Un invito alla preghiera per il vescovo di Balsas

La chiesa sorella di Balsas chiede aiuto per il suo vescovo Mons. Angelo Enemésio Lazzaris

Una richiesta di aiuto che arriva direttamente dalla diocesi di Balsas, chiesa sorella della Chiesa di Pistoia, che le ha donato per più di 30 anni il vescovo Rino Carlesi (originario di Masiano) e per 14 anni la dedizione e il lavoro pastorale e umano-sociale di don Umberto Guidotti e Nadia Vettori. Non un aiuto materiale, ma una richiesta di «preghiere doppie» come lo stesso monsignor Enemésio Lazzaris, vescovo di Balsas, ha richiesto. «Raddoppiate le preghiere per me, per il mio stato di salute e perché il Signore mi dia la forza necessaria per affrontare questa prova e la Croce che Lui stesso ha voluto mettere sulle mie spalle»: è l’accorato appello che monsignor Enemésio Lazzaris ha rivolto ai fedeli presenti alla celebrazione eucaristica di domenica 15 settembre nella Chiesa cattedrale di Balsas, in occasione di una rapida visita alla sua diocesi e prima di tornare in ospedale a Araguaina nello stato del Tocantins.

Monsignor Enemésio Angelo Lazzaris, nato a Siderópolis, nello Stato di Santa Caterina, nel Sud del Brasile il 19 dicembre 1948 è stato nominato vescovo di Balsas il 12 dicembre del 2007 da Papa Benedetto XVI e consacrato il 29 marzo 2008 nella Cattedrale di Balsas.

Nel settembre del 2017 monsignor Lazzaris è stato anche a Pistoia, dove ha incontrato il vescovo Tardelli e raccontato la propria esperienza pubblicamente, nell’ottica di rafforzare il rapporto tra la chiesa di Pistoia e quella di Balsas.

All’inizio di quest’anno però, la sua salute è andata rapidamente debilitandosi e dopo altrettanto rapidi accertamenti la diagnosi ha segnalato un tumore al pancreas. Monsignor Lazzaris è stato operato e sottoposto a sessioni di chemioterapia che però non hanno dato i risultati sperati.

Queste le ultime notizie inviate dalla curia della Diocesi di Balsas: «Abbiamo ricevuto una rapida visita di Dom Enemesio, ma le notizie non sono molto buone … è sempre piu magro ma nonostante tutta la sua fragilità, domenica 15 ha celebrato la Messa delle 6.30 nella Chiesa Cattedrale. E durante la Messa ha chiesto che si pregasse “em dobro” (il doppio) per lui». Che la Chiesa sorella di Pistoia risponda a questa richiesta, a questo appello con la generosità che sempre ha avuto verso la Chiesa di Balsas.

Nadia Vettori

 




Dalla paura al coraggio: sabato 14 torna la marcia per la giustizia

Sabato 14 settembre si svolgerà la 26° Marcia della giustizia Agliana-Quarrata

Antonio Vermigli, direttore del trimestrale InDialogo e membro della Rete Radié Resch di Quarrata ci presenta la prossima edizione della Marcia della Giustizia.

Il tema della prossima Marcia sarà “dalla paura al coraggio”: perché questa scelta?

Oggi viviamo dominati dall’ideologia della paura che congela tutte le positività che abbiamo. Seguiamo le sirene della sicurezza; vengono demonizzati gli stranieri al fine di ottenere consenso elettorale attraverso la “pancia” della gente, nascondendo tutta la nostra umanità.
Tanti credenti che non oso chiamare cristiani vivono nell’indifferenza. Il problema vero è il quasi ormai perduto senso della relazione umana, perchè si teme il futuro e ci si arrocca su sicurezze senza prospettive, chiudendosi non soltanto a un orizzonti umano, aperto al nostro tempo, ma anche a quello del Regno di Dio. Eppure sono proprio la relazione umana e il bisogno dell’altro che ci consentono di guardare verso una trasfigurazione della realtà. In ogni essere umano c’è un desiderio onesto di futuro che sogni e prepari un bene comune definitivo; altrimenti …che senso avrebbe la vita? La certezza è che viviamo in un mondo ingiusto e irragionevole, per questo urge un’esigenza di verità nella relazione umana.

Cosa dovremmo fare in merito?

Abbiamo bisogno di un risveglio di autocoscienza umana, perchè attraverso la nostra parte utopica che si rivela, possiamo riscoprire il desiderio più profondo che abbiamo nel cuore e che spesso teniamo nascosto o soffochiamo perchè abbiamo timore, paura del giudizio degli altri.

Qual è il significato di questa nuovo evento all’insegna della giustizia?

Riconoscere il senso dell’universale invito all’umanità, per chi è credente al Vangelo, significa assumere l’utopia del vivere con amore gratuito e giusto, la via della liberazione dell’esistenza personale e della convivenza nella società.

Daniela Raspollini

PROGRAMMA

26a Marcia per la giustizia Agliana-Quarrata (PT)
sabato 14 settembre 2019

don Luigi Ciotti, fondatore Gruppo Abele e Libera
Antonietta Potente, teologa domenicana
Mohamed Ba, senegalese, attore, scrittore e mediatore culturale
don Massimo Biancalani, parroco di Vicofaro

Ritrovo in Piazza Gramsci a Agliana ore 18, partenza ore 18.45, arrivo a Quarrata ore 21. Chi desidera può lasciare la macchina a Quarrata: dalle ore 16.30 alle 17.30 ci saranno dei bus-navetta che partiranno dalla piazza del Comune per andare a Agliana. Al termine della marcia saranno presenti i pullman per ritornare a Agliana.
info: rete@rrrquarrata.it




Adorare nella chiesa di Michelucci

Si svolgerà nella chiesa dell’Autostrada il decimo convegno delle adorazioni eucaristiche della Toscana

Sabato 14 settembre, presso la Chiesa dell’Autostrada si svolgerà il X convegno delle adorazioni eucaristiche della Toscana. Il tema di quest’anno sarà: «“Cuore di Gesù, sorgente di Misericordia”: sostare per adorare l’amore». P. Giordano Favillini, della Fraternità apostolica di Gerusalemme di Pistoia, ci presenta questa iniziativa diventata ormai tradizionale.

Il convegno regionale delle adorazioni eucaristiche è ormai diventato un appuntamento tradizionale, qual è lo scopo di questo importante evento?

Lo scopo è duplice: da una parte sostenere con questo evento comunitario gli adoratori, dall’altro far conoscere che nella nostra regione esiste un movimento che vive e promuove l’adorazione eucaristica.

L’incontro è rivolto in primo luogo a tutti gli adoratori che partecipano con un ora di adorazione la settimana a questa missione di intercessione, ma tutti possono partecipare: chiunque volesse vivere un pomeriggio di preghiera e di ascolto è accolto con grande gioia.

Quale sarà il programma dell’incontro? Può ricordare chi sarà presente?

Sarà un convegno prevalentemente di preghiera, ma ci sarà una catechesi del moderatore  di “Charis” Jean Luc Moens. “Charis” è un organismo voluto da Papa Francesco che riunisce a livello mondiale tutte le realtà cattoliche a carattere carismatico. A seguire un’adorazione comunitaria e al termine la S Messa solenne presieduta dal neo vescovo di Prato monsignor Giovanni Nerbini.

C’è un invito con cui vuole sollecitare alla partecipazione?

La nostra società ha bisogno di rimettere al centro il Signore Gesù, che di fatto è sempre più emarginato e i danni di questa emarginazione si vedono ogni giorno. L’adorazione Eucaristica è un esercizio pedagogico per ritrovare la centralità di Gesù, stabilire un rapporto con Lui, intraprendere un dialogo del cuore con Lui che è la Via la Verità la Vita. L’Eucarestia è il cuore di Gesù donato al mondo perché l’umanità abbia un luogo dove attingere amore e forza per vivere bene e nella verità l’esistenza terrena. Tutti sono invitati a riscoprire il valore e la bellezza salvifica dell’Eucaristia.

Programma

Ore 14.30: accoglienza e presentazione della Chiesa

Ore 15.00: Santo Rosario

Ore 16.00: Catechesi eucaristica di Jean-Luc Moens (Moderatore Charis)

Ore 16.45: adorazione eucaristica guidata da p. Giordano Favillini

Ore 18.00: Santa Messa presideuta da mons. Giovanni Nerbini, vescovo di Prato.

 

La chiesa di San Giovanni Battista, chiamata anche chiesa dell’Autostrada del Sole si raggiunge esternamente a piedi da via Limite 82 – Campi Bisenzio (FI), oppure, esternamente all’area di Servizio Firenze-Nord A1, sostando direttamente davanti alla chiesa (tel. 055 4219016, ore 9-17).

 

D.R.




La Mariapoli a Cutigliano

Nel weekend del 22-23 giugno un’appuntamento eccezionale a cura del movimento dei Focolari

La Mariapoli, la “Città di Maria” è l’appuntamento caratteristico del Movimento dei Focolari.
In numerosi Paesi del mondo infatti, persone delle più varie provenienze si ritrovano per più giorni per vivere insieme un laboratorio di fraternità, alla luce dei valori universali del Vangelo.

Questa originale esperienza ha come linea guida la “regola d’oro” che invita a fare agli altri quello che si vorrebbe fosse fatto a sé. Sono giorni per sperimentare come sia possibile vivere nella quotidianità, ponendo a base di ogni rapporto l’ascolto, la gratuità il dono: un bozzetto di società rinnovata dall’amore. Le prime Mariapoli sono ormai lontane, organizzate circa 70 anni fa sulle Dolomiti a Tonadico, dove quest’anno i focolarini torneranno per una Mariapoli europea che costruirà la fraternità fra popoli diversi provenienti dalle nazioni europee dal 14 luglio all’11 agosto.

Per la Toscana abbiamo pensato di puntare a Cutigliano, un paese caratteristico della nostra montagna per sperimentare lì questi momenti di comunione, e immersi nella natura, dare vita alla nostra Mariapoli. Avremo occasioni di approfondimenti spirituali con lo scambio di testimonianze che porteranno sicuramente momenti di luce perché vissute nell’amore, ma anche di passeggiate e momenti ricreativi che faranno di questa occasione un fine settimana di gioia.

A Cutigliano il punto di ritrovo è previsto per venerdì 21 giugno all’albergo Villa Basilewsky alle ore 16, con l’assegnazione degli alloggi; la S. Messa è alle 17.30, seguirà la presentazione della Mariapoli.

Il sabato 22 il programma propone momenti all’aperto e incontri di spiritualità.
Domenica 23  la S. Messa e il pranzo, poi ci saranno i saluti finali con possibilità di partecipare alle 17.30 alla processione del Corpus Domini con l’infiorata.

Quota completa 150 Euro a persona. Per informazioni: Luciana Vignozzi: 339 6541308 – e Giuseppe Messeri: 334 7051795 – Per info: famberrettini@gmail.com .

Per motivi organizzativi è necessario iscriversi in questa pagina.
Si può partecipare anche per una giornata.




Una luminosa testimonianza di fede nella persecuzione

A seguito del recente viaggio del papa in Romania, durante il quale sono stati beatificati sette vescovi martiri del comunismo, rendiamo nota la testimonianza di suor Clara Laslau, prozia di due fratelli della nostra diocesi: don Cipriano, parroco di San Marcello e don Eusebiu Farcas, che sarà ordinato sacerdote il prossimo 30 giugno.

Nel suo recente viaggio in Romania Papa Francesco ha beatificato sette vescovi martiri greco-cattolici vittime della persecuzione comunista: Vasile Aftenie e Ioan Balan, Valeriu Traian Frentiu, Ioan Suciu, Tit Liviu Chinezu, Alexandru Rusu.
Con l’avvento del regime comunista infatti, a partire dal 1948 si scatenò in Romania una feroce persecuzione: «in quel triste periodo – ricorda il papa-, la vita della comunità cattolica era messa a dura prova dal regime dittatoriale e ateo: tutti i Vescovi, e molti fedeli, della Chiesa Greco-Cattolica e della Chiesa Cattolica di Rito Latino furono perseguitati e incarcerati». La testimonianza di questi martiri suscita oggi una forte impressione: «È eloquente quanto ha dichiarato durante la prigionia il Vescovo Iuliu Hossu: “Dio ci ha mandato in queste tenebre della sofferenza per donare il perdono e pregare per la conversione di tutti”».

Anche nella nostra diocesi di Pistoia vive il ricorda di una vittima delle persecuzioni del regime comunista. Si tratta di Suor Clara Laslau, suora del monastero di Sant’Agnese di Bucarest e parente di don Cipriano Farcas e del fratello Eusebio, che sarà ordinato sacerdote il prossimo 30 giugno. Una vocazione “familiare” che è anche il frutto della preghiera e della testimonianza di una prozia che ha duramente sofferto per la propria fede.

Suor Clara, nata nel 1912 nel villaggio di Pustiana presso Bacău, all’età di 17 anni entrò nella vita religiosa. Nel 1938 fu inviata alla Nunziatura apostolica a Bucarest, dove lavorò per 12 anni. Arrestata nel 1950 fu torturata nel tentativo di ottenere informazioni e condannata al carcere per alto tradimento. Rilasciata nel 1964, si ritirò nel “Monastero di Agnese” a Popeşti-Leordeni. È morta il 23 agosto 2009, all’età di 97 anni.
Ci piace dunque proporre un’intervista pubblicata sul numero di giugno 2007 della Rivista “Sacro Cuore”.

Ricorda ancora come avvenne l’arresto?

Ricordo benissimo. Verso le undici di sera salirono nella mansarda, sfondarono due porte e ci trovarono tutte nella cappella in preghiera col vescovo. Erano circa venti uomini, armati. […] Mi fecero salire in macchina con suor Tarsila e due soldati. Sentivo che non sarei più tornata.

Arrivati alla Polizia Segreta mi misero un paio di occhiali neri e fui bendata: ricordo solo che mi facevano scendere le scale e sentivo sempre più fresco. Quando mi tolsero gli occhiali, un ufficiale era seduto al suo tavolo e scriveva; accanto a lui vi erano due soldati. L’ufficiale mi gridò: “Spogliati”. “Sono religiosa, non posso togliermi il vestito davanti ad estranei”. Egli bestemmiava e gridava: “Levati quel vestito”. Non potevo sentire quelle urla e quelle bestemmie. Mi levai il velo e lo baciai. L’ufficiale seguitava a ridere e a vomitare bestemmie. Pensai all’umiliazione di Gesù spogliato delle sue vesti. Tolsi il vestito religioso e rimasi con la gonna e una camicia con le maniche corte. Era già passata mezzanotte e mi interrogarono fino al mattino.

In quella notte del 19 luglio avevano arrestato noi della nunziatura e tutti i fratelli della cattedrale. Fu una notte tremenda: in ogni parrocchia avevano arrestato qualcuno. Per quattordici giorni ci interrogarono, poi ci trasferirono a Jilava, una prigione di Bucarest che scendeva fino a venti metri sotto terra. Mi assicuravano che mi avrebbero concesso subito la libertà, se avessi rinunciato alla vita religiosa. “Ho già fatto i voti perpetui al Signore e non a un semplice mortale”. “È solo una proposta”. Mi fecero anche un’altra proposta: “Se entri nella chiesa ortodossa, sei subito libera”. “No, io sono cresciuta nella chiesa cattolica e nella mia fede voglio morire”. “Non ti costringiamo, solo se tu vuoi”. La terza proposta: “Non occorre che tu rinunci alla vita religiosa, né alla fede cattolica. Puoi tornare in nunziatura, anche senza lavorare come prima. Basta che tu vada di parrocchia in parrocchia, guardi ciò che fanno i preti e venga a riferircelo. Ti paghiamo bene”. “Preferisco morire in prigione piuttosto che far la parte di Giuda”. Per sei mesi continuarono a farmi simili proposte.

Come era la vita a Jilava?

Le celle occupate da noi donne erano di circa sei metri per cinque. Sulle pareti della cella c’erano assi appoggiate su travi con sopra sacconi pieni di paglia. […]In questo ambiente dormivamo, strette come sardine, in settanta-ottanta donne, giovani e anziane. Potevamo coricarci solo sul fianco, perché non c’era posto per mettersi di schiena. Si può facilmente immaginare il terribile tanfo che regnava. [… ] Se si doveva lavare avevamo uno straccio grande come una mano, ci mancava poi l’acqua da bere. Ricevevamo circa tre gamelle di acqua al giorno e ci si aiutava. In estate la mancanza d’aria, il caldo e la puzza di quel locale erano davvero qualcosa di impossibile.

Come era il cibo?

Si mangiava, perché non c’era altro. A mezzogiorno di solito ci davano una gamella di orzo condito con il grasso tolto dalle frattaglie. Alle volte ci davano una poltiglia verde fatta con un po’ di foglie di cavolo. A cena si riceveva solo orzo cotto nell’acqua, ma almeno era pulito e non puzzava. A colazione c’era sempre una specie di polenta brodosa ed era una fortuna quando non era ammuffita. […]

Ci sono forse state anche delle torture?

Sì. Il 7 dicembre 1950 per esempio. Me lo ricordo ancora bene. Fui sottoposta a un duro interrogatorio, dalle sette fino alle dieci di sera. Erano in due, un ufficiale e un poliziotto. Il capitano stava seduto sul tavolo con i piedi in giù e io dovetti mettermi in piedi davanti a lui. Aveva gli stivali militari con le punte munite di archetti di ferro appositamente per colpire gli interrogati. Sedeva davanti a me e mi colpiva nelle gambe. Tac-tac, tac-tac. Faceva sempre così. A volte mi giravo, perché non ne potevo più dal dolore. Allora lui urlava, bestemmiava, mi colpiva con pugni sulla faccia e sul petto. […] Sanguinavo. Tutto questo trattamento durò tre ore. Volevano che dicessi ciò che volevano loro. Ringrazio il Signore che mi ha aiutato e mi ha dato la forza di non denunciare nessuno.
A un certo punto ricevetti un pugno molto forte sull’orecchio; sentii che si era rotto qualche cosa. Dissi che da quell’orecchio non ci sentivo più. Il poliziotto che mi aveva colpito bestemmiò e gridò che lo guardassi in viso. Mi colpì al petto con un pugno fortissimo. Dissi che sentivo sangue in bocca. Allora smisero di colpirmi.

Un giorno il giudice istruttore mi presentò una dichiarazione da firmare, in cui affermavo che il denaro lasciatomi dal nunzio era destinato ai vescovi e ai sacerdoti, per aiutare i partigiani, che combattevano contro i comunisti. […] “Non posso firmare, è una dichiarazione falsa. Quel denaro era per vivere”. Mi appioppò un paio di schiaffi da farmi vedere le stelle. Però così fui liberata dall’essere testimone in un processo. Molta gente era in prigione per false dichiarazioni.

Suor Clara, pensando alle torture passate o a quelle possibili in futuro non ha mai avuto momenti di cedimento, di abbattimento, di dubbio?

Sì, ci fu un momento di inferno. Negli interrogatori sentivo sempre bestemmie e oscenità contro il Santo Padre e la Chiesa, vedevo che loro avevano la forza. I nostri vescovi erano tutti in prigione. Fui tentata di pensare che ormai tutto era perduto, che era inutile resistere. […] Andavo avanti e indietro nella cella, continuavo a pregare, invocavo il Signore con tutto il cuore, ma non scorgevo via d’uscita. Mi sentivo perduta. Finalmente il Signore mi venne in aiuto. Sentii risuonare dentro di me la voce del Santo Padre: “ È desiderio e volontà della Chiesa che i missionari e le missionarie in tempo di persecuzione non abbandonino il campo. Devono restare al loro posto”. Sentii la voce della mia madre superiora: “Quello che hai fatto, l’hai fatto in ubbidienza”. In quel momento tutto il buio, la confusione e l’oscurità scomparvero e finirono anche gli interrogatori più difficili.

Mi dica del processo.

Il 7 marzo 1952 sono stata avvertita che il mio processo avrebbe avuto luogo il venerdì 19 aprile. Proprio il venerdì santo degli ortodossi. Al processo eravamo in quattordici. […] Quando tutti i quattordici imputati furono interrogati, iniziò la vera accusa. Il presidente a me disse che ero una spia del Vaticano, che avevo dato informazioni politiche al nunzio; che il Papa era il capo dei criminali […]. Quando sentii dire in un’aula pubblica, in un processo, che il Papa era il capo dei criminali, io che avevo servito per dodici anni la Santa Chiesa con amore e venerazione nella nunziatura, mi sentii trafiggere il cuore. In quel momento mi sentii invadere da una forza misteriosa, enorme, come se si fosse concentrata nel mio petto tutta la fede della mia povera famiglia di contadini della Moldavia, tutta la fede delle mie madri e sorelle del monastero. In quel momento io povera suora del Signore mi sentii fortissima; più forte di tutti i carri armati di Stalin.

Sentii che dovevo parlare. Sapevo che avrei aggravato la mia pena, ma non me importava proprio nulla. Con calma, ma fermissima dissi: “Chiedo la parola. Signor presidente, lei ha affermato che il Papa è il capo dei criminali. No, signor presidente, il Santo Padre non è il capo dei criminali, il Santo Padre è il rappresentate del Signore, il Santo Padre è il capo della Chiesa cattolica di tutto il mondo. Avete imprigionato tutti i vescovi, tanti sacerdoti e suore e laici cattolici. Avete abolito la chiesa cattolica di rito bizantino e avete costretto con la violenza centinaia di migliaia di persone cattoliche a passare alla religione ortodossa.

Volete costruire la vostra dittatura atea, distruggendo la chiesa, imprigionando, uccidendo. Era giusto che il nunzio apostolico informasse il Santo Padre sulla sorte dei suoi figli. Ha detto la pura verità. Era giusto che in occidente si sapesse…”.

A questo punto l’avvocato difensore, che mi era stato imposto, mi interruppe dicendo: “Signor Presidente, non badi a quello che ha detto, perché è analfabeta”. (Un’analfabeta, che parlava quattro lingue!) Il vescovo Ioan Dragomir parlò quasi un’ora. Iniziò dicendo: “Signor presidente, noi ringraziamo Dio che ci dona la grazia di essere giudicati proprio oggi, venerdì santo”.Il presidente lo interruppe gridando: “Cosa vuoi? Vuoi convertirci? Smettila”. Ma egli continuò imperterrito: “Gesù fu venduto da Giuda per trenta denari d’argento, condannato, crocifisso”.

“Vuoi catechizzarci? Finiscila!”[…] Il processo durò dalle otto del mattino fino alle dieci di sera. Alla fine i membri del tribunale si alzarono in piedi, il presidente lesse le condanne. A me diedero quattordici anni.
Finita la lettura delle condanne, il vescovo Dragomir intonò il Christus vincit. Cantammo per tre volte: Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat.
Cantavo e avevo gli occhi lucidi. Per la gioia.

Intervista realizzata da Don Antonio Rossi [Trascrizione dalla rivista “Sacro Cuore”, giugno 2007]




Il Papa autorizza i pellegrinaggi a Medjugorje

CITTA DEL VATICANO – Papa Francesco ha deciso di autorizzare i pellegrinaggi a Medjugorje, che dunque potranno d’ora in poi essere ufficialmente organizzati dalle diocesi e dalle parrocchie e non avverranno più soltanto in forma “privataˮ come accaduto finora.

Il direttore “ad interim” della Sala Stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti, ha detto che «Considerati il notevole flusso di persone che si recano a Medjugorje e gli abbondanti frutti di grazia che ne sono scaturiti tale disposizione di Papa Francesco rientra nella peculiare attenzione pastorale che il Santo Padre ha inteso dare a quella realtà, rivolta a favorire e promuovere i frutti di bene».

Tale autorizzazione papale non fa però venir meno la cura di evitare che i pellegrinaggi siano interpretati come una autenticazione dei noti avvenimenti, che richiedono ancora un esame da parte della Chiesa.




La fede in Siria tiene accesa la speranza

Don Ihab Alrachid, sacerdote della diocesi di Damasco, racconta le sofferenze e le speranze dei cristiani in Siria. Don Ihab offrirà la sua testimonianza a Pistoia in occasione della Veglia per i missionari martiri di sabato 23 marzo.

Don Ihab, lei è sacerdote di rito greco-melchita cattolico della diocesi di Damasco (Siria). Può raccontarci qualcosa della sua chiesa e della sua storia?

Sì, io sono sacerdote della chiesa greco melchita cattolica di Damasco. La nostra chiesa è molto antica ed è in comunione con quella di Roma. Seguiamo un rito bizantino che risale a san Giovanni Crisostomo. La nostra, dopo quella ortodossa, è la seconda chiesa in Siria. Personalmente ho frequentato il seminario maggiore dal 1992 al 1998 in Libano a Beirut, nel 1999 sono stato ordinato sacerdote a Damasco, dove ho lavorato come segretario presso il vescovo che è anche il patriarca della nostra Chiesa greco melchita cattolica. Sono stato poi a Roma per motivi di studio; qui ho conseguito la Licenza al Pontificio Istituto Orientale e nel 2010 ho discusso il dottorato in Diritto Canonico all’Università Lateranense. Poi ho fatto ritorno in Siria per qualche anno. Adesso sono di nuovo a Roma a perfezionare i miei studi alla Sacra Rota.

Com’è cambiata la situazione per i cristiani con la guerra?

Prima della guerra in Siria avevamo una certa libertà religiosa: professavamo senza pericolo la nostra fede, potevamo festeggiare liberamente le nostre feste. Anzi, le feste cristiane erano feste pubbliche, così pure il giorno di riposo, che generalmente è il venerdì e il sabato in Medio Oriente, era tutelato per i cristiani. Quanti erano impiegati statali potevano arrivare al lavoro un po’ più tardi, così da permettere la frequenza della messa. Con la guerra, che ormai dura da otto anni, sono cambiate tante cose, specialmente là dove sono entrati i gruppi di terroristi armati. Questa gente, quasi tutta proveniente dall’estero, è venuta per rapire e uccidere, specialmente i cristiani. Tanti sono morti per la fede in Siria. Come ha detto papa Francesco «i martiri portano avanti il Regno di Dio, seminano cristiani per il futuro». Tanti erano i martiri nei primi secoli ma ora, di nuovo, è grande il numero di quanti perdono la vita per la fede cristiana.
Purtroppo, ormai, molti cristiani sono andati via dalla Siria. Non c’è una cifra esatta, ma pensiamo circa la metà. È una perdita importante. Adesso sono sparsi in tutto il mondo; tanti cristiani sono fuggiti negli Stati Uniti, in Canada, Australia, per salvare la loro vita.

Crede che ritorneranno?

Non ne abbiamo la sicurezza. Ma questa è la nostra terra, la terra dove è nato il Salvatore. Anche il Papa ha detto: «Vogliamo affermare ancora una volta che non è possibile immaginare il Medio Oriente senza cristiani».

Ci sono alcuni episodi che lo hanno colpito in questi anni di violenza e di guerre?

Conoscevo tre persone che abitavano in un villaggio a 55 km da Damasco, il villaggio di Lula. Il 90% della popolazione lì è fatto da cristiani. Tre persone sono morte, una dopo l’altra, uccise dai terroristi perché non hanno accettato di rinnegare la loro fede cristiana. Io personalmente conoscevo tutti e tre, ma uno in particolare che svolgeva il compito di sacrestano nella chiesa del villaggio. Ci ha raccontato il fatto la sorella di uno di loro, che nascosta ha visto come i terroristi hanno ucciso il fratello senza poter reagire. Se l’avessero trovata sarebbe toccato anche a lei. Se i terroristi vedono le ragazze le violentano e poi le rapiscono, oppure se si rifiutano le uccidono subito.

Come si vive oggi la fede in Siria?

In Siria le nostre chiese sono ancora piene di fedeli dopo otto anni di guerra. Anche se andare in chiesa diventa molto pericoloso. Molti sono morti cercando di arrivarci. Un ragazzo che conoscevo, membro del coro della mia ex parrocchia, mentre stava andando in chiesa per guidare le prove del coro dei bambini è morto per la caduta di un razzo. Eppure le nostre chiese sono piene di fedeli. In Siria, nonostante tutto, siamo ancora molto attaccati alla fede e mi dispiace quando vedo qui in Italia o in Europa le chiese vuote. Dobbiamo ritornare alle radici del cristianesimo.

Qual è l’impegno di Aiuto alla Chiesa che soffre in Siria? Quali progetti e quali priorità ci sono adesso?

ACS, sapendo che ero studente a Roma, mi ha contattato per andare in giro a offrire una testimonianza. Questa fondazione di diritto pontificio è entrata in Siria per aiutare i cristiani rimasti in patria che ora sono bisognosi di tutto. La guerra ha portato tante distruzioni, anche molte chiese sono state distrutte. Aiuto alla Chiesa che Soffre ha aiutato finora molte comunità, sia per la ricostruzione delle chiese che per la vita quotidiana dei fedeli. Il progetto che proporremo a Pistoia riguarda la città di Lattakia e il sostegno alla tante famiglie di sfollati che vivono lì e sono bisognose di tutto.
Appena ho un po’ di tempo cerco di offrire la mia testimonianza, per raccontare com’era prima la situazione dei cristiani e com’è adesso. In Siria cristiani e musulmani andavano d’accordo. Ricordo che San Giovanni Paolo II nel 2001 ha potuto visitare la Grande Moschea di Damasco dove si trovano i resti di Giovanni Battista. Prima la situazione era molto diversa.

Quale futuro immagina per il suo paese?

Non possiamo perdere la speranza. La situazione è molto migliorata. Adesso i gruppi terroristici sono stati respinti in gran parte. Speriamo che la Siria ritorni come prima e specialmente che i cristiani possano tornare. Preghiamo perché questa guerra possa finire al più presto. Vorrei, infine, ringraziare la Diocesi di Pistoia per questo invito e per l’opportunità di testimoniare che cosa hanno subito i cristiani in Siria.

Daniela Raspollini




La Toscana da San Francesco

I Comuni della regione offriranno l’olio che arde sulla tomba del Patrono d’Italia. Un programma di iniziative spirituali e culturali per prepararsi al pellegrinaggio di ottobre

Saranno i Comuni della Toscana ad offrire, quest’anno, l’olio per la lampada che arde dinanzi alla tomba di San Francesco, ad Assisi: ogni anno infatti le diverse regioni italiane si alternano in questo gesto di omaggio al Patrono d’Italia. In vista di questo appuntamento, che sarà nei giorni 3 e 4 ottobre prossimi, la macchina organizzativa si è già messa in moto. La Conferenza Episcopale Toscana ha affidato ai vescovi Rodolfo Cetoloni (Grosseto) e Giovanni Roncari (Pitigliano-Sovana-Orbetello), entrambi francescani, il compito di coordinare tutta la fase di preparazione, che porterà la Toscana, nelle sue rappresentanze ecclesiali e civili, a compiere questo gesto di devozione e di affidamento al patrono d’Italia i prossimi 3-4 ottobre. Sono stati loro, insieme al cardinale Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze e Presidente della Conferenza Episcopale Toscana, a presentare questa mattina nei locali della Curia arcivescovile di Firenze le iniziative in programma e il Messaggio che i Vescovi toscani hanno scritto per l’occasione.

«Con cuore fraterno e paterno – scrivono i Vescovi – invitiamo tutti gli uomini e le donne della Toscana, i fedeli e le popolazioni delle nostre terre con le loro istituzioni, a rispondere generosamente e di persona a questo invito: Quest’anno… la Toscana da san Francesco!»

Nei giorni scorsi, nel convento francescano di San Salvatore al Monte, a Firenze, si è riunito infatti per la prima volta il tavolo dei delegati di ciascuna delle 18 Diocesi toscane e dei rappresentanti della famiglia francescana toscana, per iniziare il cammino. Sono molto gli aspetti di cui tenere conto nell’organizzare il pellegrinaggio della Toscana ad Assisi. Questioni logistiche ed organizzative, ma non solo: rinnovare la tradizione – per la Toscana, l’ultima volta era stata nel 1999 – di offrire l’olio ad Assisi è prima di tutto ritornare alla sorgente del messaggio che san Francesco ha lasciato e che continua ad essere provocazione profetica anche per gli uomini e le donne di questa generazione. L‘offerta dell’olio si concretizzerà con  il gesto attraverso cui nella festa di San Francesco, il 4 ottobre, come vuole la tradizione, il sindaco del Capoluogo di regione riaccende la lampada. Già dal pomeriggio del 3 ottobre ci saranno momenti di preghiera, mentre la giornata del 4 culminerà con la benedizione all’Italia con la reliquia del Santo.

Ci sarà, dunque, un «prima», che servirà a far sì che in tutte le Diocesi ci si incammini con il cuore già da adesso verso Assisi, ma ci sarà anche un «dopo», per fare in modo che questo gesto di devozione non si esaurisca il 4 ottobre, ma sia capace di generare nuovi, copiosi frutti in Toscana. D’altra parte il legame storico e spirituale di questa regione con san Francesco e il francescanesimo in generale è molto forte. Ne sono testimonianza i tanti luoghi nei quali il Poverello ha lasciato traccia del suo passaggio, a partire dal sacro monte de La Verna, dove Francesco ricevette le stimmate, senza dimenticare città e paesi ancora oggi sono custodi di una presenza francescana.

Il tavolo tra i delegati delle Diocesi e delle realtà francescane si riunirà di nuovo a breve, ma già molte idee sono state messe sul tavolo. «Ci saranno – ha spiegato il vescovo Cetoloni – iniziative più prettamente spirituali, a cui si è iniziato a pensare, per ancorare il gesto dell’offerta dell’olio ad una rilettura del messaggio francescano, così come ci saranno iniziative culturali per stimolare in tutti, credenti e non, la consapevolezza di quanto la Toscana abbia assorbito, nei secoli, il carisma del Poverello d’Assisi. E poi iniziative pensate per i giovani e proposte di comunicazione». Padre Roncari ha ricordato quello che le Fonti Francescane dicono del Poverello di Assisi: «Attraverso San Francesco, Gesù è tornato nel cuore di molti che lo avevano dimenticato. Anche oggi, in un’epoca di indifferenza religiosa, i santi sono il tramite per riscoprire Cristo». «L’appello – ha concluso il cardinale Betori – è alla comunità ecclesiale, ma anche alla comunità civile e alle sue istituzioni, perché questa sia l’occasione  per una riflessione su come il volto autentico dell’uomo che Cristo ci ha rivelato, e che Francesco ha saputo così ben interpretare, possa essere ispiratore di una società più giusta e più attenta alla dignità delle persone».

Giacomo D’Onofrio

Leggi il messaggio dei Vescovi Toscani




Una messa per Chiara Lubich

Nella chiesa della Fondazione Maic di Pistoia una santa messa per l’anniversario della morte di Chiara Lubich. Rosanna Caselli, del Movimento dei Focolari ci presenta l’iniziativa.

 di Daniela Raspollini

 

Quest’anno i Focolari di Pistoia come hanno ricordato la loro fondatrice?

Per ricordare Chiara, immensamente grati per i doni ricevuti, abbiamo sentito l’esigenza di raccoglierci insieme nella Chiesa di S. Maria Assunta presso la Fondazione Maic, per la Celebrazione della S. Messa presieduta da don Diego Pancaldo e don Andrea Mati giovedì 14 marzo alle ore 18. Chiara Lubich ci aiuta sempre a puntare a Gesù per correre ad amare: «tutto è in funzione del servire i fratelli – scriveva Chiara-; è gioioso per me stare con voi, ma il mio fine è amare Gesù in voi. Può darsi che l’incontro con un fratello mi faccia trovare il dolore, ma è importante amare il fratello in quel dolore».

 

Perché pensate che sia importante ricordare questa figura?

Pensiamo che sia importante perché il suo messaggio di 75 anni fa è sempre attuale, perché centrato nel Vangelo: «avevamo intuito, anche se vagamente, che cos’è la Parola di Dio, questo tesoro che abbiamo a disposizione e che non sappiamo renderci conto di quanto valga. Prendevamo una Parola di vita e volevamo assimilarla. Mi ricordo che parlavamo allora della possibilità di fare tre comunioni: la comunione con Gesù Eucaristia, la comunione con la Parola di vita, la comunione col fratello. Da quel momento abbiamo preso Parola per Parola per farla nostra e la si distendeva per tutta la giornata. Per acquistare un altro modo di vedere, un altro modo di sapere, un altro modo di amare (…). Sentivamo di dover essere la Parola, di aver senso solo essendo la Parola. Nient’altro aveva significato (…) perciò in noi non viveva più Chiara, Graziella, Natalia… ma viveva Cristo che è la Parola».

 

Quale messaggio avete inteso consegnare con questo incontro di memoria e preghiera?

In questa celebrazione, pregando per Chiara, abbiamo ravvivato il nostro impegno a seguirla come esempio per la realizzazione del Testamento di Gesù: «Che tutti siano Uno…».

Come diceva papa Francesco lo scorso maggio nella sua visita a Loppiano: «Una famiglia in cui tutti si riconoscono figli e figlie dell’unico Padre, impegnati a vivere tra loro e verso tutti il comandamento dell’amore reciproco. Non per starsene tranquilli fuori dal mondo, ma per uscire, per incontrare, per prendersi cura, per gettare a piene mani il lievito del Vangelo nella pasta della società, soprattutto là dove ce n’è più bisogno, dove la gioia del Vangelo è attesa e invocata: nella povertà, nella sofferenza, nella prova, nella ricerca, nel dubbio. Il carisma dell’unità è uno stimolo provvidenziale e un aiuto potente a vivere questa mistica evangelica del noi, e cioè a camminare insieme nella storia degli uomini e delle donne del nostro tempo come “un cuore solo e un’anima sola” (cfr At 4,32), scoprendosi e amandosi in concreto quali “membra gli uni degli altri” (cfr Rm 12,5)».




Lo sguardo che ti cambia la vita

Il cammino di conversione dell’attore Pietro Sarubbi, in scena a Montemurlo con un monologo dedicato a San Pietro.

Venerdì 22 febbraio a Montemurlo (Teatro sala Banti, ore 21) l’attore Pietro Sarubbi porta in scena lo spettacolo teatrale: «Seguimi. Da oggi ti chiamerai Pietro». Lo spettacolo racconta, con delicatezza e sensibilità, la storia di san Pietro apostolo. Pietro Sarubbi è attore, regista e docente di regia cinematografica, già interprete di Barabba nel film di Mel Gibson “The Passion”: un film che gli ha cambiato la vita. Durante le riprese infatti, attraverso il volto dell’interprete Jim Caviezel, lo sguardo di “Gesù” lo ha segnato profondamente, mettendo a nudo un’inquietudine e una ricerca di senso che portava da sempre nel cuore. Abbiamo raggiunto l’attore per raccogliere la sua testimonianza di vita e illustrarci il suo spettacolo.

Una prima occhiata alla sua biografia rivela un percorso davvero ricco e vario, ma anche segnato da una certa inquietudine. Qual è il filo rosso che lega tante esperienze diverse?

Certamente l’inquietudine è il filo rosso che ha tenuto insieme tante vicende. Un filo rosso legato ad un disagio, a una insoddisfazione, a un’inquietudine di cui non saprei indicare l’origine. Non ho un vero motivo che potrei individuare per dare nome a questa realtà, è una specie di malessere del cuore che ti porti dentro. Non ho mai capito. Forse, se penso a quando ero piccolo, posso ricollegarmi al fatto che i miei genitori erano emigrati del sud; io sono nato a Milano, ma avevo addosso qualcosa di diverso; non so cosa possa essere stato il motivo di questo disagio: forse il mio sentirmi diverso, un po’ più grande di statura dei miei compagni di classe …sta di fatto che l’inquietudine è andata aumentando con la vita e questo ha fatto sì che desiderando sfuggire a questa morsa, sfuggissi a me stesso e trovassi anche un modo di allontanarmi dalla realtà. Ho cioè fatto l’attore, fuggendo in qualche modo anche a delle responsabilità oggettive, quasi  per nascondermi. Fare l’attore, infatti, mi permetteva di stare dentro un’inquietudine continua, sempre sul filo del rasoio, in una condizione propria di questo mestiere. Noi attori ogni volta che abbiamo un provino siamo sotto giudizio e in ogni spettacolo c’è un pubblico che “per soli 10 franchi” come diceva Diderot giudica la tua vita. Ma il giudizio alla fine puoi sempre allontanarlo da te per farlo ricadere sul personaggio che interpreti, sulla maschera del momento. Insomma, una sfida continua, con una sorta di malessere che mi ha accompagnato per tanti anni. Fino al film con Mel Gibson. Lì è accaduto un incontro con Dio che mi ha cambiato la vita, ma ci è voluto un anno intero per comprendere fino in fondo cosa stava succedendo. Ci è voluta una compagnia perché non ero attrezzato, non avevo riferimenti. È impossibile essere cristiani da soli: c’è bisogno di una compagnia che ti richiama alla realtà, alla concretezza, sollevando sempre il dubbio, le attese, il non sentirsi male.

La sua conversione ha inevitabilmente toccato anche la sua vita familiare. Cosa è cambiato?

All’inizio in famiglia c’è stato un po’ di stupore, un po’ di stranezza, mi vedevano tutti molto cambiato. Ma non è stato difficile e poi i bambini sono attratti dalla bellezza, da nuovi sorrisi (Pietro Sarubbi ha cinque figli, ndr), e in una nuova compagnia non hanno fatto fatica a fidarsi. Loro si sono fidati subito, io invece, a volte ero sospettoso, ho vissuto più resistenze, più fatica. Certamente non è che la conversione ti metta al sicuro da fatiche o dolori. Non è che il mondo sia diviso in credenti felici e atei tristi: non c’è nessun dubbio che qualcuno possa lamentare questa stranezza. Ma se Dio è arrivato a sacrificare suo Figlio – il Figlio amato – senza scontare niente a Lui, come pretendere che sconti a noi? Il cristiano è fatto per un cammino faticoso, per un cammino continuo, ma lo attende il paradiso. Quanto viviamo di bello, di significativo è un anticipo di questa realtà, ma se ci fosse tutto ora, se fossimo già ora perfettamente felici …che paradiso sarebbe? Anche avere la possibilità di vedere e leggere le storie dei santi è già un anticipo di Paradiso.

Parlando di santi viene subito da domandarle com’è nato in lei il desiderio di mettere in scena questo monologo su san Pietro…

Pietro ho imparato a conoscerlo nel mio tanto studiare, nel mio voler capire. All’inizio non sapevo nulla, e mi sentivo come un vaso vuoto. Così ho avvertito l’esigenza di approfondire e conoscere. Prima di arrivare allo spettacolo però, c’è stato un altro passaggio. Tutti mi chiedevano testimonianze e io la mettevo anche in maniera piacevole, ma mi accorgevo che molti venivano più per ridere che per capire. Così alla fine un amico mi ha invitato a pensare uno spettacolo teatrale. Dopo alcune esitazioni mi sono deciso di prendere sul serio l’idea. Pensavamo di mettere in scena la figura di Barabba, ma poi ho avuto tanti stimoli e segnali del tutto inaspettati che mi indicavano di continuo la figura di Pietro. Così ho scelto Pietro e alla fine mi sono accorto che questo san Pietro è molto simile a me. Il mio spettacolo racconta, infatti, il cammino di un poveraccio pieno di limiti, di peccati, di fatiche che alla fine riesce ad incontrare il Signore. Ci cammina tre anni insieme con la certezza di essere amato, fino al famoso “sì” di Pietro dove si arriva al culmine di questo cammino di santità (Gv 21,15-19). Sono ormai sette anni che porto in giro questo spettacolo e mi sono reso conto che piace molto: alla fine posso dire che è stata una buona intuizione. D’altra parte lo spettacolo è “solo Vangelo”, di lì prende spunto e riesce a dirne tutta la potenza. Io mi limito a dare fisicità, più forza alla parola evangelica.

Spesso è in giro per l’Italia per offrire testimonianze in parrocchie e oratori. Come accolgono i giovani la sua storia? Cosa le hanno trasmesso?

Quando incontro i giovani dico sempre questa cosa: c’è sempre qualcuno che vi può far credere che essere cristiani non sia da fighi, ma guardate che in realtà è da sfigati non credere a Gesù Cristo! Ecco, mi piace sfidarli. I ragazzi vogliono le cose sfidanti, ma certe. Faccio pellegrinaggi con ragazzi di venti anni che pregano e stanno in silenzio meglio di me. Vedo come ci stanno e resto stupito. Io – mi dico – pensavo di essere loro testimone e invece sono loro testimoni per me. Come adulti a volte riusciamo a dare ai ragazzi soltanto il peggio. Oggi vedo certi catechisti, certi animatori di grest e mi domando: quale ragazzino potrebbe essere attratto da certe proposte? A volte avremmo bisogno di staccarci dalle regole della pigrizia.

Cosa manca allora alla chiesa di oggi?

Direi che a volte manca l‘impegno, il cuore acceso, manca il sacro fuoco, il mettersi in gioco, la voglia di perdonarsi sul serio e volersi bene.

Daniela Raspollini

 

Pietro Sarubbi

Pietro nasce a Milano nel 1961. Inizia il suo percorso artistico lavorando nel circo, poi in televisione dal 1979 nella trasmissione Portobello. Debutta nel cabaret allo Zelig nel 1995. Dal 1985 partecipa a film-tv, fiction e sit-com di successo come “Casa Vianello”, “il maresciallo Rocca” e “Nebbie e delitti”. Recita in teatro e nel cinema con tanti registi italiani, ma sono i registi stranieri a sceglierlo per i ruoli più importanti: Daniele Finzi Pasca lo scrittura per anni nella compagnia internazionale del Teatro Sunil, John Madden per “Il mandolino del capitan Corelli” e Mel Gibson per il ruolo di Barabba in “The Passion of the Christ”. Autore SIAE rappresentato dal 1993, iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 2000, regista per il teatro, conduttore televisivo, scrittore, si occupa anche di formazione aziendale. È docente del corso di Regia presso Milano Cinema e Televisione, dipartimento di Fondazione Milano.