MONS. TARDELLI: PER LA DIFESA DI OGNI VITA INNOCENTE

Nella recente esortazione di Papa Francesco “Gaudete et exultate” sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, trovo al n.101: «La difesa dell’innocente che non è nato deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù e in ogni forma di scarto».

Affermazioni chiare e precise che vanno a correggere quello strabismo di cui spesso soffriamo per il quale finiamo pure per contrapporci all’interno della stessa chiesa. La difesa e la promozione della vita umana, dal momento del concepimento e per tutte le fasi della vita, fino alla sua naturale conclusione è compito imprescindibile per chi voglia dare ancora un senso alla parola umanità e tanto più per un cristiano.

Dispiace profondamente allora sentir parlare dell’aborto come un diritto ed è triste vedere l’esultanza di chi gode per la vittoria dei sì all’abrogazione del divieto d’aborto in Irlanda o per la introduzione della legge 194 in Italia, di cui in questi giorni ricorre l’anniversario. Non prima di tutto però, perché si è modificato l’ordinamento giuridico che influisce sempre sul vivere civile, ma perché non è difficile scorgere dietro tutto questo l’idea di un diritto che non è tale, bensì prevaricazione del più forte contro il diritto del più debole, di chi viene considerato un “non-uomo” ma solo un grumo di sangue.

Fa però ugualmente dispiacere e dispiacere profondo vedere le persone senza lavoro o con un lavoro precario, non sano, pericoloso, mal retribuito e da schiavi; vedere licenziare persone solo per fare più profitto; registrare così spesso incidenti sul lavoro che non possono essere attribuiti frettolosamente alla disattenzione dei lavorati; come fa piangere il cuore vedere una società che scarta le persone, che rifiuta i migranti, che abbandona o maltratta i vecchi. Nell’ingiustizia sociale si manifesta una radicale offesa della persona umana e del suo creatore che l’ha voluta con una dignità inalienabile, a sua immagine e somiglianza.

Fausto Tardelli, vescovo




IL FENOMENO DELLE MIGRAZIONI CON GLI OCCHI DELLA FEDE

ROMA – «Venticinque anni fa, la Commissione ecclesiale per le migrazioni pubblicava il documento Ero forestiero e mi avete ospitato, interpretando e accompagnando il fenomeno dell’immigrazione nei suoi inizi e sviluppi in Italia “con gli occhi della fede”. A venticinque anni di distanza avvertiamo la necessità, come pastori, di condividere una riflessione sul tema dell’immigrazione». Così i vescovi italiani si rivolgono alle comunità cristiane, nella lettera pubblicata lo scorso 20 maggio, che ricorda i venticinque anni del documento scritto nel pieno della prima grande crisi migratoria nel cuore del mediterraneo.

«L’immigrazione nel 1993 era un fenomeno “nuovo” ed emergente – si legge nel documento – di cui non si riusciva ancora a cogliere le dimensioni e le prospettive. Secondo i dati del Ministero dell’Interno gli immigrati regolari in Italia erano infatti 987.405, in maggioranza europei dell’Unione Europea e dell’Europa orientale». Oggi il totale dei migranti supera i 5 milioni, di cui, va detto, oltre la metà è rappresentato da donne, bambini e minori non accompagnati. Una semplice rassegna dei dati può smontare alcuni luoghi comuni e mettere a fuoco il fenomeno migratorio.

Chi sono i migranti presenti nel nostro paese? Forse sorprende sapere che oltre il 50% dei migranti proviene principalmente dall’Europa Centro-Orientale; capolista la Romania con il  22,9% del totale e a seguire Albania, Marocco, Cina e Ucraina. La nota della CEI ci illustra altri dati significativi: «Nel 2016 circa 24.000 sono stati i matrimoni misti o tra immigrati (14,1% del totale dei matrimoni); 72.000 i nuovi nati da famiglie straniere (14,8% sul totale)». Numeri importanti che rivelano, per contrasto, la flessione di matrimoni e nascite in un paese sempre più vecchio.

E i rifugiati e richiedenti asilo? «Alla fine del 2017 erano in accoglienza nel nostro Paese 183.681 richiedenti asilo e rifugiati: appena il 3 per mille dei residenti».

Se i migranti crescono, occorre tenere presente anche gli italiani hanno lasciato il paese con una cifra in costante aumento. In 25 anni circa 5 milioni sono emigrati, raggiungendo il numero dei nuovi arrivati.

I Vescovi italiani – negli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 – hanno ricordato che il fenomeno delle migrazioni è «senza dubbio una delle più grandi sfide educative».  D’altra parte non si possono negare le criticità di un contesto socio economico per niente roseo in cui «l’altro è visto come un concorrente e non come un’opportunità per un rinnovamento sociale e spirituale e una risorsa per la stessa crescita del Paese». Eppure, affermano i vescovi «l’opera educativa deve tener conto di questa situazione e aiutare a superare paure, pregiudizi e diffidenze, promuovendo la mutua conoscenza, il dialogo e la collaborazione».

«Riconosciamo – si legge nel documento – che esistono dei limiti nell’accoglienza. Al di là di quelli dettati dall’egoismo, dall’individualismo di chi si rinchiude nel proprio benessere, da una economia e da una politica che non riconosce la persona nella sua integralità, esistono limiti imposti da una reale possibilità di offrire condizioni abitative, di lavoro e di vita dignitose».

Allo stesso tempo, si precisa nel documento che «il primo diritto è quello di non dover essere costretti a lasciare la propria terra. Per questo appare ancora più urgente impegnarsi anche nei Paesi di origine dei migranti, per porre rimedio ad alcuni dei fattori che ne motivano la partenza e per ridurre la forte disuguaglianza economica e sociale oggi esistente». Non è pensabile leggere il fenomeno migratorio senza questo sguardo globale, in cui molti fattori dell’immigrazione sono frutto di scelte politiche ed economiche discutibili dei paesi più ricchi. «Occorre dunque – è uno dai passi più forti del documento – pensare in grande per agire “politicamente” in senso forte e responsabile, così da colpire efficacemente, ovunque si trovino, poteri e persone che prosperano sulla morte degli altri, cominciando dai trafficanti di armi fino a quelli di esseri umani».

Le migrazioni, d’altra parte sono un inequivocabile segno dei tempi. «Leggere le migrazioni come “segno dei tempi”» e un presupposto necessario che chiede «uno sguardo capace di andare oltre letture superficiali o di comodo, uno sguardo che vada “più lontano” e cerchi di individuare il perché del fenomeno». La lettura della realtà invita a comprendere che non c’è altra via rispetto all’integrazione; un obiettivo che il documento propone di raggiungere a tappe.

  1. Dalla paura …all’incontro

Il primo passo è individuato nel primo incontro, dove ci si deve confrontare con la diversità. Ed è in questa diversità che emerge la paura: «la mia paura e quella che prova lo straniero. La sua paura – si precisa nella nota– è quella di chi è venuto in un mondo a lui radicalmente estraneo, dove non è di casa e non ha casa, un mondo di cui non conosce nulla. La mia è quella di ritrovarmi di fronte ad uno sconosciuto che è entrato nella “mia” terra, che è presente nel “mio” spazio e che, nonostante sia solo, mi lascia intravvedere che forse molti altri lo seguiranno». «Queste paure sono legittime, – ha ricordato recentemente papa Francesco – Avere dubbi e timori non è un peccato. Il peccato è lasciare che queste paure determinino le nostre risposte, condizionino le nostre scelte, compromettano il rispetto e la generosità, alimentino l’odio e il rifiuto».

Per passare dalla paura all’incontro occorre intraprendere «un cammino esigente e a volte faticoso a cui le nostre comunità non possono sottrarsi, ne va della nostra testimonianza evangelica. Si tratta di riconoscere l’altro nella sua singolarità, dignità, valore umano inestimabile e desiderare di fargli posto, di accettarlo. Tutto ciò senza rinnegare la nostra cultura e le nostre tradizioni, ma riconoscendo che ve ne sono altre ugualmente degne».

  1. Dall’incontro …alla relazione

Solo «da un incontro vero nasce la relazione e il dialogo (…) Un dialogo che non ha come fine l’uniformità, ma il camminare insieme, il ricercare un “consenso”, un senso condiviso a partire da presupposti differenti. È nel dialogo, allora, che si modificano i pregiudizi, le immagini, gli stereotipi (…) siamo interrogati sulle nostre certezze e sulla nostra identità». Le reazioni di rigetto che talvolta suscita l’immigrazione, in altre parole, non fa altro che mettere in luce «un atteggiamento presente nelle società occidentali e che non le è direttamente connesso: il crescente individualismo».

  1. Dalla relazione… all’interazione

Il passaggio più difficile è l’ultima tappa del cammino: l’integrazione, ovvero «un processo che non assimila, non omologa, ma riconosce e valorizza le differenze; che ha come obiettivo la formazione di società plurali in cui vi è riconoscimento dei diritti, in cui è permessa la partecipazione attiva di tutti alla vita economica, produttiva, sociale, culturale e politica, avviando processi di cittadinanza e non soltanto di mera ospitalità». Un passaggio in cui la Chiesa non può certamente fare tutto, ma può accompagnare, sussidiariamente, lo Stato e le istituzioni internazionali.




MONS. TARDELLI A ROMA PER L’ASSEMBLEA GENERALE CEI

Si svolge a Roma in questi giorni (21-24 maggio) la 71a Assemblea Generale della CEI.

Anche Mons. Fausto Tardelli è impegnato con gli altri vescovi italiani nei lavori che quest’anno si concentrano attorno al tema: Quale presenza ecclesiale nell’attuale contesto comunicativo.
Una sessione sarà dedicata all’aggiornamento del Decreto generale concernente “Disposizioni per la tutela del diritto alla buona fama e alla riservatezza”; sono quindi previste alcune determinazioni in materia giuridico-amministrativa, tra cui la presentazione e l’approvazione della ripartizione delle somme derivanti dall’8xmille per l’anno 2018.

L’apertura dei lavori è stata affidata a Papa Francesco, che ieri, 21 maggio, incontrando i vescovi italiani ha rivolto un discorso breve e diretto su tre “preoccupazioni” che riproponiamo nella sintesi resa nota dalla CEI.

«Prima preoccupazione: la crisi delle vocazioni. “È in gioco la nostra paternità – ha detto Francesco -. È il frutto avvelenato della cultura del provvisorio e del relativismo, legata anche al calo delle nascite e agli scandali”. “È triste – ha aggiunto – vedere questa terra fertile e generosa di vocazioni entrare in una sterilità vocazionale senza trovare rimedi efficaci”.
Perché non pensare – ha suggerito – ad una più concreta e generosa condivisione fidei donum anche tra le diocesi italiane? Siete capaci di fare questo?”.
Seconda preoccupazione: povertà evangelica e trasparenza. “La povertà è madre della vita apostolica e muro che la protegge. Senza povertà non c’è servizio. Chi crede non può parlare di povertà e vivere come un faraone, conducendo una vita di lusso o gestendo i beni della Chiesa come fossero i propri”.
“Abbiamo il dovere – ha affermato Francesco – di gestire i beni con esemplarità, attraverso regole chiare e comuni. Nella CEI si è fatto molto in questi anni, ma si può fare ancora di più”.
Terza preoccupazione: riduzione e accorpamento delle diocesi. Papa Francesco ha ricordato di averne parlato già a maggio del 2013. “Si tratta – ha detto – di una esigenza pastorale studiata ed esaminata più volte. Già Paolo VI nel ‘64 e nel ‘66 aveva parlato di numero eccessivo delle diocesi. Un argomento datato e attuale, trascinato per troppo tempo. È ora di fare quello che è possibile fare”.
“Ora lascio a voi la parola – ha concluso il Pontefice – e vi ringrazio per la vostra parresia”.

Il dialogo è proseguito poi a porte chiuse, alla presenza del Papa e dei Vescovi solamente».

La relazione finale sui lavori di questa settimana sarà presentata dal Cardinale Gualtiero Bassetti, presidente CEI giovedì 24 maggio.

(ucs)




IN CATTEDRALE PER LE PROSSIME SOLENNITÀ

Dalla Pentecoste al Sacro Cuore: una traccia per scoprire i prossimi appuntamenti liturgici

Alessio Bartolini, dell’Ufficio Liturgico diocesano, ci guida a scoprire la ricchezza delle prossime celebrazioni liturgiche in Cattedrale. Domenica 20 maggio si celebra la festa della Pentecoste. Sarà una giornata contrassegnata da due importanti appuntamenti… 

Avremo al mattino alle ore 10.30 la Messa Pontificale di Pentecoste nella quale il Vescovo conferirà il Sacramento della Confermazione agli adulti.

Nel pomeriggio alle 18.00 ci sarà una Celebrazione eucaristica, sempre presieduta dal vescovo Fausto, con il conferimento del sacramento della confermazione per i ragazzi delle Parrocchie del centro città.

Sono due momenti liturgici molto belli che ci mostrano una viva immagine di Chiesa. Come ripeto spesso, l’unità di misura della Chiesa è la Diocesi, non la parrocchia e la liturgia celebrata dal Vescovo nella Chiesa Cattedrale è la liturgia fontale da cui tutte le altre liturgie celebrate nella Chiesa locale derivano.

L’incontro con lo Spirito Santo rappresenta un momento forte per il cristiano; come si può raccontare la bellezza del sacramento della confermazione?

Lo Spirito Santo, nella confermazione ci apre il cuore a vivere in pienezza l’incontro con il Dio Trinità, ci stimola a rafforzare quella relazione con le Persone Divine di cui nel Battesimo avevamo gettato le basi e che si alimenta con la vita spirituale, con la partecipazione all’Eucaristia, con l’accostarsi alla Riconciliazione, con il vivere fraternamente all’interno della comunità parrocchiale.

A partire dall’’Ascensione il calendario liturgico, una dietro l’altra, ricorda alcune feste importanti: la Pentecoste, la Santissima Trinità, il Corpus Domini, il Sacratissimo Cuore di Gesù. Quali suggerimenti ci provengono dalla liturgia per cogliere l’ intensità di questo tempo? 

Il Calendario Liturgico è veramente uno scrigno che racchiude un tesoro da scoprire ogni anno con rinnovato entusiasmo. La Chiesa non ci chiede di ricordarci che ogni anno ci sono delle date importanti, ci introduce e ci accompagna per mano a vivere il Mistero di Cristo, come davanti ad una pietra preziosa ce ne fa ammirare le varie sfaccettature e ci fa contemplare come l’Amore di Dio si manifesta nella storia degli uomini.

La Pentecoste, in cui celebriamo la discesa dello Spirito sugli apostoli, che ci conduce alla Verità tutta intera e che ci da la forza e la creatività per portare ancora oggi a tutti l’Annuncio della Buona Notizia.

La Santissima Trinità, occasione per metterci in contemplazione del mistero stesso del Dio Amore, non nell’unità di una sola persona , ma nella Trinità di una sola sostanza (Messale Romano – Prefazio della Ss.ma Trinità).

La Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, popolarmente detta Corpus Domini, in cui il nostro pensiero orante si sofferma sulla meditazione di Cristo Pane della Vita.

Il Sacro Cuore, in cui meditiamo la disponibilità di Gesù a compiere la volontà del Padre, splendida festa in cui l’Amore di Cristo è declinato secondo i due eventi dell’Incarnazione e della Passione, L’Eccomi del Verbo che si fa carne, come sottolinea mirabilmente l’Evangelista Giovanni nel prologo al IV Vangelo, ha il suo eco nell’Eccomi del Cristo alla sua Passione che come ci ricorda Paolo nella Lettera ai Filippesi, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce (Fil 2,8).

Quest’anno per la celebrazione del Corpus Domini nel programma quali saranno le novità?

Quest’anno la solennità del Corpus Domini è stata trasferita alla Domenica 3 giugno con la Celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo in Duomo alle ore 10.30 e concelebrata dai canonici del Capitolo Cattedrale, dai parroci e dai presbiteri in servizio nelle parrocchie del centro storico e del vicariato del centro città.

Al termine della messa avrà inizio la processione che accompagnerà il Santissimo Sacramento per le strade del Centro Storico, secondo l’itinerario che trovate nella locandina.

Un’altra bella iniziativa che viene riproposta è quella delle Quarantore che si terranno nel Battistero di San Giovanni in Corte e avranno inizio venerdì 1 giugno con la messa delle ore 18.00 in duomo e poi alle 19.00 con l’esposizione del Santissimo all’adorazione dei fedeli in Battistero. L’adorazione eucaristica andrà avanti ininterrottamente fino alle ore 10.00 di domenica 3 giugno. Parrocchie, associazioni, gruppi di fedeli possono rendersi disponibili per animare un’ora della preghiera di adorazione contattando la Cattedrale al 0573 25095.

 

Daniela Raspollini

 

 

 




IL 21 MAGGIO È LA MEMORIA LITURGICA DI MARIA MADRE DELLA CHIESA

Segnaliamo al link che segue i testi liturgici ufficiali pubblicati dalla CEI per la memoria obbligatoria di Maria Madre della Chiesa, in vigore già da quest’anno liturgico.
La memoria cade il lunedì dopo la Pentecoste.

 

Testi per la celebrazione della nuova memoria di Maria Madre della Chiesa

Le memoria di Maria Madre della Chiesa è stata fortemente voluta da Papa Francesco ed è stata ufficializzata con Decreto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti del 3 marzo ultimo scorso. Qui si legge che:

«Il Sommo Pontefice Francesco, considerando attentamente quanto la promozione di questa devozione possa favorire la crescita del senso materno della Chiesa nei Pastori, nei religiosi e nei fedeli, come anche della genuina pietà mariana, ha stabilito che la memoria della beata Vergine Maria, Madre della Chiesa, sia iscritta nel Calendario Romano nel Lunedì dopo Pentecoste e celebrata ogni anno.

Questa celebrazione ci aiuterà a ricordare che la vita cristiana, per crescere, deve essere ancorata al mistero della Croce, all’oblazione di Cristo nel convito eucaristico, alla Vergine offerente, Madre del Redentore e dei redenti».

Nel commento al Decreto da parte del prefetto della Congregazione per il Culto Divino, il Card. Robert Sarah, è ulteriormente spiegato il senso di questa memoria liturgica:

«Considerando l’importanza del mistero della maternità spirituale di Maria, che dall’attesa dello Spirito a Pentecoste (cf. At 1, 14), non ha mai smesso di prendersi maternamente cura della Chiesa pellegrina nel tempo, Papa Francesco ha stabilito che, il Lunedì dopo Pentecoste, la memoria di Maria Madre della Chiesa sia obbligatoria per tutta la Chiesa di Rito Romano. È evidente il nesso tra la vitalità della Chiesa della Pentecoste e la sollecitudine materna di Maria nei suoi confronti. Nei testi della Messa e dell’Ufficio il testo di At 1,12-14 illumina la celebrazione liturgica, come anche Gen 3, 9-15.20, letto alla luce della tipologia della nuova Eva, costituita “Mater omnium viventium” sotto la croce del Figlio Redentore del mondo.

L’auspicio è che questa celebrazione, estesa a tutta la Chiesa, ricordi a tutti i discepoli di Cristo che, se vogliamo crescere e riempirci dell’amore di Dio, bisogna radicare la nostra vita su tre realtà: la Croce, l’Ostia e la Vergine – Crux, Hostia et Virgo. Questi sono i tre misteri che Dio ha donato al mondo per strutturare, fecondare, santificare la nostra vita interiore e per condurci verso Gesù Cristo. Sono tre misteri da contemplare in silenzio (R. Sarah, La forza del silenzio, n. 57)».




LA VERITÀ CHE CI FA LIBERI

Domenica 13 maggio, Solennità dell’Ascensione di nostro Signore Gesù Cristo, si celebra la 52° giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali

 

Risalgo via delle Logge, in quei primi momenti di buio in cui non si è ancora accesa la movida del centro e da dietro le finestre arrivano rintocchi di stoviglie e il borbottio della televisione accesa. Una serata tiepida dopo i primi precoci bollori di maggio. Dalle stanze più alte del convento dei domenicani scende una musica rap e il brusio di migranti. Ne escono alla spicciolata, agili e dinoccolati, da una porticina sulla strada. La musica rimbalza sulle strette sponde di via delle Logge, tra la grande e silente muraglia del monastero della Visitazione e le finestre gotiche della Chiesa di San Domenico, finché si intreccia al pianto dirotto di un bimbo.

È il pianto di un piccino, coccolato sulla terrazza del palazzo di là dal Corso, proprio in fronte a via delle Logge. Il piccolo piange mentre lo culla una suora, che dondola piano e ripete appena «shhhh»…
Il mondo è complesso, ma vale la pena viverci e raccontare che succede quando si apre alla verità della fede.
«La verità vi farà liberi. Fake news e giornalismo di pace» (Gv 8,32). È il titolo del messaggio per la 52° giornata per le comunicazioni sociali di Papa Francesco. «La verità vi farà liberi». Me lo ripeto e penso alle grate incatricchiate della Visitazione. Le monache di clausura vivono libere là dietro. La verità che rende liberi fa intuire che anche nella castità si può generare e donare la vita.

Il bambino piange tra le braccia della suora. Un altro, poco più grande, è morto qualche giorno fa. È solo un corpo ha detto qualcuno; non illudetevi per l’aspetto: il suo cervello è ormai del tutto andato. Se avesse potuto esprimersi e scegliere – altri hanno aggiunto – avrebbe scelto di porre fine alle propria «infinita agonia». La sua vita è «inutile»; ma ogni vita è un dono gli hanno replicato. Non lo si strazi, ma gli sia data la morte nel suo miglior interesse hanno sentenziato.

Che cos’è la verità? Piccoli senza voce, talora neppure in grado di piangere ce lo domandano. Uno di loro stava ancora nel grembo della mamma, che però ha fatto l’errore di passare il confine sbagliato. Un grave tumore non le ha impedito di provare il tutto per tutto per tenere unita la famiglia. È stata respinta senza troppa cortesia, ma il bambino è poi nato. È dunque più vera la convenzione per cui esiste un confine di una vita che nasce?
E quei ragazzi nelle stanze dei domenicani? Clandestini, migranti, perditempo a 35 euro il giorno o disperati in cerca di una vita differente? Invasione o esodo?

Su un gommone carico di taniche di benzina ne hanno recuperati tre. Tre fratelli e uno di loro, 14 anni, con la flebo attaccata al braccio. Sperduti tra le onde del Mediterraneo hanno sfidato l’abisso per far curare in Europa il fratello malato di leucemia. Altri, come Segen, 22 anni eritreo, non ce l’hanno fatta. Recuperato in mare in condizioni disperate è morto “di fame” lì a poco «pelle e ossa, senza un filo di adipe, con i muscoli ipotrofici».

Papa Francesco parla di una «logica del serpente», che sta dentro le false notizie, insidiosa perché dalla natura mimetica, che rende la menzogna appetibile e il messaggio convincente, seppure bacato e corruttore. Una questione apparentemente tecnica si presenta, a ben guardare, come uno dei grossi guai del nostro tempo, origine di peccato e perdizione. «Che cos’è la verità?». Chi è interessato al potere non si preoccupa della verità. Quando Gesù lascia intravedere l’inconsistenza di ogni potere mondano, allora Pilato pone l’interrogativo e la domanda resta sospesa.

Piange il bambino tra le braccia della suora. Riconosco d’un tratto quella sagoma nera, il suo dondolare lieve, l’alto e asciutto profilo. È stata la mia maestra all’asilo. Lo ricordo bene. Ci siamo rivisti dopo diversi anni, e poi accompagnati, seppure a distanza nella preghiera. Nel giorno dell’ordinazione sacerdotale ricordo che c’era anche lei. Arrivata a comunicarsi mi commosse rivederla lì, accanto ancora una volta, dopo quel tempo lontano di giochi e disegni infantili. La sua presenza riavvolgeva speditamente una vita e apriva la porta alla grazia di una comprensione migliore, alla possibilità di abbracciare nella luce di Dio i tanti momenti, più, meno, o per niente edificanti di un’esistenza. La guardo quietare quel piccino che piange.

C’è l’immagine della Chiesa in quel dolce e saldo dondolìo: immagine di una realtà viva, che genera nella castità, impara a essere libera nella clausura, profetica nella carità, luminosa nella dottrina della fede. Non c’è fake news che tenga di fronte a questo paradosso che morde la vita. «La verità – precisa il papa nel suo messaggio – ha a che fare con la vita intera». Un bambino sicuro tra le braccia di chi lo accoglie con amore conosce la verità, impara a scoprirla nell’affidabilità di chi lo sostiene e lo dondola, sperimenta la verità nella vita. Più si scopre amato crescendo e meno resta prigioniero di ferite e paure che camuffano la realtà. Colma dello Spirito Maria ha compreso che la verità si può schiudere anche dal paradosso «perché nulla è impossibile a Dio». L’uomo, afferma il papa «scopre e riscopre la verità quando la sperimenta in sé stesso come fedeltà e affidabilità di chi lo ama. Solo questo libera l’uomo».

«Il miglior antidoto contro le falsità non sono le strategie, ma le persone». Nell’incontro con l’altro il pregiudizio o la mistificazione si sciolgono. Pur aprendosi ad una realtà complessa chi crede è inserito nella luce della verità che unifica e vivifica.

L’incanto di via delle Logge si stempera all’imbocco del Corso, dove c’è il passeggio distratto e lo spazio aperto e stratificato della città. Il piccino sul terrazzo è adesso rientrato in casa. Restano la finestra aperta e la luce accesa su quell’episodio minimo e intimo di tenerezza e vita concreta. Suggerimenti chiari per chi è chiamato a testimoniare, ma anche a raccontare la verità, per «un giornalismo fatto da persone per le persone, e che si comprende come servizio a tutte le persone, specialmente a quelle – sono al mondo la maggioranza – che non hanno voce».

Ugo Feraci – Ufficio Comunicazioni Sociali e Cultura




PARROCCHIA E AC: QUALE LEGAME POSSIBILE?

A San Miniato l’incontro regionale per i presbiteri con l’Assistente nazionale di Azione Cattolica

Qual è l’originalità di Azione Cattolica? Come rilanciare l’associazione e inserirla nell’azione pastorale delle parrocchie? Quali sono le sfide e le tentazioni del momento presente?

Tanti interrogativi sull’identità e la missione dell’Azione Cattolica al centro dell’incontro organizzato a San Miniato mercoledì 3 maggio, in occasione dell’incontro regionale per i presbiteri con l’Assistente nazionale di Azione Cattolica Mons. Gualtiero Sigismondi. Un’occasione importante per far conoscere l’associazione ai sacerdoti delle diocesi toscane e riflettere sulla sua presenza nella realtà parrocchiale.

ll vescovo di Pistoia Fausto Tardelli, delegato CET per le aggregazioni laicali, portando i suoi saluti, ha confermato la fiducia e l’attenzione dei vescovi toscani nei confronti dell’associazione, che svolge un ruolo importante anche nel lavoro della consulta regionale delle aggregazioni laicali. La riflessione è stata quindi affidata a Mons. Gualtiero Sigismondi, assistente nazionale AC e successore del compianto vescovo Mons. Mansueto Bianchi.

L’AC, ha affermato Sigismondi è un «scuola di sinodalità e una scuola di formazione permanente per il clero». Ad oggi il testo di riferimento per Azione Cattolica, «l’icona più completa» per indirizzarne l’azione è sicuramente Evangelii Gaudium di Papa Francesco. A partire un breve riferimento al libro degli Atti degli Apostoli Mons. Sigismondi ha indicato quattro tensioni della Chiesa di oggi: il pericolo di mettere da parte la parola di Dio; l’incapacità di non essere segno di contraddizione, la tentazione di chiudersi in compartimenti stagni, il rischio di disgiungere dottrina e pastorale.

La missione di Azione Cattolica può risultare importante per affrontare queste quattro tensioni e superarle. AC, infatti, educa a lavorare in squadra: «l’Azione Cattolica – ha affermato Sigismondi – è scuola di sinodalità in cui si impara l’agilità pastorale».

Se l’AC è una palestra ecclesiale è anche perché la sua funzione, «il suo scopo non è che quello proprio della Chiesa». Uno scopo che raccomanda di «evitare le iniziative prive di iniziativa che ingolfano l’opera dell’associazione e della Chiesa», ma che chiede anche di prendere sul serio l’appello alla conversione pastorale richiesta da Papa Francesco. Mons. Sigismondi ha indicato alcuni precisi “passaggi” pastorali necessari alla vita di Azione Cattolica. Ha infatti invitato a:

passare a una pastorale dedicata a guidare la formazione di laici impegnati;

passare dalla rete pastorale delle parrocchie alla pastorale a rete delle parrocchie in alleanza in cui i diversi assistenti sono chiamati a imparare un lavoro condiviso;

passare dalla pastorale del campanile a quella del campanello, perché sia sviluppata una vera e propria «pastorale dell’orecchio»; una pastorale che opera «a goccia e non a pioggia», in cui assume importanza la direzione spirituale;

passare dai corsi di preparazione del sacramento del matrimonio a cammini di accompagnamento degli sposi novelli, nella consapevolezza che occorre ripartire dalla famiglia;

passare da una pastorale quasi esclusivamente concentrata nella iniziazione cristiana che vede i genitori latitanti ad una che li coinvolga, perché Azione Cattolica sa bene che non ci si può concentrare solo su i ragazzi;

passare da una pastorale giovanile ormeggiata al molo dei grandi eventi ad un discorso attento al discernimento vocazionale, alla decifrazione dei linguaggi dei giovani. In AC non può esserci principalmente pastorale dei grandi eventi, ma un cammino quotidiano che dice cura della vita interiore;

passare dal reclutamento dei catechisti a una formazione seria. Per questo un parroco può scommettere sull’Azione Cattolica;

passare dalla trincea della ritrosia di fronte a un mondo che cambia, alla presenza anche nei media digitali;

passare da un laicato che compie opera di manovalanza, ad essere cristiani che partecipano attivamente alla vita sociale del nostro paese, vincendo ogni forma di silenzio e reticenza: «meno sacrestani e più cristiani» diceva Bachelet.

Di fronte alla sfida proposta da questi numerosi, ma decisivi passaggi, l’Azione Cattolica è chiamata a prendersi cura della coscienza delle persone. AC è davvero una grande scuola di libertà, illumina e favorisce la maturazione di coscienze libere seminando la Parola senza stancarsi; avviando processi senza forzature, riconoscendo che ogni anima ha la sua pienezza nel tempo. «Soltanto un accompagnamento pastorale mirato – ha continuato Sigismondi – sa raggiungere tutti, per imparare a coinvolgere senza farsi travolgere. Un buon educatore sa mantenere le distanze della sicurezza e inquietare senza irritare, ma anche avere l’audacia di favorire il dialogo, incoraggiare senza fermare. Un po’ come si fa in famiglia. E Proprio a questo rimanda «la più bella definizione di AC», quella formulata da Mons. Bianchi: «una famiglia bella e grande».

Sigismondi ha concluso il suo intervento segnalando, con acutezza, le dodici tentazioni di un assistente AC:

  1. dimenticare che si è preti nell’AC e non dell’AC e che esiste una continua circolarità tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale;
  2. dimenticare di amare la Chiesa. L’AC non si lamenta della Chiesa, ma la ama;
  3. sottovalutare che gli assistenti formano un collegio, che sono chiamati a coordinarsi con il vescovo;
  4. ignorare le regole della partecipazione democratica alla vita associativa e non ricordarsi di stare ognuno al proprio posto;
  5. abdicare alla pastorale dell’orecchio. All’assistente è chiesto principalmente di dirigere le coscienze e confessare;
  6. scordare che come c’è un’arte di celebrare, ce n’è una di accompagnare;
  7. rinunciare a tenere sotto controllo la febbre degli eventi;
  8. resistere a portare avanti una pastorale integrata tra i vari settori;
  9. perdere il carattere asimmetrico della relazione educativa, coinvolgendosi senza lasciarsi travolgere. In una società senza padri, infatti, il rischio è che l’assistente faccia da ‘babbo’ e non da ‘padre’.
  10. appiattire l’AC sulla parrocchia; essere cristiani non è un abito da vestire in privato;
  11. snobbare gli appuntamenti associativi;
  12. rileggere la storia dell’Azione Cattolica senza impegnarsi a scrivere la parabola del buon seminatore, cioè senza impegnarsi in un lavoro chiamato a seminare con generosità.

u.f.




CON SAN FRANCESCO ALLA SCOPERTA DI CRISTO POVERO

Una sintesi del ritiro spirituale con il vescovo a Bocca di Magra

Il monastero Santa Croce di Bocca di Magra è sempre il luogo perfetto per il ritiro spirituale che il Vescovo Tardelli anche quest’anno ha predicato alle aggregazioni laicali della Diocesi. Il luogo è meraviglioso, carico di spiritualità, di silenzio e preghiere, ma anche di bellezze naturali e vedute impareggiabili, di profumi intensi e colori delicati; con il rumore del mare che accompagna il riposo notturno!

È dunque il luogo ideale per uno degli atteggiamenti fondamentali indicati dal vescovo per questo ritiro: il silenzio, interiore ed esteriore, un “luogo privilegiato” per l’ascolto di Dio; non tanto perché le vicende della quotidianità non abbiano valore in sé, quanto perché talvolta occorre allontanarsene per fare come anche Gesù faceva: cercare un luogo in disparte e dialogare con il Padre.

Anche noi ci siamo allontanati dalla quotidianità e dalla famiglia, nella convinzione che questi pochi giorni – da domenica 28 aprile a martedì 1 maggio u.s. – siano un dono, un tempo di grazia nei quali Dio ci può cambiare, perché possiamo portare frutti anche nella nostra vita una volta tornati a casa.

Il tema del ritiro era il seguente: «Alla sequela di Gesù povero». Il Vescovo ci introdotto alla meditazione con un celebre brano della lettera ai Filippesi di Paolo (Fil 2-5,11): «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce».

In San Francesco d’Assisi il vescovo Tardelli ci ha indicato l’esempio più luminoso per illustrare cosa significhi vivere alla sequela di Gesù povero, innamorarsi di Lui, lasciarsi guidare da Lui. Chi guarda Francesco impara a lasciarsi cambiare la vita, alla ricerca continua di Colui che già ci ha trovato.

La nascita di Gesù è un segno grande di povertà e umiltà e Francesco ci si è soffermato talmente a fondo che ha ideato il Presepe vivente di Greccio. Francesco, infatti, «meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere, ma soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro». (Tommaso da Celano, Vita Prima, cap. 30, 84). Una nascita nella povertà – ci ha ricordato il vescovo – che è segno di uno stile di vita povero. Molto probabilmente Gesù ha lavorato con il padre e condotto una vita modesta e sobria, senza lussi. Con l’inizio della vita pubblica prende a vivere come un pellegrino, sempre in viaggio, ospite di questo e di quello, sostenuto dalla carità di pie donne (Luca 8-1,4). Una vita modesta, senza potere: Gesù agli occhi del mondo non conta nulla e non ha nessuno che lo difenda; per sua scelta fa a meno di esercitare il potere e accetta di non contare niente, egli è «mite ed umile di cuore» ed è venuto nel mondo «non per essere servito ma per servire» (Mt 20,28).

Sbaglieremmo però, se considerassimo la povertà di Gesù solo secondo un aspetto materiale o di potere; perché in realtà la povertà vera e profonda è la povertà di sé, la rinuncia a sè stesso e l’abbandono totale nelle mani del Padre. La volontà di Gesù – ci ha ricordato mons. Tardelli – è assorbita completamente da quella del Padre al punto che Egli vuole ciò che vuole il Padre.

La povertà materiale e di potere è solo il segno esteriore della povertà interiore che rappresenta l’amore per il Padre e per noi; è abbandono al Padre che non vuole che alcuno si perda e il calice amaro dell’orto dei Getsemani; è il calice pieno dei nostri peccati che Cristo accetta di bere sino in fondo per amore nostro.

Ma cosa significa seguire Gesù povero?

Il Vescovo ci ha indicato quattro modi: il primo è capire che la povertà è una beatitudine; il secondo è riconoscere quali sono le nostre false ricchezze, terzo fare i conti con le nostre povertà e ultimo, ma non meno importante, servire i poveri.

Francesco ci indica la via che dobbiamo seguire con il discernimento guidato dallo Spirito Santo. Per il poverello di Assisi, infatti, abbracciare Madonna Povertà è stata la strada della beatitudine, quella che gli ha ispirato il Cantico delle Creature, che non è il canto non di uno sconfitto, ma di un uomo felice.

Come Francesco ha abbandonato le false ricchezze anche noi possiamo farlo, riconoscendo le persone o le realtà che prendono e trattengono il nostro cuore, allontanandolo dal vero amore che ci rende liberi: denaro, prestigio, posizione sociale e culturale, affetti. «Se mi togliessero tutto questo sarei forse perduto?». È la domanda che il vescovo ci ha invitato a rivolgerci più spesso, riconoscendo le nostre povertà. Questo riconoscimento permette di aprirci a Dio, di abbracciare Cristo povero sentendosi sorretti da Lui.

Il Vescovo, infine, ci ha anche ricordato l’importanza di servire i poveri. Ancora una volta Francesco d’Assisi ci insegna: l’abbraccio con il lebbroso è un atto di misericordia mosso dalla Grazia, compiuto senza paura, con un atteggiamento di compassione, ma anche di contemplazione di Gesù povero e desiderio di partecipazione alla sua vita. Il gesto di Francesco riconosce nelle piaghe dei poveri quelle di Gesù: è consapevolezza che tutti abbiamo bisogno della Misericordia di Dio.

«Domandiamoci – ha concluso il Vescovo-, se stiamo servendo i poveri e come lo facciamo; se siamo poveri ed innamorati di Gesù povero, se siamo capaci di stare accanto ai nostri fratelli poveri con quella compassione che Dio mostra per noi. Gesù non è accanto ai poveri ponendosi dall’alto in basso, ma in una posizione fatta di partecipazione e condivisione. Gesù si è fatto compagno di strada e cerca il rinnovamento profondo di  ogni uomo, a cui va incontro con lo scopo di farlo ricco del Suo amore e di quello del Padre, per servire i poveri e non servirsi di loro».

Chiara Geri Romagnani (Centro Famiglia Sant’Anna)




VIVERE LA FEDE IN FAMIGLIA

Domenica 13 maggio si celebra la Festa della famiglia

Seguendo le indicazioni pastorali del vescovo Fausto Tardelli anche quest’anno la diocesi di Pistoia celebrerà la Festa della famiglia domenica 13 maggio. “Una giornata speciale” dedicata alla famiglia e “l’occasione di una adeguata contemplazione della famiglia di Nazaret e dei suoi esempi, a beneficio delle nostre famiglie” (Direttorio di pastorale familiare, CEI) affinché venga celebrata “la gioia dell’amore che si vive nelle famiglie” (Papa Francesco).

Il tema scelto dalla conferenza episcopale della Toscana per questo anno è “La fede, preziosa eredità di famiglia“.

Chiediamo ad ogni parrocchia e associazione di celebrare, nelle modalità che ritiene opportune, questa festa (ad esempio con il rinnovo delle promesse matrimoniali, omelia dedicata al tema, benedizione e preghiera al termine della liturgia, incontri, giochi etc. ). L’ufficio ha anche preparato un segnalibro dedicato a questa giornata che potete ritirare alla libreria San Jacopo.

L’equipe di Pastorale con la Famiglia




MONS. TARDELLI PRESENTA: «GAUDETE ET EXSULTATE»

Il vescovo Tardelli rilancia e commenta l’invito alla santità di Papa Francesco

Lunedì 7 maggio alle ore 21, presso la Cattedrale di San Zeno, il vescovo di Pistoia presenterà ai fedeli la nuova esortazione apostolica “Gaudete et exsultate” sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo. La serata, organizzata dall’unità pastorale del Centro Storico di Pistoia, è aperta a tutti.

Nella sua nuova esortazione, Papa Francesco invita a «non avere paura della santità». La santità, spiega, «non ti toglierà forze, vita e gioia. Tutto il contrario, perché arriverai ad essere quello che il Padre ha pensato quando ti ha creato e sarai fedele al tuo stesso essere (…) Non avere paura di puntare più in alto, di lasciarti amare e liberare da Dio. Non avere paura di lasciarti guidare dallo Spirito Santo. La santità non ti rende meno umano, perché è l’incontro della tua debolezza con la forza della grazia. In fondo, come diceva León Bloy, nella vita «non c’è che una tristezza, […] quella di non essere santi».

Il testo, reso noto quasi un mese fa, non si presenta come «un “trattato”», quanto come «un invito a far risuonare nel mondo contemporaneo una vocazione universale, la chiamata a diventare santi».  Un appello alla santità rivolto a tutti, per riconoscere «la santità della porta accanto» e far crescere «la classe media della santità».

Un intento che il Papa svolge in cinque capitoli ben riassunti da padre Antonio Spadaro,direttore di Civiltà Cattolica. «Il punto di partenza è “la chiamata alla santità” rivolta a tutti. qui si passa alla chiara individuazione di “due sottili nemici” che tendono a risolvere la santità in forme elitarie, intellettuali o volontaristiche. Quindi si prendono le beatitudini evangeliche come modello positivo di una santità che consiste nel seguire la via “alla luce del Maestro” e non una vaga ideologia religiosa. Si descrivono poi “alcune caratteristiche della santità nel mondo attuale”: pazienza e mitezza, umorismo, audacia e fervore, vita comunitaria e preghiera costante. L’Esortazione si conclude con un capitolo dedicato alla vita spirituale come “combattimento, vigilanza e discernimento”.

L’esortazione apostolica è stata pubblicizzata dalla sala Stampa vaticana anche grazie a un video-spot. È la prima volta che un documento pontificio è accompagnato da un video di presentazione.