Dossier Caritas: la nuova emergenza è la casa
Presentati i dati dell’attività della Caritas per l’anno 2019. Tra le tante criticità emerge sempre più una zona grigia di difficoltà che riguarda trasversalmente tutte le famiglie: l’acquisto, la ricerca, il mantenimento di un’abitazione sta diventando un serio problema.
La mancanza di lavoro e l’instabilità delle relazioni sono gli altri fattori determinati nella marginalità. Ne abbiamo parlato con Marcello Suppressa, delegato regionale e direttore di Caritas Pistoia
di Michael Cantarella
Le relazioni familiari, il lavoro, la casa. Sono questi tre i pilastri che quasi sempre determinano la vita delle persone, le tengono al sicuro, prospettano futuro e dignità. Se crolla anche solo uno di questi tre sostegni ecco si affaccia lo spettro dell’emarginazione, della difficoltà. Il dossier Caritas di quest’anno ci propone una lettura molto complessa della realtà, che va al di là dei numeri e che per la prima volta pone al centro la questione della “casa”.
Quest’anno il Dossier parla del “problema casa”, quali sono i segnali più preoccupanti?
«In questo Dossier abbiamo approfondito il tema della casa in quanto risulta essere una questione che necessita di essere primo piano messa al centro dell’attenzione non solo in relazione al sostanziale aumento di persone e famiglie senza casa, ma soprattutto in relazione alla mancanza di risposte adeguate. La povertà sempre più si afferma come evidenza di una società in crisi dal punto vista strutturale, una società in cui i diritti diventano sempre più insostenibili. Le problematiche legate all’abitare non rimandano, infatti, solamente alla necessità di aumentare gli interventi alle persone, ma al fatto che per molte persone la casa è diventata insostenibile economicamente. Questa considerazione specifica sulla casa, crediamo debba essere seriamente considerata in relazione alla povertà, quindi, come ambito in cui si perdono i diritti».
Come si strutturano le povertà in diocesi?
«Come ribadito sia nel dossier di quest’anno che alla presentazione, il territorio della diocesi di Pistoia è molto eterogeneo e le attività dei centri Caritas incontrano povertà diverse a seconda del contesto territoriale. I centri che operano sul territorio cittadino di Pistoia sono sicuramente quello che hanno il carico maggiore, si tenga conto infatti che circa i 2/3 delle persone incontrate risiedono a Pistoia, il Centro d’Ascolto diocesano in 6 mesi ha incontrato quasi 800 persone, si tratta per lo più di famiglie con a carico figli minori e non. Una parte di queste persone si affacciano ai nostri centri per la prima volta proprio quest’anno (circa un sesto) e per loro la Caritas è una sorta di ultima spiaggia per così dire, infatti, soprattutto per gli italiani, riscontriamo una certa ritrosia nel rivolgersi ad un Centro Caritas, per vergogna o anche semplice orgoglio. Spesso le persone quando arrivano ai nostri centri presentano problemi ormai incancreniti e quasi irrimediabili (uno sfratto esecutivo imminente, una situazione debitoria ormai irrecuperabile ad esempio). Dall’altro lato purtroppo assistiamo ad una cronicizzazione delle situazioni, non di rado capita che figli di assistiti, una volta messa su famiglia, accedano a loro volta al Centro d’Ascolto per richiedere quelli che sono sempre stati gli aiuti di cui hanno goduto i genitori, diventa cioè una prassi rivolgersi a Caritas per chiedere aiuto, un’azione quotidiana normalissima come andare a fare la spesa o andare alle poste per pagare una bolletta. Queste due tipologie di persone possono essere riscontrate però in tutti i Centri d’Ascolto degli altri comuni della diocesi, non solo in quello di Pistoia, ci preme sottolineare però come alcuni territori presentino peculiarità uniche, come ad esempio i comuni della provincia di Prato, soprattutto Montemurlo, dove incontriamo in maggioranza persone di cittadinanza straniera, con gravi problematiche con maggiore frequenza rispetto anche a territori adiacenti (ad esempio problematiche legate alla mancanza di un regolare permesso di soggiorno, sfruttamento e lavoro nero). Poi ci sono tutte quelle persone che vivono in una situazione di grave marginalità, persone senza dimora, o con un alloggio di fortuna e precario, con molteplici disagi, sia dato di vista delle dipendenze che della salute e della disabilità (sia fisica che mentale)».
L’esperienza dell’emporio è positiva?
«L’esperienza dell’emporio è molto positiva. In quanto raccoglie dentro di sé davvero tante realtà pistoiesi. La Caritas ne il capofila, ma rimane senza dubbio il vero valore aggiunto che all’interno di questa esperienza sia confluita Misericordia con l’eredità esperienziale dello Spaccio della Solidarietà, le Caritas parrocchiali del Centro e molti volontari che si sono avvicinati a questa esperienza spontaneamente. L’Emporio è stato fortemente sostenuto, nella sua realizzazione, dalla Fondazione Caript, che con generosità ci ha fornito i mezzi, gli spazi e le risorse iniziali per avviare il servizio.
Conad ci ha generosamente offerto l’allestimento dei beni da consegnare alle famiglie e un buon accordo commerciale per le risorse da acquistare via via. Sottolineiamo però la collaborazione con Coop, che sia a livello Regionale che locale, ha da sempre sostenuto le attività di Caritas, con le raccolte alimentari, le iniziative della Sezione Soci di Pistoia e della Fondazione il Cuore si scioglie.
Le raccolte sono state, inoltre, una risorsa fondamentale, non solo per il reperimento dei beni, ma anche e soprattutto per la sensibilizzazione del territorio pistoiese. Cogliamo l’occasione per ringraziare tutte le catene commerciali che, piccole o grandi, ci hanno permesso questa attività: Tuodì, Esselunga, Lidl.
Dopo un anno di attività dell’Emporio della Solidarietà, nato per rispondere alle molte esigenze di famiglie e singole persone che si trovano in povertà alimentare, ci avviamo a fare il primo resoconto di questa importante attività. Alla fine di novembre le tessere attive, caricate a punti, per accedere all’Emporio erano 483 per un totale di assistiti di 1677. Accedono all’Emporio dopo una valutazione da parte del nostro Centro di Ascolto».
Riscontra una mutazione, al di là dei numeri, del tipo di richieste?
L’emporio è certamente un esempio di come i servizi della Caritas si siano adeguati, con il passare del tempo, alle richieste delle persone che si affacciano nei nostri servizi. La povertà – lo abbiamo sottolineato più volte – è un concetto trasversale che interessa un po’ tutti. Non possiamo parlare di povertà senza pensare alla normalità delle famiglie, che si trovano davanti a spese impreviste o malattie: chi di noi non si riconosce in questo? Pur permanendo una netta fascia di povertà assoluta che cerchiamo di contrastare con servizi basilari (mensa, accoglienza notturna, vestiario..) rimane la grande sfida che ci viene imposta da queste nuove povertà, tanto normali e tanto vicine, che c’interrogano quotidianamente. Quindi la nostra progettazione sarà rivolta a cercare misure a sostegno delle famiglie, degli uomini soli, delle persone più fragili. Le richieste alle quali far fronte? Bollette, affitti, sostegno economico per i figli, cure mediche».
Qual è il ruolo dei volontari oggi?
«Il volontario – oggi è sempre più in futuro – ha un ruolo importantissimo, il volontario è colui che – in un’ottica generativa – deve stimolare le persone a ripartire: dopo una caduta, dopo un lutto, dopo un disastro economico o più semplicemente nell’affrontare le sfide del quotidiano. Il volontario deve uscire da un’ottica assistenziale e generare resilienza. Le persone che si rivolgono a Caritas hanno bisogno di ritrovare fiducia e speranza. Riuscire ad essere credibili, competenti e preparati: crediamo sia la sfida più importante che lanciamo a chi si affaccia nei nostri servizi e ci chiede di far parte della squadra. Non a caso diamo particolare importanza alla formazione. All’interno del nostro dossier abbiamo detto che il volontariato puro è forse la risposta più coraggiosa ad una società che ci vuole tutti più consumatori e tutti più impegnati a produrre. I nostri volontari, in silenzio e senza troppi clamori mediatici, sono costantemente impegnati a produrre gesti di amore verso coloro che ne hanno più bisogno. A loro non diciamo grazie, perché sarebbe fin troppo scontato e non è il grazie che cercano, gli diciamo: andiamo avanti, insieme c’è bisogno ancora e ancora di persone coraggiose, di folli che credono ancora in un mondo migliore e possibile, fatto di giustizia e diritti per tutti».
Cosa significa e significherà fare carità oggi e nei prossimi anni?
«Il rischio più forte che corriamo è che la carità si riduca solo ad una dimensione di risposte ai bisogni, con una scarsa dimensione di advocacy, limitate forme di collaborazione con altri soggetti, con rischi non marginali di approcci giudicanti sulle condizioni delle persone in difficoltà. Questo c’impone una ragionevole verifica della proposta pastorale Caritas rispetto al territorio; non si tratta di rinunciare a presidi ecclesiali territoriali, ma di rileggere innanzitutto il senso della proposta Caritas in termini di animazione per le nostre comunità parrocchiali.
Soprattutto, confrontandosi con un diverso tessuto parrocchiale, attraversato da strategie di ricomposizione dell’impianto ecclesiale tradizionale (zone, comunità pastorali, riduzione delle parrocchie, accorpamenti diocesani, etc.) dobbiamo ripensare probabilmente diversi approcci animativi e le aspettative di esito. Si tratta di rileggere l’indicazione circa la consonanza “ai tempi e ai bisogni”, nel senso di far emergere la capacità della Caritas di cogliere le tendenze culturali, sociali e politiche, innervandole di Vangelo in modalità creativa e di confine, e in qualche modo profetiche. La carità dovrà farci riscoprire il “carisma della soglia”. Dobbiamo essere consapevoli e preoccupati della distanza, che noi per primi registriamo, tra un atteggiamento diffuso di non accoglienza e di intolleranza nelle nostre comunità ecclesiali nei confronti dell’altro e del diverso e la lettera e lo spirito del Vangelo di Gesù. Per questo siamo sempre più convinti che dobbiamo diventare sempre di più una chiesa in uscita, una chiesa, cioè, che sa da dove viene e dove va, una chiesa estroversa, che esce per le strade del mondo, là dove l’uomo vive, capace di stare in compagnia di tutti gli uomini e le donne di buona volontà».