridare: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia».
Dio continua aver fiducia di noi, a credere che possiamo farcela a diventare buoni, prima o poi. E questo è davvero qualcosa di inaudito! Lui è sicuro che prima o poi la capiremo, quella che è la strada da seguire; pur sbattendo mille volte la testa nel muro fino qualche volta a spaccarcela. E in effetti tanti uomini e donne lungo i secoli e ancora oggi, hanno capito e si sono incamminati sulla strada della giustizia, della verità e dell’more. Magari hanno dovuto pagare il caro prezzo della coerenza; magari c’è chi ancora oggi lo deve pagare, ma ciononostante sono andati avanti e vanno avanti, perché hanno compreso quale è la strada da seguire. E noi dobbiamo imparare da loro.
Ciò che allora è davvero importante per noi, fatti forti della fiducia che Dio ancora ci accorda a Natale, è prendere sul serio le raccomandazioni che ci ha fatto San Paolo e che abbiamo ascoltato nella seconda lettura: «Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà».
Questo dunque, se volgiamo vivere bene il Natale e gustarne appieno la gioia, il nostro programma: in primo luogo, rinnegare l’empietà e i desideri modani. Cioè rifiutare tutto ciò che è contro Dio, che lo nega, che non ne riconosce il posto fondamentale nella vita oppure lo mette da parte, oppure addirittura lo bestemmia direttamente o con una condotta apparentemente religiosa ma ipocrita. E rifiutare inoltre i desideri mondani, cioè l’abuso delle cose temporali, l’appropriarsi di esse facendone degli idoli a cui tutto sacrificare e mancando gravemente nei confronti del nostro prossimo.
In secondo luogo, oltre a rinnegare l’empietà e i desideri mondani, San Paolo ci chiede di vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà. Con sobrietà riguardo a se stessi, cioè facendo uso delle cose terrene in modo misurato dalla ragione e rendendo grazie; con giustizia riguardo al prossimo, nel senso cioè di sforzarsi di fare sempre le cose giuste e infine con pietà riguardo a Dio, cercando cioè di dare sempre a Lui il primo posto nella nostra vita.
Se raccogliamo con serietà e gioia le indicazioni semplici ma fondamentali dell’apostolo Paolo, allora vivremo davvero il Natale e ne godremo in profondità duratura. Ed è in questo senso che auguro a tutti voi di cuore davvero un buon Natale.