Tutti a casa? La pastorale si fa social

Catechesi, via crucis, messe in diretta streaming in tutta la diocesi. La sfida della pastorale online al tempo del coronavirus

Dopo tante bacchettate i social network si scoprono veicoli di spiritualità, spazi di preghiera, ambienti di vita sociale alternativa. Se ritrovarsi in chiesa non è più possibile non manca lo spirito di iniziativa a parrocchie e comunità della diocesi di Pistoia che attraverso il cellulare o il portatile portano avanti con passione e inventiva l’azione pastorale. Sono già diverse infatti, le parrocchie che trasmettono in diretta la messa:

da Bonistallo è possibile seguirla in streaming la domenica alle 11 su Facebook (la pagina è Parrocchia di Bonistallo). Sempre su Fb il parroco, don Cristiano D’Angelo, propone una catechesi settimanale dalle 21.30 alle 22.

Per gli utenti di Fb è possibile seguire la messa da Tobbiana domenica alle 9.45, dal lunedì al venerdì alle 8.30 e sabato alle 16.30 — da dove don Cristoforo Dabrowski trasmette in streaming anche su Instagram (Parrocchia di Tobbiana);

A Oste di Montemurlo il rosario e la messa sono in diretta  dalle 17.30 (occorre iscriversi al gruppo Fb: Celebrazioni Parrocchia di Oste).

La celebrazione eucaristica di san Francesco a Pistoia (Fb: parrocchia san francesco – Pistoia), a cura dei padri Betharramiti,  è rilanciata anche sul sito della congregazione (www.betharram.it) ogni giorno dal lunedì al sabato alle 8.30 e la domenica alle 11.15. Ogni venerdì alle 15, in diretta Facebook anche la via crucis.

A Quarrata nella parrocchia di Santa Maria Assunta è stata aperta un nuova pagina facebook della parrocchia (Parrocchia Santa Maria Assunta – Quarrata ): qui, ogni giorno alle 12 la recita dell’angelus in diretta con don Alessio Bartolini e la domenica (alle 8.00 e alle 11.00) la messa. Sul canale youtube del parroco don Fulvio Baldi i video con la preghiera del mattino.

A Casalguidi il lavoro pastorale ferve soprattutto su youtube dove la parrocchia ha inserito video commenti del sussidio degli Atti degli apostoli, il commento alle letture della domenica (anche per i bambini) e preghiere. Tra le iniziative più singolari una via crucis realizzata mettendo insieme i commenti videoregistrati da diverse famiglie (per info: www.sanpietrocasalguidi).

In montagna, molto attivo e molto seguito su facebook il profilo di don Cipriano Farcas, che con commenti, indicazioni, riflessioni e condivisioni, coinvolge i parrocchiani di San Marcello Pistoiese e di tutto il vicariato.

Accanto a Facebook lo strumento privilegiato e più immediato per la comunicazione è Whatsapp.

Don Timoteo Bushishi, parroco della parrocchia di San Vitale e San Benedetto di Pistoia mantiene, ad esempio, i contatti tramite il commento quotidiano del Vangelo ai diversi gruppi della parrocchia; lo stesso fa anche don Diego Pancaldo con i membri della comunità Maria Madre Nostra e a diversi utenti del centro di riabilitazione Maic. Via Whatsapp comunicano in tanti, tra gli altri, don Sergio Agostini di Cutigliano e i parrocchiani di don Franco Monticelli attraverso il commento del Vangelo del giorno per collaboratori e catechisti, ma anche per i volontari della ronda della solidarietà e Caritas  di Colle. Anche in una parrocchia grande come quella di San Michele arcangelo a Bottegone non mancano la fantasia e i mezzi per far arrivare messaggi e avvisi che raggiungono — ci racconta don Baronti — oltre 15 gruppi parrocchiali — e, attraverso i catechisti, circa 175 ragazzi con le loro famiglie».  Tra le iniziative anche un servizio di lettura quotidiana per i bambini curato dalle maestre della Scuola materna, che leggono ai loro piccoli una novella al giorno. Nella parrocchia della Vergine don Sebastien lascia in chiesa degli spunti per la meditazione pubblicati a giorni alterni anche sul sito della Parrocchia (www.parrocchiadellavergine.it) e diffusi attraverso gli altri mezzi di comunicazione. Ancora a Pistoia, nella parrocchia di Sant’Agostino il gruppo scout PT3 cercherà di sviluppare una attività a distanza per le singole unità. Il parroco, don Luciano Tempestini, e non è il solo, si affida alla più tradizionale telefonata per fare gli auguri di compleanno e di anniversario di matrimonio con l’occasione di sviluppare un franco dialogo. Anche la caritas parrocchiale di Sant’Agostino – attualmente sospesa- porta avanti telefonicamente il proprio servizio di ascolto.

Ricordiamo, alla fine di questa ricca, ma con tutta probabilità, non esaustiva rassegna, gli appuntamenti con il vescovo di Pistoia Fausto Tardelli. Tutti i giorni alle 18.30 il Vescovo Tardelli celebra la messa in diretta su TVL Pistoia (canale 11). Tutti i venerdì presiede la via crucis nella cappella del Seminario vescovile alle 21 in diretta facebook (disponibile sulla pagina Fb della Diocesi di Pistoia).




La Vita si fa storia

Una riflessione a partire dal Messaggio del Santo Padre Francesco per la 54ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

di Ugo Feraci*

Entri e nel grande padiglione della sala tv li trovi tutti uno accanto all’altro, chi più chi meno con lo sguardo un po’ perso, oppure in cerca di non si sa bene cosa, pronti ad agganciarti con un saluto o una domanda qualsiasi per avere un po’ di attenzione. C’è chi ciondola con gli occhi abbassati un po’ per il sonno un po’ per l’opacità della mente, chi resta assopito, comunque assente nonostante l’alto volume del televisore. Per quanto curati e nutriti, gli anziani in una casa di riposo ti lasciano nella testa e nel cuore tanti interrogativi. Se non altro ti inchiodano all’incontestabile verità che prima o poi – se il Signore non ti chiama prima – la vecchiaia, con i suoi acciacchi e i suoi doni, arriva per tutti. «Mi fanno vedere un vassoio e poi mi domandano cosa c’era sopra. “Un bicchiere, una mela, una penna…”. “La bottiglia non la ricorda?”. Eh, il vassoio lo vedo, ma poi, quando c’è da ridirgli tutto, finisce che qualcosa mi dimentico. Intendiamoci, fanno bene, ma se poi ci si pensa è un po’ penoso».

O. mi racconta le sue giornate nel ricovero, un po’ tutte uguali, in cui «ci si litiga non si sa neanche perché», dove chi è più svelto «gestisce il televisore, mentre tu di fondo non vedi e non segui nulla». La vedo illuminata da un sorriso e do spago ai racconti della sua vita in montagna, chiedo notizie su Tizio e Sempronio. Dopo averla salutata, quando percorro i corridoi del ricovero e la sala mensa, con gli utenti già pronti al tavolo in un’attesa lenta e silente della cena, mi tornano in mente le parole e il tema della Giornata per le comunicazioni sociali 2020: “La vita si fa storia”.

«Siamo esseri narranti», si legge nel messaggio, ma l’uomo «è anche l’unico che ha bisogno di raccontarsi, di “rivestirsi” di storie per custodire la propria vita».

Penso alle donne e agli uomini che mi lascio alle spalle, arenati senza più forze su una poltrona e su un letto, ma ancora più tristemente spogliati di storia. Quale storia si dipana tra i corridoi del ricovero? Quando le giornate si alternano tra bisogni primari e sala tv, come cresce e resiste l’identità del singolo, la sua storia irriducibile?

Il testo del messaggio cita anche un salmo, uno dei più belli, dove si dice: «Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda […]. Non ti erano nascoste le mie ossa, quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra» (139,13-15). Non siamo nati compiuti, ma abbiamo bisogno di essere costantemente “tessuti” e “ricamati”». È sempre, sempre possibile scoprire la meraviglia stupenda di ogni vita. Forse anche le riserve di umanità e di bellezza che pure esistono nel ricovero chiedono di essere raccontate. Ma certamente anche fuori di lì non siamo esentati dal rischio di cadere nel vortice di giorni privi di storia, bruciati nell’attimo delle cose, storditi dai media e da bisogni primari che pretendono di diventare assoluti.

Papa Francesco ha parlato in più occasioni di “Alzheimer spirituale”: una malattia dello Spirito che «consiste nel dimenticare la storia del nostro rapporto personale con Dio, quel primo Amore che ci ha conquistati fino a farci suoi. (…) Se abbandoniamo il porto sicuro del nostro legame con il Padre, diventiamo preda dei capricci e delle voglie del momento, schiavi dei falsi infiniti». Un rischio personale ed ecclesiale: quando la fede e la sua ricchezza sono slegati dalla vita e sottratti alla storia finiscono per diventare soltanto valori da difendere, prese di posizione dogmatiche, tradizioni che oggi riconosciamo e ricordiamo tutte sul vassoio del tempo presente, ma che domani non sapremo riconoscere o ricordare più bene.

Un rischio più comune, da cui ci mette in guardia il messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali è la pervasività di alcune “cattive storie”. Una deriva che invoca la responsabilità degli operatori della comunicazione, perché non mettano insieme «informazioni non verificate, ripetendo discorsi banali e falsamente persuasivi» perché «colpendo con proclami di odio, non si tesse la storia umana, ma si spoglia l’uomo di dignità». D’altra parte non basta la narrazione per salvarti dai rischi della vecchiaia, occorre che la narrazione sia “buona”, non ritornello dolente o rancore che indurisce. «Mentre le storie usate a fini strumentali e di potere hanno vita breve – afferma il messaggio-, una buona storia è in grado di travalicare i confini dello spazio e del tempo. A distanza di secoli rimane attuale, perché nutre la vita». È il caso delle grandi storie della letteratura (il papa cita i fratelli Karamazov, come i Promessi Sposi, le Confessioni di Agostino come il Racconto del Pellegrino di Ignazio) e soprattutto delle storie bibliche, da quelle narrate nell’antico Testamento a quelle dei Vangeli; storie di uomini, ma anche storia di Dio capace di pienezza di senso, storia generativa, edificante.

Quali storie raccontano i nostri giornali? Quali notizie sono capaci di tessere la vita, di rivestire lettori e ascoltatori di umanità?

Il messaggio offre alcuni suggerimenti, ricordando che «nessuno è una comparsa nella scena del mondo e la storia di ognuno è aperta a un possibile cambiamento. Anche quando raccontiamo il male, possiamo imparare a lasciare lo spazio alla redenzione, possiamo riconoscere in mezzo al male anche il dinamismo del bene e dargli spazio».

Anche una semplice chiacchierata con O. – nella pena del ricovero- è diventata un briciolo di storia, da raccontare a infermieri e parenti, un’oretta diversa, in cui il mio e il suo divenire si sono arricchiti a vicenda. C’è un tesoro prezioso di umanità nel suo sorriso e nel lucido racconto delle sue giornate, ancora una volta pronte ad aprirsi alla grazia che risana e solleva: «ora che ci sei – mi diceva mentre ero lì-, confessami: ho bisogno di Lui».

*Ufficio Comunicazioni Sociali e Cultura della Diocesi di Pistoia




Uscirne è vietato ai minori

Siamo davvero consapevoli dei rischi della pornografia? Un commento a margine di un importante discorso di Papa Francesco sulla tutela della dignità dei bambini nel mondo digitale

È di qualche giorno fa la pubblicazione di un’inchiesta di Claudio Capanni uscita su La Nazione dedicata al tema della pedofilia. Un articolo terribile, nel quale si racconta come funzionano le chat in cui si condividono foto e “profili” Instagram di giovanissimi e giovanissime ignari di tutto. Il social utilizzato è Telegram, strumento perfetto per chi intende mantenere l’anonimato, perché permette di chattare senza rendere noto il proprio numero di cellulare e di non custodire nulla sul proprio smartphone (ogni condivisione avviene in cloud ed è possibile inviare messaggi e foto che si “autodistruggono”, dei quali cioè, è possibile decidere l’eliminazione dopo un minuto dalla visualizzazione). Insomma, una chat pratica e veloce nella quale si annidano anche orribili insidie. Soltanto una tra le tante modalità in cui si radica e cresce l’abuso, che da “virtuale”, laddove nomi, dati, luoghi resi noti o sottratti per adescamento, rischiano di mutarsi in occasione concreta di abuso e violenza. Papa Francesco, nel suo recente discorso ai partecipanti del convegno “Child dignity in the digital world” ha toccato molti di questi temi sensibili, come la diffusione dilagante della pornografia tra i minori: un fenomeno che pure non sembra mobilitare le coscienze.

Ansa ha recentemente dedicato un approfondimento sul rapporto tra i giovani e la sessualità ripercorrendo le ricerche della giornalista Monica Lanfranco. Secondo la sua indagine, infatti, un campione piuttosto ampio di adolescenti dichiara che «la fonte unica, primaria e assoluta di insegnamento, apprendimento ed ispirazione per la propria sessualità è la pornografia attraverso il web».  Una scoperta che probabilmente non stupisce nessuno, ma che forse dovrebbe interessare, visto che il fenomeno non tocca soltanto i diciottenni inquieti, ma comincia assai presto: già attorno agli 11 anni. Un’indagine di Skuola.net (portale e testata giornalistica assai nota tra i giovani) rivela che a quell’età un ragazzo su tre possiede sul proprio smartphone materiale compromettente. «Se un quarto dei coinvolti non è in grado di definirne le caratteristiche precise, la restante parte ha fornito maggiori dettagli; in totale -si legge nella ricerca- il materiale pornografico supera il 65%». Dati che lasciano pensare e che fanno tornare in mente la chat dell’orrore (The Shoa Party) emersa qualche settimana fa sulle cronache dei giornali: un calderone di male in cui trovavano posto bestemmie, inni al nazismo, offese agli ebrei, tanta pornografia, violenze di ogni tipo..). Un caso certamente eccezionale, ma che deve far riflettere sul materiale che circola tra le mani dei più giovani. Basti pensare alla pratica, piuttosto diffusa tra gli adolescenti, di scambiarsi foto osè che rischia di metterne a repentaglio la dignità e di esporli a rischi di ricatti online.

Siamo sicuri che anche i nostri ragazzi, proprio quelli che frequentano il catechismo in parrocchia ne siano estranei? Qualcuno di loro mi ha esplicitamente parlato – tra una risata e l’altra- di youtuber bestemmiatori seriali, mostrato video di giovanissimi che prendono a calci altri giovanissimi, raccontato di episodi di cyberbullismo in cui è dovuta intervenire la polizia postale.

Facile, su questi temi, chiamare in causa scuola e genitori più o meno inconsapevoli, più difficile sentire prendere posizione gli adulti sul tema della pornografia (per non parlare della stampa più diffusa, spesso incline a sdoganare e banalizzare la fruizione di contenuti per adulti in cui la dignità dell’uomo e soprattutto della donna è pienamente svilita) quasi che condannarla faccia scivolare in un moralismo bacchettone. Certamente non è con quella roba che si impara a vivere una sana affettività, fatta di pazienza, ascolto, rispetto, tenerezza. Quale rispetto della dignità della persona umana può crescere attraverso una proposta degradante e ferina della sessualità?

Ugo Feraci

 

 

 




Social network: spazio di comunione o specchio di solitudine?

Nel messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali un invito a riscoprirsi membra gli uni degli altri a partire dalle social communities.

Se guardo nello specchio dei miei social, quale profilo distinguo?

Potrebbe essere il primo e già impegnativo proposito per vivere la prossima giornata mondiale della Comunicazioni sociali che si celebra domenica 2 giugno, solennità dell’Ascensione.  Papa Francesco ha reso noto a gennaio, in occasione della memoria di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, il suo messaggio per il 2019. Il testo punta l’attenzione al mondo social, evidenziando luci ed ombre dell’ambiente digitale in cui trascorriamo buona parte delle nostre giornate, invitando a ripensare il modo in cui stiamo sulla rete. O meglio, il modo in cui ci stiamo da cristiani.

L’ambiente digitale rispecchia i guai del nostro tempo: solitudine, individualismo, frammentazione, pregiudizio, narcisismo; qui la violenza verbale arriva a ferire quanto se non di più di quella fisica, il bullismo si fa cyberbullismo, il desiderio cade nella pornografia. Così – afferma il papa – la rete assomiglia piuttosto «a una ragnatela capace di intrappolare» che ad un mare di opportunità e contatti che apre all’altro, anche in capo al mondo.

Se la metafora della rete rivela ormai anche il suo lato oscuro, finisce pure per suonare un po’ datata. Di fatto Papa Francesco propone nel messaggio di passare ad una nuova, felice metafora: «quella del corpo e delle membra che San Paolo usa per parlare della relazione di reciprocità tra le persone, fondata in un organismo che le unisce. La metafora del corpo e delle membra -continua il papa- ci porta a riflettere sulla nostra identità, che è fondata sulla comunione e sull’alterità».

Come al solito la Parola ci riporta su un piano differente, quello in cui sei costretto a guardarti dentro, per considerare, anche nello specchio dei social, la tua relazione con il Signore e gli altri. Per il cristiano, infatti, pure il “nemico” chiede di essere visto con occhi differenti. «Come cristiani ci riconosciamo tutti membra dell’unico corpo di cui Cristo è il capo. Questo ci aiuta a non vedere le persone come potenziali concorrenti, ma a considerare anche i nemici come persone.

Non c’è più bisogno dell’avversario per auto-definirsi, perché lo sguardo di inclusione che impariamo da Cristo ci fa scoprire l’alterità in modo nuovo (…) Dalla fede in un Dio che è Trinità consegue che per essere me stesso ho bisogno dell’altro.  Sono veramente umano, veramente personale, solo se mi relaziono agli altri».

Insomma, lo specchio dei social, da cui perlustro e navigo in rete, può diventare la lente con cui guardo chi sta dietro il profilo che ho davanti. Chi si svela, si cela o si rivela attraverso un social network? Forse qualcuno che mi attende o è ferito, solo, o incattivito. Per capire chi sono il miglior specchio è il volto dell’altro.

La conclusione del messaggio del papa ci ricorda un altro aspetto quasi sorprendente. Il paradigma di un mondo connesso per il cristiano non è facebook, neppure whatsapp, ma la santa messa. Non c’è realtà più capace di esprimere la connessione di questa. Qui Gesù sorpassa alla grande Steve Jobs e al confronto Zuckerberg è un pivello.

Nella santa messa la connessione è comunicazione, diventa comunione. Presente e passato (la storia della Salvezza) si tengono insieme attraverso la Parola proclamata e ascoltata – la stessa in tutte le chiese del mondo-, il Cielo e la terra si incontrano. Tutti “in rete” attraverso l’unico pane e l’unico calice – gli stessi in ogni parte del globo – entriamo in comunione con il corpo e il sangue di Cristo presente nelle sacre specie. La frammentazione e la solitudine sono superate per il dono dello Spirito Santo che ci fa «un solo corpo e un solo Spirito». La messa è lo spazio della connessione ecclesiale, nella quale preghiamo gli uni per gli altri, ricordiamo il vescovo del luogo e il nome del papa, preghiamo con i santi e per i defunti.  È anche il luogo in cui possiamo imparare a vivere relazioni nuove e rinnovate. Non c’è spazio per gli haters, non c’è violenza o isolamento, ma una scuola di tenerezza e di comunione, di misericordia, di dono di sé. La messa chiede ascolto, tempo e anche silenzio. L’eucaristia custodisce il segreto della festa e della gioia. Ci ricorda che è proprio oggi il tempo di passare dal like all’amen.

«La Chiesa stessa – scrive Francesco – è una rete tessuta dalla comunione eucaristica, dove l’unione non si fonda sul “like”, ma sulla verità, sull’amen, con cui ognuno aderisce al Corpo di Cristo, accogliendo gli altri».

Ci avevi mai pensato?

Ugo Feraci – Ufficio Comunicazioni Sociali e Cultura

 

Quant’è comunità la tua community?

Dalle parole del Papa un piccolo test per valutare la propria vita social personale e comunitaria.

Prendendo spunto da alcuni passaggi del messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali  ricaviamo un piccolo “esame di coscienza” personale e/o comunitario che potrebbe accompagnare la giornata di domenica 2 giugno e qualche riflessione comunitaria. Una sorta di test di auto valutazione sulla propria vita social che non ha altra pretesa che quella di farci pensare a come stiamo online.

VAI AL TEST ONLINE…




Dalla comunità umana alle social network communities e viceversa?

Dalle social network communities alla comunità umana c’è continuità o un salto nel vuoto?

Dalla comunità umana, come da quella ecclesiale, alle social network communities verrebbe da dire che una continuità, di fatto, si trova; alzi la mano chi non è almeno membro di un gruppo whatsapp della parrocchia, dei catechisti o del coro. Quanti, tra i cattolici, non rilanciano o commentano la pagina del proprio parroco o del proprio gruppo di preghiera? Insomma, dal reale al digitale il passo è breve, anzi, immediato. Forse fin troppo, al punto che varrebbe la pena chiedersi se nel mondo digitale, come in quello reale, ci stiamo da veri cristiani. Insomma, dalla comunità umana a quella social una continuità la c’è; ma sarà vero anche il contrario?

Non tutte le social network communities infatti, sembrano avere un corrispettivo nella “comunità umana”. Per questo il titolo del messaggio di Papa Francesco per la 54a giornata delle comunicazioni sociale, “Dalle social network communities alla comunità umana”, se pure appaia meno tecnico del messaggio precedente -incentrato sulle famigerate fake news- può toccare nel vivo il lavoro degli operatori della comunicazione.

In primo luogo perché invita a riflettere su ciò che diventa motivo di aggregazione “social” e spinge a discernere nel mare magnum di gruppi, cerchie, movimenti e sommovimenti interni alla rete. Il guaio, infatti, afferma Francesco, è che «troppe volte l’identità si fonda sulla contrapposizione nei confronti dell’altro, dell’estraneo al gruppo: ci si definisce a partire da ciò che divide piuttosto che da ciò che unisce, dando spazio al sospetto e allo sfogo di ogni tipo di pregiudizio (etnico, sessuale, religioso, e altri)».

Cosa ci aggrega sulla rete? La rabbia, il dissenso, la paura? Oppure quei gusti che un algoritmo conosce meglio di noi? «Quella che dovrebbe essere una finestra sul mondo – ricorda il papa – diventa così una vetrina in cui esibire il proprio narcisismo». Quale “noi” descrive la rete e …molto giornalismo? Il noi degli sfiduciati o degli incattiviti?

E i cattolici dove si trovano sulla rete? Come si presentano? Come sono descritti? Ipocriti o veri credenti? Minoranza creativa o rissosa? Quale Chiesa descrivono le comunicazioni sociali del 2019?

Il successo della rete e soprattutto dei social network, d’altra parte, ribatte su un’esigenza antropologica fondamentale: non siamo fatti per stare soli; non possiamo fare a meno di vivere in relazione. Nel messaggio del papa le parole di San Basilio, vissuto nel lontano IV secolo, suonano decisamente azzeccate: «Nulla, infatti, è così specifico della nostra natura quanto l’entrare in rapporto gli uni con gli altri, l’aver bisogno gli uni degli altri».

L’insistenza sulla costruzione e la ricerca dell’identità dice che ho sempre bisogno di un altro che mi aiuti a scoprirla, che mi riconosca o conosca, mi apprezzi, mi dica da dove vengo e chi sono, e per cosa sono fatto. E se non trovo nessuno che me lo dica mi metterò una divisa, mi svenderò un po’ di più rendendomi appetibile o un po’ più scollacciata, cercherò qualcuno a cui assomigliare. Per chi è solo o si sente solo la rete è sempre alla portata di mano. Uno spazio aperto sulla propria comfort zone –anestetizzata o intristita che sia- in cui si rischia facilmente però, di ferire e farsi ferire anche pesantemente. Eppure perfino il più isolato può accontentarsi di sbocconcellare o ricercare il sapore di una presenza online.

Ma se dall’altra parte della rete non c’è nessuno che abbia lo spessore e la concretezza di un padre, di una madre, di un amico o un fratello i rischi del cyberbullismo, gli spettri della solitudine, della tristezza e del populismo saranno pronti a risucchiarci. La rete si trasforma in «una ragnatela capace di intrappolare».

L’antidoto più efficace per un rischio del genere –ricorda il messaggio- è custodire una metafora ben nota alla tradizione della chiesa: quella del corpo e delle membra. «Perciò, bando alla menzogna e dite ciascuno la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri» (Ef 4,25)… La verità infatti si rivela nella comunione. La menzogna invece è rifiuto egoistico di riconoscere la propria appartenenza al corpo; è rifiuto di donarsi agli altri, perdendo così l’unica via per trovare sé stessi». La metafora del corpo e delle membra ci ricorda l’importanza di dire la verità, di imparare cioè a comunicare davvero, a stare dentro le relazioni.

«La Chiesa stessa – precisa il papa-  è una rete tessuta dalla comunione eucaristica, dove l’unione non si fonda sui “like”, ma sulla verità, sull’“amen”, con cui ognuno aderisce al Corpo di Cristo, accogliendo gli altri», dove la comunione dice ciò che riceviamo e ciò che diventiamo per grazia.

Un invito che tocca tutti, ma che anche in questo caso raggiunge il lavoro quotidiano del comunicatore di professione, perché la verità chiede di prendere posizione, forse anche controcorrente, chiede fatica, ma sempre unifica chi le appartiene e la trasmette, e alla lunga convince e libera.

La menzogna, invece, massifica senza comunione, disgrega e rivela l’interesse di una parte, di un potere forte, occulto o manifesto che cresce e crea consensi su comunità fragili e disorientate.

ugo feraci – ufficio comunicazioni sociali e cultura




Dal “like” all’amen: il messaggio del papa agli operatori della comunicazione

Giovedì 24 gennaio, memoria di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, il vescovo Tardelli ha incontrato gli operatori della comunicazioni.

Mons. Tardelli ha presentato il messaggio di Papa Francesco per la 54° giornata mondiale delle comunicazioni sociali dal titolo: “dalle social network communities alla comunità umana“.

Il vescovo ha intrattenuto con i presenti un dialogo cordiale invitandoli a essere di «aiuto, con il loro prezioso lavoro, alla costruzione di una comunità umana basata sui valori di solidarietà e comunione».

Un momento conviviale ha chiuso la serata offrendo un ulteriore momento di condivisione e familiarità.

(foto di Mariangela Montanari)

Pubblichiamo di seguito il messaggio di Papa Francesco per la 53ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.

«Siamo membra gli uni degli altri» (Ef 4,25).

Dalle social network communities alla comunità umana

Cari fratelli e sorelle,
da quando internet è stato disponibile, la Chiesa ha sempre cercato di promuoverne l’uso a servizio dell’incontro tra le persone e della solidarietà tra tutti. Con questo Messaggio vorrei invitarvi ancora una volta a riflettere sul fondamento e l’importanza del nostro essere-in-relazione e a riscoprire, nella vastità delle sfide dell’attuale contesto comunicativo, il desiderio dell’uomo che non vuole rimanere nella propria solitudine.

Le metafore della “rete” e della “comunità”

L’ambiente mediale oggi è talmente pervasivo da essere ormai indistinguibile dalla sfera del vivere quotidiano. La rete è una risorsa del nostro tempo. È una fonte di conoscenze e di relazioni un tempo impensabili. Numerosi esperti però, a proposito delle profonde trasformazioni impresse dalla tecnologia alle logiche di produzione, circolazione e fruizione dei contenuti, evidenziano anche i rischi che minacciano la ricerca e la condivisione di una informazione autentica su scala globale. Se internet rappresenta una possibilità straordinaria di accesso al sapere, è vero anche che si è rivelato come uno dei luoghi più esposti alla disinformazione e alla distorsione consapevole e mirata dei fatti e delle relazioni interpersonali, che spesso assumono la forma del discredito.

Occorre riconoscere che le reti sociali, se per un verso servono a collegarci di più, a farci ritrovare e aiutare gli uni gli altri, per l’altro si prestano anche ad un uso manipolatorio dei dati personali, finalizzato a ottenere vantaggi sul piano politico o economico, senza il dovuto rispetto della persona e dei suoi diritti. Tra i più giovani le statistiche rivelano che un ragazzo su quattro è coinvolto in episodi di cyberbullismo. [1]

Nella complessità di questo scenario può essere utile tornare a riflettere sulla metafora della rete posta inizialmente a fondamento di internet, per riscoprirne le potenzialità positive. La figura della rete ci invita a riflettere sulla molteplicità dei percorsi e dei nodi che ne assicurano la tenuta, in assenza di un centro, di una struttura di tipo gerarchico, di un’organizzazione di tipo verticale. La rete funziona grazie alla compartecipazione di tutti gli elementi.

Ricondotta alla dimensione antropologica, la metafora della rete richiama un’altra figura densa di significati: quella della comunità. Una comunità è tanto più forte quanto più è coesa e solidale, animata da sentimenti di fiducia e persegue obiettivi condivisi. La comunità come rete solidale richiede l’ascolto reciproco e il dialogo, basato sull’uso responsabile del linguaggio.

È a tutti evidente come, nello scenario attuale, la social network community non sia automaticamente sinonimo di comunità. Nei casi migliori le community riescono a dare prova di coesione e solidarietà, ma spesso rimangono solo aggregati di individui che si riconoscono intorno a interessi o argomenti caratterizzati da legami deboli. Inoltre, nel social web troppe volte l’identità si fonda sulla contrapposizione nei confronti dell’altro, dell’estraneo al gruppo: ci si definisce a partire da ciò che divide piuttosto che da ciò che unisce, dando spazio al sospetto e allo sfogo di ogni tipo di pregiudizio (etnico, sessuale, religioso, e altri). Questa tendenza alimenta gruppi che escludono l’eterogeneità, che alimentano anche nell’ambiente digitale un individualismo sfrenato, finendo talvolta per fomentare spirali di odio. Quella che dovrebbe essere una finestra sul mondo diventa così una vetrina in cui esibire il proprio narcisismo.

La rete è un’occasione per promuovere l’incontro con gli altri, ma può anche potenziare il nostro autoisolamento, come una ragnatela capace di intrappolare. Sono i ragazzi ad essere più esposti all’illusione che il social web possa appagarli totalmente sul piano relazionale, fino al fenomeno pericoloso dei giovani “eremiti sociali” che rischiano di estraniarsi completamente dalla società. Questa dinamica drammatica manifesta un grave strappo nel tessuto relazionale della società, una lacerazione che non possiamo ignorare.

Questa realtà multiforme e insidiosa pone diverse questioni di carattere etico, sociale, giuridico, politico, economico, e interpella anche la Chiesa. Mentre i governi cercano le vie di regolamentazione legale per salvare la visione originaria di una rete libera, aperta e sicura, tutti abbiamo la possibilità e la responsabilità di favorirne un uso positivo.

È chiaro che non basta moltiplicare le connessioni perché aumenti anche la comprensione reciproca. Come ritrovare, dunque, la vera identità comunitaria nella consapevolezza della responsabilità che abbiamo gli uni verso gli altri anche nella rete online?

“Siamo membra gli uni degli altri”

Una possibile risposta può essere abbozzata a partire da una terza metafora, quella del corpo e delle membra, che San Paolo usa per parlare della relazione di reciprocità tra le persone, fondata in un organismo che le unisce. «Perciò, bando alla menzogna e dite ciascuno la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri» (Ef 4,25). L’essere membra gli uni degli altri è la motivazione profonda, con la quale l’Apostolo esorta a deporre la menzogna e a dire la verità: l’obbligo a custodire la verità nasce dall’esigenza di non smentire la reciproca relazione di comunione. La verità infatti si rivela nella comunione. La menzogna invece è rifiuto egoistico di riconoscere la propria appartenenza al corpo; è rifiuto di donarsi agli altri, perdendo così l’unica via per trovare sé stessi.

La metafora del corpo e delle membra ci porta a riflettere sulla nostra identità, che è fondata sulla comunione e sull’alterità. Come cristiani ci riconosciamo tutti membra dell’unico corpo di cui Cristo è il capo. Questo ci aiuta a non vedere le persone come potenziali concorrenti, ma a considerare anche i nemici come persone. Non c’è più bisogno dell’avversario per auto-definirsi, perché lo sguardo di inclusione che impariamo da Cristo ci fa scoprire l’alterità in modo nuovo, come parte integrante e condizione della relazione e della prossimità.

Tale capacità di comprensione e di comunicazione tra le persone umane ha il suo fondamento nella comunione di amore tra le Persone divine. Dio non è Solitudine, ma Comunione; è Amore, e perciò comunicazione, perché l’amore sempre comunica, anzi comunica sé stesso per incontrare l’altro. Per comunicare con noi e per comunicarsi a noi Dio si adatta al nostro linguaggio, stabilendo nella storia un vero e proprio dialogo con l’umanità (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 2).

In virtù del nostro essere creati ad immagine e somiglianza di Dio che è comunione e comunicazione-di-sé, noi portiamo sempre nel cuore la nostalgia di vivere in comunione, di appartenere a una comunità. «Nulla, infatti – afferma San Basilio –, è così specifico della nostra natura quanto l’entrare in rapporto gli uni con gli altri, l’aver bisogno gli uni degli altri».[2]

Il contesto attuale chiama tutti noi a investire sulle relazioni, ad affermare anche nella rete e attraverso la rete il carattere interpersonale della nostra umanità. A maggior ragione noi cristiani siamo chiamati a manifestare quella comunione che segna la nostra identità di credenti. La fede stessa, infatti, è una relazione, un incontro; e sotto la spinta dell’amore di Dio noi possiamo comunicare, accogliere e comprendere il dono dell’altro e corrispondervi.

È proprio la comunione a immagine della Trinità che distingue la persona dall’individuo. Dalla fede in un Dio che è Trinità consegue che per essere me stesso ho bisogno dell’altro. Sono veramente umano, veramente personale, solo se mi relaziono agli altri. Il termine persona denota infatti l’essere umano come “volto”, rivolto verso l’altro, coinvolto con gli altri. La nostra vita cresce in umanità col passare dal carattere individuale a quello personale; l’autentico cammino di umanizzazione va dall’individuo che percepisce l’altro come rivale, alla persona che lo riconosce come compagno di viaggio.

Dal “like” all’“amen”

L’immagine del corpo e delle membra ci ricorda che l’uso del social web è complementare all’incontro in carne e ossa, che vive attraverso il corpo, il cuore, gli occhi, lo sguardo, il respiro dell’altro. Se la rete è usata come prolungamento o come attesa di tale incontro, allora non tradisce se stessa e rimane una risorsa per la comunione. Se una famiglia usa la rete per essere più collegata, per poi incontrarsi a tavola e guardarsi negli occhi, allora è una risorsa. Se una comunità ecclesiale coordina la propria attività attraverso la rete, per poi celebrare l’Eucaristia insieme, allora è una risorsa. Se la rete è occasione per avvicinarmi a storie ed esperienze di bellezza o di sofferenza fisicamente lontane da me, per pregare insieme e insieme cercare il bene nella riscoperta di ciò che ci unisce, allora è una risorsa.

Così possiamo passare dalla diagnosi alla terapia: aprendo la strada al dialogo, all’incontro, al sorriso, alla carezza… Questa è la rete che vogliamo. Una rete non fatta per intrappolare, ma per liberare, per custodire una comunione di persone libere. La Chiesa stessa è una rete tessuta dalla comunione eucaristica, dove l’unione non si fonda sui “like”, ma sulla verità, sull’“amen”, con cui ognuno aderisce al Corpo di Cristo, accogliendo gli altri.

Dal Vaticano, 24 gennaio 2019
Memoria di San Francesco di Sales

FRANCISCUS

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[1] Per arginare questo fenomeno sarà istituito un Osservatorio internazionale sul cyberbullismo con sede in Vaticano.
[2] Regole ampie, III, 1: PG 31, 917°; cfr Benedetto XVI, Messaggio per la 43° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (2009).




Se gli esercizi si fanno social

Da «Tienilo acceso», di Vera Gheno e Bruno Mastroianni a Sant’Ignazio di Loyola, qualche spunto per stare sui social da cristiani

C’è un libro recente di Vera Gheno e Bruno Mastroianni («Tienilo acceso», Longanesi 2018) che viene in soccorso all’utente medio dei social network, o meglio, alla stragrande maggioranza degli italiani che tengono in tasca uno smartphone e che si pongono il problema di “come” usarlo. Un agile manuale, non proprio abbreviato, ma di facile lettura che guida, come recita il sottotitolo a postare, commentare, condividere «senza spegnere il cervello».

Superata la distinzione reale/virtuale in auge al volgere del millennio, siamo tutti ormai consapevoli che i social si sono trasformati in “ambienti di vita”, spazi più “reali” che mai, dove si coltivano, costruiscono o distruggono relazioni, dove si fa notizia, tendenza, affari (soprattutto alle nostre spalle) e molta politica. Superata la dialettica dell’online/offline qualcuno ci dice che stiamo già dentro l’onlife.

Anche la Chiesa si è mobilitata in una produzione consistente di testi e proposte culturali legate al web e ai social network, desiderose di guidare alla conoscenza, alle buone pratiche e agli orizzonti pastorali (Ad esempio: «Di terra e di cielo. Manuale di comunicazione per seminaristi e animatori», a cura di Adriano Fabris e Ivan Maffeis, San Paolo 2017). Un’istanza educativa, d’altra parte, come afferma in modo molto convincente «Tienilo acceso», si fa sempre più necessaria se davvero

«è cambiato e sta cambiando radicalmente il rapporto dell’uomo con la conoscenza, così come sono cambiate e stanno cambiando le modalità degli esseri umani di entrare in relazione tra loro».

«Tienilo acceso» si dipana in quatto parti: «parole al centro» è la prima e presenta una provocatoria rassegna dell’odio in rete; quel che succede quando le parole diventano pietre, ma anche consigli pratici per capire che, con un po’ di attenzione, “onlife” possiamo starci anche diversamente. Il secondo capitolo, «parlare di me stesso», scopre il velo di Maya che fa dimenticare come in rete «siamo quel che sembriamo». La terza parte, «Parlare di ciò che succede» tocca il tema dell’informazione, offrendo utili suggerimenti per verificare le notizie e accoglierle criticamente. L’ultima parte, che recupera un altro testo di Mastroianni («La disputa felice. Dissentire senza litigare sui social network, sui media e in pubblico», Franco Casati Editore 2017), propone un metodo corredato da utili esempi per imparare a «parlare con gli altri», e vivere «felice e connessi».

A rimuginarci sopra le quattro parti di “Tienilo acceso” possono suggerire un piccolo “corso di esercizi spirituali” per chi, online, prova a starci da credente.

Magari a letto prima di addormentarsi, piuttosto che vagabondare da un profilo all’altro, non varrebbe la pena prendersi un minuto per osservare e osservarsi con occhiali “social”? Di fronte alle «cinquanta sfumature d’odio» squadernate quotidianamente su Facebook possono essere utili le composizioni di luogo ignaziane: «ascolto quello che dicono gli uomini sulla terra, cioè come parlano tra loro, giurano, bestemmiano e via dicendo; così pure ascolto quello che dicono le Persone divine, cioè: “Facciamo la redenzione del genere umano”; ascolto poi quello che dicono l’angelo e nostra Signora; infine rifletto per ricavare frutto dalle loro parole» (ES, 107). Un invito a “riascoltare” le parole umane e quelle decisive della storia della salvezza, per comprendere la misura traboccante della misericordia divina e magari nutrirne un po’ anche per i troll di turno e il piccolo hater che c’è in me. Vigilare sul cuore fa bene, perché «dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male…».

Mentre sbocconcello un panino in pausa pranzo e sul mio smartphone smessaggio serratamente con gli amici, zittisco i colleghi di lavoro, ricordo a mamma che torno a cena e alla fidanzata invio un profluvio di micini coccolosi, quale “me” ha davanti ognuno di loro?

C’è almeno un po’ di sintonia tra il tuo status e il tuo “stato di vita”? Lasciati interrogare dalla tua foto profilo. Prima di chiedere l’amicizia al datore di lavoro non conviene dare un’occhiata agli sfoghi sui tuoi post pubblici? La mia fede ha un’espressione social o è contraddetta dal mio profilo? E se il Signore mi chiedesse “l’amicizia”? Cosa vedrebbe di me?

Forse, come esplicita un buon libro di Rosario Rosarno («Giovani di oggi, preti di domani. Per una formazione vocazionale partecipativa-digitale», San Paolo 2018) occorre “educarsi all’identità” e fare attenzione almeno a tre aspetti: «capacità di gestione delle informazioni personali, inclinazione alla marginalizzazione delle proprie idee a favore di quelle altrui» (una bacheca affollata di link esterni ma priva di pensieri originali), «tendenza all’omologazione in social group che lasciano emergere un’identità eccentrica o annichilita». Qualcuno ci aveva avvertito: «ciò che avrete detto nelle tenebre, sarà udito in piena luce; e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne, sarà annunziato sui tetti».

Se la mattina, appena alzato, apprendo da Twitter che il Papa è stato contestato da un facinoroso drappello di giovani lucchesi vale la pena domandarsi -preso almeno il caffè- se la notizia è davvero attendibile. Qual è la fonte, chi l’ha rilanciata? Quali le circostanze reali? Forse scopriremo che si trattava di giovani entusiasti che salutavano soltanto il proprio vescovo. Se poi, quando le cose si fanno più serie, la fede o la Chiesa sui social appare svilita, vituperata, deformata, è bene ricordare che desolazioni e tentazioni scaturite dalle menzogne e dal peccato si combattono con la perseveranza e la fiducia nella grazia di Dio: «diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate…». Il tempo (della conoscenza critica), ci ricorda papa Francesco, è superiore allo spazio, anche a quello circoscritto di qualche post.

Vale la pena, infine, riascoltare quanto scriveva, al termine delle annotazioni iniziali degli Esercizi lo stesso Sant’Ignazio:

«è da presupporre che un buon cristiano deve essere propenso a difendere piuttosto che a condannare l’affermazione di un altro. Se non può difenderla, cerchi di chiarire in che senso l’altro la intende; se la intende in modo erroneo, lo corregga benevolmente; se questo non basta, impieghi tutti i mezzi opportuni perché la intenda correttamente, e così possa salvarsi» (ES, 22).

Una pratica indicazione per chi, tra una telefonata e l’altra, in ufficio sfoga il proprio risentimento nei commenti di un fatto o di messaggio.

Quando torni a casa, imbottigliato nel bel mezzo del traffico, ti sei mai chiesto quali commenti hai postato? Quali reazioni hanno suscitato? «Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me…». Suonano pesanti le parole di Gesù. Fa bene ricordarsi di «avere a cuore l’altro», come ricorda «Tienilo Acceso» quando invita a fare attenzione a come scriviamo quel che postiamo perché «per riformulare il proprio pensiero nella maniera più efficace possibile occorre pensare all’interlocutore più debole, non all’interlocutore-modello».

Insomma, le vie del Signore sono davvero infinite. Proviamo a ricordarcene anche quando prendiamo in mano lo smartphone.

d. Ugo Feraci (Ufficio Comunicazioni Sociali e Cultura)




Come stare sui social senza spegnere il cervello

Un incontro promosso da AIART e Diocesi con Vera Gheno e Bruno Mastroianni, autori di “Tienilo acceso”

Come orientarsi nel mondo dei social network? Come usarli in maniera responsabile e, soprattutto, utile?

A queste e altre domande cercano di dare una riposta Vera Gheno e Bruno Mastroianni, autori del libro “Tienilo acceso”, edito da Longanesi. Gli autori, esperti di comunicazione digitale, presenteranno il loro lavoro a Pistoia, lunedì 3 dicembre 2018 con inizio alle ore 17.15 presso il Conservatorio di San Giovanni Battista (Corso Gramsci 37), nell’ambito di un’ iniziativa della sezione pistoiese di AIART, guidata da Renata Fabbri, e della Diocesi di Pistoia tramite l’ufficio per le comunicazioni sociali e cultura.

Nel libro (250 pagine che scorrono come l’olio) c’è anche un glossario: un glossario su una ottantina di termini che dobbiamo conoscere, in tutti i loro significati, se davvero vogliamo “abitare da adulti” il mondo della continua connessione social.

Si va da “adultescenza” (il sempre più frequente stato di una persona che non riesce a diventare del tutto adulta ma rimane incastrata in un prolungamento dell’adolescenza) a “Youtuber” (uno fra i miti di tanti ragazzini e ragazzine odierne: quei singolari personaggi assai attivi sui social, con grandissimi numeri di seguaci, che influenzano i più deboli guadagnandoci somme consistenti di denari). Nel mezzo parole, prevalentemente in lingua inglese, come “troll” e “texting”, “screenshot” e “sexting”, “hastag” e “dark web”, “blog” e “app”.

Il sottotitolo del libro (“Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello”) spiega bene il senso dell’operazione tentata con questo volume: contribuire non certo a demonizzare i nuovi media ma a conoscerli e, se possibile, a dominarli senza esserne a nostra volta dominati.

All’incontro, che sarà preceduto dal saluto del prof. Paolo Baldassarri presidente del “San Giovanni Battista”, è stato dato un titolo (“La disputa come strumento di crescita nei social e nella società”) che rimanda a un precedente, assai fortunato, libro dello stesso Bruno Mastroianni con una serie di indicazioni concrete sul come stare sui social in modo adulto: magari anche in dissenso con altri ma in ogni caso da persone civili, senza avvelenarci l’anima e il corpo attraverso leticate, offese, odio contrapposti.

L’incontro è aperto a chiunque si ritenga interessato, con particolare riferimento a insegnanti e studenti.




LA VERITÀ CHE CI FA LIBERI

Domenica 13 maggio, Solennità dell’Ascensione di nostro Signore Gesù Cristo, si celebra la 52° giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali

 

Risalgo via delle Logge, in quei primi momenti di buio in cui non si è ancora accesa la movida del centro e da dietro le finestre arrivano rintocchi di stoviglie e il borbottio della televisione accesa. Una serata tiepida dopo i primi precoci bollori di maggio. Dalle stanze più alte del convento dei domenicani scende una musica rap e il brusio di migranti. Ne escono alla spicciolata, agili e dinoccolati, da una porticina sulla strada. La musica rimbalza sulle strette sponde di via delle Logge, tra la grande e silente muraglia del monastero della Visitazione e le finestre gotiche della Chiesa di San Domenico, finché si intreccia al pianto dirotto di un bimbo.

È il pianto di un piccino, coccolato sulla terrazza del palazzo di là dal Corso, proprio in fronte a via delle Logge. Il piccolo piange mentre lo culla una suora, che dondola piano e ripete appena «shhhh»…
Il mondo è complesso, ma vale la pena viverci e raccontare che succede quando si apre alla verità della fede.
«La verità vi farà liberi. Fake news e giornalismo di pace» (Gv 8,32). È il titolo del messaggio per la 52° giornata per le comunicazioni sociali di Papa Francesco. «La verità vi farà liberi». Me lo ripeto e penso alle grate incatricchiate della Visitazione. Le monache di clausura vivono libere là dietro. La verità che rende liberi fa intuire che anche nella castità si può generare e donare la vita.

Il bambino piange tra le braccia della suora. Un altro, poco più grande, è morto qualche giorno fa. È solo un corpo ha detto qualcuno; non illudetevi per l’aspetto: il suo cervello è ormai del tutto andato. Se avesse potuto esprimersi e scegliere – altri hanno aggiunto – avrebbe scelto di porre fine alle propria «infinita agonia». La sua vita è «inutile»; ma ogni vita è un dono gli hanno replicato. Non lo si strazi, ma gli sia data la morte nel suo miglior interesse hanno sentenziato.

Che cos’è la verità? Piccoli senza voce, talora neppure in grado di piangere ce lo domandano. Uno di loro stava ancora nel grembo della mamma, che però ha fatto l’errore di passare il confine sbagliato. Un grave tumore non le ha impedito di provare il tutto per tutto per tenere unita la famiglia. È stata respinta senza troppa cortesia, ma il bambino è poi nato. È dunque più vera la convenzione per cui esiste un confine di una vita che nasce?
E quei ragazzi nelle stanze dei domenicani? Clandestini, migranti, perditempo a 35 euro il giorno o disperati in cerca di una vita differente? Invasione o esodo?

Su un gommone carico di taniche di benzina ne hanno recuperati tre. Tre fratelli e uno di loro, 14 anni, con la flebo attaccata al braccio. Sperduti tra le onde del Mediterraneo hanno sfidato l’abisso per far curare in Europa il fratello malato di leucemia. Altri, come Segen, 22 anni eritreo, non ce l’hanno fatta. Recuperato in mare in condizioni disperate è morto “di fame” lì a poco «pelle e ossa, senza un filo di adipe, con i muscoli ipotrofici».

Papa Francesco parla di una «logica del serpente», che sta dentro le false notizie, insidiosa perché dalla natura mimetica, che rende la menzogna appetibile e il messaggio convincente, seppure bacato e corruttore. Una questione apparentemente tecnica si presenta, a ben guardare, come uno dei grossi guai del nostro tempo, origine di peccato e perdizione. «Che cos’è la verità?». Chi è interessato al potere non si preoccupa della verità. Quando Gesù lascia intravedere l’inconsistenza di ogni potere mondano, allora Pilato pone l’interrogativo e la domanda resta sospesa.

Piange il bambino tra le braccia della suora. Riconosco d’un tratto quella sagoma nera, il suo dondolare lieve, l’alto e asciutto profilo. È stata la mia maestra all’asilo. Lo ricordo bene. Ci siamo rivisti dopo diversi anni, e poi accompagnati, seppure a distanza nella preghiera. Nel giorno dell’ordinazione sacerdotale ricordo che c’era anche lei. Arrivata a comunicarsi mi commosse rivederla lì, accanto ancora una volta, dopo quel tempo lontano di giochi e disegni infantili. La sua presenza riavvolgeva speditamente una vita e apriva la porta alla grazia di una comprensione migliore, alla possibilità di abbracciare nella luce di Dio i tanti momenti, più, meno, o per niente edificanti di un’esistenza. La guardo quietare quel piccino che piange.

C’è l’immagine della Chiesa in quel dolce e saldo dondolìo: immagine di una realtà viva, che genera nella castità, impara a essere libera nella clausura, profetica nella carità, luminosa nella dottrina della fede. Non c’è fake news che tenga di fronte a questo paradosso che morde la vita. «La verità – precisa il papa nel suo messaggio – ha a che fare con la vita intera». Un bambino sicuro tra le braccia di chi lo accoglie con amore conosce la verità, impara a scoprirla nell’affidabilità di chi lo sostiene e lo dondola, sperimenta la verità nella vita. Più si scopre amato crescendo e meno resta prigioniero di ferite e paure che camuffano la realtà. Colma dello Spirito Maria ha compreso che la verità si può schiudere anche dal paradosso «perché nulla è impossibile a Dio». L’uomo, afferma il papa «scopre e riscopre la verità quando la sperimenta in sé stesso come fedeltà e affidabilità di chi lo ama. Solo questo libera l’uomo».

«Il miglior antidoto contro le falsità non sono le strategie, ma le persone». Nell’incontro con l’altro il pregiudizio o la mistificazione si sciolgono. Pur aprendosi ad una realtà complessa chi crede è inserito nella luce della verità che unifica e vivifica.

L’incanto di via delle Logge si stempera all’imbocco del Corso, dove c’è il passeggio distratto e lo spazio aperto e stratificato della città. Il piccino sul terrazzo è adesso rientrato in casa. Restano la finestra aperta e la luce accesa su quell’episodio minimo e intimo di tenerezza e vita concreta. Suggerimenti chiari per chi è chiamato a testimoniare, ma anche a raccontare la verità, per «un giornalismo fatto da persone per le persone, e che si comprende come servizio a tutte le persone, specialmente a quelle – sono al mondo la maggioranza – che non hanno voce».

Ugo Feraci – Ufficio Comunicazioni Sociali e Cultura




IL VESCOVO TARDELLI INCONTRA LA STAMPA

Torna l’ormai tradizionale appuntamento del vescovo con la stampa locale. Mons. Tardelli consegna ai giornalisti il messaggio di Papa Francesco per la Giornata della Comunicazioni Sociali 2018. 

Il Vescovo Tardelli ha incontrato i giornalisti in occasione della pubblicazione del Messaggio di Papa Francesco per la Giornata delle Comunicazioni sociali 2018. La celebrazione della giornata cade tradizionalmente per la solennità dell’Ascensione giovedì 10 maggio, tuttavia è ormai consolidata da tempo l’abitudine di un incontro tra la stampa e il vescovo nel giorno, o in prossimità, della memoria di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti.

Per l’occasione il vescovo ha presentato la ‘squadra’ comunicativa della Diocesi (Ufficio Comunicazioni sociali, Addetto stampa, collaboratori del settimanale diocesano “La Vita”) e si è anche reso disponibile alle domande dei presenti spaziando su alcuni dei suoi principali impegni: la riorganizzazione delle parrocchie e la visita pastorale in corso, che lo occuperà fino a buona parte del 2019.

Non è mancato un riferimento agli eventi proposti nel 2017 dalla Diocesi per l’anno della capitale della Cultura, alcuni dei quali, come la mostra della Visitazione, si protrarranno e avranno sviluppi ulteriori nel corso dell’anno.

È stata soprattutto l’occasione per presentare alla stampa locale il messaggio di Papa Francesco per la Giornata delle Comunicazioni Sociali: «La verità vi farà liberi (Gv 8,32). Fake news e giornalismo di pace».

Al centro del messaggio, ha precisato il vescovo ai giornalisti, «c’è il rapporto di ciascuno di noi con la verità. E la verità è qui presentata in rapporto alla vita concreta delle persone. Verità come rispetto delle persone perché non diventino mai mezzi o strumenti. Rispetto -in un messaggio che si rivolge a tutti i giornalisti- anche di Gesù stesso, che si è presentato come la Verità in persona». Tutti abbiamo ormai sentito parlare di fake news, cioè di quelle ‘false notizie’ che circolano prevalentemente, ma non esclusivamente, sul web, ma per chi volesse saperne di più il messaggio offre anche una definizione: «informazioni infondate, basate su dati inesistenti o distorti e mirate a ingannare e persino a manipolare il lettore».

Non si tratta dunque di scarsa informazione, ma di una vera e propria manipolazione della realtà. Il testo, infatti, aggiunge il vescovo, presenta «il problema della menzogna facendo riferimento al ‘serpente antico’. È centrale nel testo, infatti, l’episodio biblico che racconta la prima ‘fake news’, cioè Genesi 3,1-15 dove si descrive la menzogna del serpente che mente ai progenitori e li seduce». ‘Capziosa’ e ‘mimetica’ la natura delle fake news segue la ‘logica del serpente’, non quella della verità «che attrae e non seduce, perché la seduzione è spesso arte menzognera».
«È un meccanismo – continua Tardelli – che si ripresenta in una società in cui ci si inganna spesso e volentieri». Se le bugie le abbiamo relegate all’infanzia e, pure dalle nostre parti, ci abbiamo dedicato un festival, il problema è la menzogna: «cosa c’è dietro una fake news? Sete di potere, di successo, manipolazione».
«Un’informazione sbagliata – precisa il vescovo citando il Papa – non è mai innocua. Produce sempre conseguenze nefaste. Oggi i new media sono lame taglienti con cui è assai facile ferire. Il papa richiama tutti alla responsabilità. Siamo cercatori di verità oppure la verità non ci interessa? Il problema del rapporto personale della verità è incisivo e diventa appello all’educazione, invito al discernimento; suggerisce -secondo una bella espressione di Papa Francesco- di “lasciarsi purificare dalla verità”».

Di fronte al dilagare delle fake news e della menzogna, che pure chiedono responsabilità e una regolamentazione legislativa, il papa ricorda che «il miglior antidoto contro le falsità non sono le strategie ma le persone. Persone che libere dalla bramosia sono pronte all’ascolto alla fatica di un dialogo sincero».

Il giornalista è ‘custode’ delle notizie. Una ‘custodia’ che diventa vocazione e missione, come insegna la ‘custodia’ di Giuseppe nei confronti di Gesù. «Il giornalista ha il compito – e il vescovo ripete con particolare attenzione l’invito di papa Francesco-, nella frenesia delle notizie e nel vortice degli scoop, di ricordare che al centro della notizia non ci sono la velocità nel darla e l’impatto sull’audience, ma le persone».
Un’attenzione che conduce ad un ‘giornalismo di pace’, cioè non a un giornalismo annacquato e buonista, piuttosto a un «giornalismo fatto da persone per le persone, e che si comprende come servizio a tutte le persone, specialmente a quelle – sono al mondo la maggioranza – che non hanno voce; un giornalismo che non bruci le notizie, ma che si impegni nella ricerca delle cause reali dei conflitti, per favorirne la comprensione dalle radici e il superamento attraverso l’avviamento di processi virtuosi; un giornalismo impegnato a indicare soluzioni alternative alle escalation del clamore e della violenza verbale».

(redazione)