Diaconati: quei tre gesti da non dimenticare

Nell’omelia del vescovo Tardelli i tratti distintivi dell’ordine del diaconato

Domenica 13 gennaio, festa del Battesimo del Signore, mons. Tardelli ha ordinato diaconi Alessio Bartolini ed Eusebiu Farcas, alunni del Seminario diocesano e Fratel Antonio Benedetto, priore della Fraternità Apostolica di Gerusalemme di Pistoia.

L’ordine del diaconato, che i tre nuovi ministri hanno ricevuto in vista del presbiterato, chiama Alessio, Eusebiu e Frate Antonio a svolgere un il proprio ministero in aiuto ai sacerdoti e a servizio al popolo cristiano. I diaconi potranno celebrare il rito del Battesimo e delle esequie, assistere al matrimonio e presiedere la liturgia della Parola. Con parole e opere, infatti, dovranno testimoniare il Vangelo, ma anche esprimere la propria totale dedizione a Cristo e alla chiesa con il celibato. I diaconi si impegnano, inoltre, a pregare fedelmente la Liturgia delle ore, «insieme con il popolo di Dio per la Chiesa e il mondo intero».

L’ordine del diaconato li inserisce stabilmente nella chiesa particolare di Pistoia e li invita a vivere il proprio servizio in obbedienza al vescovo locale.

Tra le promesse richieste ai diaconi anche l’impegno a “conformare” a Cristo tutta la propria vita. Un’impegno impossibile senza la grazia di Dio, che nell’omelia Mons. Tardelli ha riproposto agli ordinati prendendo spunto dalla liturgia del giorno, invitandoli a immergersi quotidianamente «nella grazia di Dio». «Senza questo continuo “battesimo” nell’amore di Dio – ha precisato il vescovo – egli non ce la può fare a condividere efficacemente la vita delle persone a cui è inviato, ad aiutare il Cristo a portare il peso dei fratelli e delle sorelle con la dolcezza e la pazienza del servizio».

Immergersi nelle acque; salire su un alto monte; alzare la voce: questi infatti, i tre passaggi dell’omelia con cui il vescovo ha sinteticamente illustrato il compito dei diaconi.

Il faticoso ma entusiasmante cammino del ministero – ha ricordato mons. Tardelli – è ben descritto dall’invito a «salire sul monte» risuonato dalla prima lettura del profeta Isaia. Una salita che spesso si trasforma in una vera e propria arrampicata: «mai solitaria però; piuttosto come quella di un capo cordata che apre la pista e che deve far attenzione a non cadere, trascinando nella caduta coloro che il Signore ha legato a lui».

«Infine – ha concluso il vescovo – c’è da alzare la voce». Sono ancora le parole del profeta a suggerirlo:  «Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie» (Isaia 40,9). Parole che applicate alla vita del diacono lo spronano a «proclamare la notizia perché tutti l’intendano. La sua voce deve innalzarsi sopra le mille voci del mondo, sopra il chiacchiericcio delle parole vuote e l’inganno delle parole false di cui è pieno il mondo e di cui si riempiono facilmente la testa e il cuore degli uomini».

(redazione)

foto di Mariangela Montanari

13 gennaio 2019, Festa del Battesimo del Signore: ordinazione diaconale di Alessio Bartolini, Eusebiu Farcas, Fratel Antonio Benedetto.Tutte le foto sono di Mariangela Montanari.

Publiée par Diocesi di Pistoia sur Lundi 14 janvier 2019




Le vie del servizio nel diaconato: la parola ad Alessio, Eusebiu e Fratel Antonio

Un evento di grazia che esprime la vivacità della Chiesa in un tempo di crisi. L’ordinazione di tre diaconi in vista del sacerdozio rappresenta per la nostra diocesi un appuntamento lieto per cui essere grati al Signore, una triplice ordinazione che non cadeva da diversi anni e che vedrà tre nuovi diaconi in vista del sacerdozio.

Tra loro ci sono due seminaristi della nostra diocesi, Eusebiu Farcas e Alessio Bartolini, ma anche Fratel Antonio Benedetto della Fraternità Apostolica di Gerusalemme di Pistoia, da cui è priore del 2017. Tutti riceveranno il sacramento dell’ordine domenica 13 gennaio alle ore 18 presso la cattedrale di Pistoia.

 

Le vie del servizio nel diaconato

I tre diaconandi raccontano se stessi, il rito dell’ordinazione diaconale e il ministero a cui sono chiamati

A cura di Daniela Raspollini

 

Cosa significa per te questo momento? Quali sono le tue impressioni?

Il ministero del diacono è sintetizzato dal Concilio Vaticano II con la triade «diaconía della liturgia, della predicazione e della carità», con cui serve «il popolo di Dio, in comunione col vescovo e con il suo presbiterio». Vivere il ministero del diaconato da religioso mi riempie gioia e di emozione, dal momento che di fronte ai miei occhi ho l’esempio di San Francesco d’Assisi che fin da bambino ho sentito sempre vicino nel mio cammino. All’interno della liturgia ci saranno dei compiti nuovi che sicuramente metteranno alla prova la mia timidezza, come la lettura del Vangelo, la predicazione, ecc., mentre il servizio ai poveri e agli ammalati me lo sento più familiare dal momento che la mia vocazione è nata proprio in un contesto di volontariato nel servizio ai poveri in un pronto soccorso sociale. Ora mi appresto a ricevere questo ministero alla veneranda età di quarantasei anni… spero almeno di poter portare un po’ della mia esperienza passata (con gli ultimi) facendo un buon servizio sia con la mia comunità sia in diocesi.

Avvicinandomi con tremore a questo nuovo servizio, consapevole dei mie limiti e della mia povertà, con lo sguardo rivolto a nostro Signore e alla vergine Maria, confido nella sua grazia e nelle preghiere delle persone che mi vogliono bene.

Fratel Antonio Benedetto

 

C’è qualche aspetto del rito di ordinazione che vi sembra particolarmente significativo? Potete spiegarlo ai non addetti ai lavori?

C’è un gesto particolare che il vescovo compirà su di noi durante il rito di ordinazione: l’imposizione della mani.

È un gesto cosiddetto “epicletico” un gesto cioè per mezzo del quale il vescovo trasmette lo Spirito Santo agli ordinandi, quello spirito che vivifica e consacra e ci renderà diaconi, ad imitazione del Cristo servo.

Insieme alla preghiera di ordinazione è il cuore pulsante dell’intera liturgia di ordinazione di cui è parte essenziale, e attraverso questo gesto ci sarà donata la grazia di Cristo; una grazia, quella del ministero ordinato, che si esprime con tinte diverse ma inseparabili, nei tre gradi che lo costituiscono.

Vescovo, presbiteri e diaconi insieme, costituiscono nella Chiesa la realtà preziosa è imprescindibile del servizio paterno, pastorale, ad immagine di Gesù che «come un pastore fa pascolare il gregge e lo raduna

 col suo braccio, porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri…» (Is 40,11).

 

Quale messaggio vi sentite di dare alla comunità diocesana in tempi così aridi?

L’unico ed umile messaggio che ci sentiamo di dare alla comunità diocesana è quello di lasciarsi sempre guidati dallo dallo Spirito, cosi come anche il nostro vescovo scrive negli orientamenti pastorali. Allora crediamo che dobbiamo lasciarci guidare dallo Spirito, per poter aderire a Cristo e fare la Sua volontà. Solo aderendo Cristo possiamo diventare una vera comunità fraterna e missionaria.

 

…e ai giovani? Come spieghereste a un giovane che è possibile fare scelte…”per sempre”?

È sempre bello potersi rivolgere ai giovani, sono la primavera e la freschezza della Chiesa.

È anche vero che i nostri giovani, quelli dell’epoca della postmodernità, se spesso hanno veramente fame e sete della vita vera, in molti casi, a causa dei condizionamenti che quotidianamente subiscono, sono portati a sviluppare una certa diffidenza nei confronti di proposte di vita forti e impegnative come quella cristiana, in cui ogni stato di vita e ogni cammino sono segnati dalla cifra indelebile della donazione e della totalità dell’amore.

C’è bisogno, da parte nostra, di essere testimoni seri e credibili della bellezza dell’incontro con Dio.

Ai giovani mi sentirei di dire: coraggio, non smettete di stupirvi della bellezza di scoprirvi amati, scelti, abbracciati dalla misericordia di Dio.

Il Cristo risorto, ha pervaso la natura umana e l’ha redenta, ci chiede di mettersi in relazione con lui, di rimanere nella sua amicizia di stringere sempre di più la nostra adesione a Lui.

È in questa relazione che è possibile, ancora oggi, dire con slancio il nostro”eccomi” a Cristo che ci ha scelti e ci chiede di rimanere uniti a lui “per sempre”, senza riserve, senza rimpianti, per amore.

Eusebiu e Alessio

 

In quale parrocchia presterete servizio?

Eusebiu: Presto il servizio pastorale nella comunità parrocchiale di San Francesco d’Assisi in Bonistallo (Poggio a Caiano). Precedentemente ho prestato servizio presso la parrocchia di San Marcello in San Marcello Pistoiese e alla parrocchia dell’Immacolata a Pistoia.

Alessio: a Quarrata presso la parrocchia di Santa Maria Assunta, dove presto servizio già da un anno.




Tre nuovi diaconi per la Chiesa pistoiese

Pubblichiamo di seguito la notificazione del vescovo Tardelli relativa alla prossima ordinazione diaconale che sarà celebrata domenica 13 gennaio alle ore 18 presso la Cattedrale di San Zeno a Pistoia.

 

Carissimi diocesani,

è con vera gioia che vi annuncio la prossima ordinazione diaconale di Alessio Bartolini, Eusebio Farcas, alunni del nostro seminario e di fratel Antonio Benedetto della Fraternità apostolica di Gerusalemme.
L’Ordinazione avverrà in Cattedrale, domenica 13 gennaio, solennità del Battesimo del Signore, alle ore 18.

È una festa per tutta la chiesa diocesana di cui dobbiamo esser grati al Signore. È una sua benedizione infatti poter annoverare tra i ministri della chiesa questi tre nostri fratelli che, a Dio piacendo, sono avviati al Ministero presbiterale.

Il 13 gennaio è anche la data di ripresa del percorso diocesano al diaconato permanente, dopo qualche anno di interruzione e di ripensamento. Il ministero del diaconato, segnato costitutivamente dalla dimensione del servizio a Dio, al popolo di Dio e in special modo ai poveri, è un bene prezioso che dobbiamo saper apprezzare e valorizzare. A partire da tutti coloro che già da tempo svolgono questo ministero nella chiesa pistoiese e ai quali dobbiamo esser grati.

Preghiamo allora per coloro che domenica 13 prossima saranno ordinati diaconi, come per coloro che oggi esercitano il ministero del diaconato permanente nella nostra diocesi e per coloro che il Signore chiamerà ad esercitarlo in futuro.

Pistoia, 2 gennaio 2019

+Fausto Tardelli




Gruppi di ascolto: piccole luci domestiche che illuminano il cammino

Per “una comunità fraterna e missionaria”

Un percorso nelle parrocchie della nostra diocesi attraverso le indicazioni operative e gli spunti di riflessione della lettera pastorale del vescovo Tardelli “una comunità fraterna e missionaria”. In questo primo contributo una riflessione sui gruppi di ascolto del Vangelo. «Sempre in prospettiva comunitaria, – si legge nella lettera pastorale del vescovo – suggerisco di riprendere in considerazione quanto ho già avuto modo di indicare altre volte: vedere se si riesce a trasformare i “gruppi di Vangelo” – ottima iniziativa promossa dal compianto Vescovo Mansueto, da incrementare e diffondere sempre di più dovunque e con coraggio – in veri e propri “Cenacoli di fraternità”. Dove oltre alla parola di Dio, si condivide la vita e si sperimenta la fraternità e la missione».

L’esperienza nella parrocchia di San Benedetto

Sono passati tre anni da quando don Timoteo Bushishi, parroco di san Benedetto a Pistoia, mi ha invitato a condurre un gruppo di ascolto del Vangelo presso una famiglia della parrocchia. Ho accettato l’incarico di vivere questa esperienza con grande entusiasmo, pur consapevole dei miei limiti. Non sono un teologo e neppure un diacono, ciò nonostante mi sento a pieno titolo partecipe di questa nostra Chiesa come uno dei tanti tralci che desiderano portare frutto, nonostante le mie carenze e i miei peccati. Ho sentito urgentemente il bisogno di prepararmi spiritualmente e documentarmi sui singoli argomenti di ogni incontro; mi sono davvero appassionato ed ho scoperto in me una voglia matta di conoscere di più e meglio la Parola di Dio ed anche brani che già avevo ascoltato e letto si sono manifestati nuovi e ricchi di contenuti, al punto di fare riflessioni significative in ordine alla mia fede.

Il primo anno del triennio pastorale dal titolo “Sulle ali dello Spirito”, abbiamo trattato l’argomento del “Padre”; il secondo anno è stato dedicato ai “poveri”; l’argomento che la Diocesi c’invita a scoprire nell’anno in corso: “La comunità fraterna e missionaria”, è per noi molto opportuno e propizio nel nostro cammino ad oggi compiuto. I nostri incontri si svolgono con cadenza bisettimanale e ad oggi abbiamo fatto cinque incontri. Lo spirito di comunione è cresciuto in maniera significativa in questi anni. Le barriere che i primi tempi tra noi erano un po’ presenti, i pregiudizi, le paure, sono debellate dalla forza dello Spirito Santo che ci illumina e ci guida, visto che con ardore e fiducia lo invochiamo ogni volta. È nata in questo gruppo di dieci persone una grande confidenzialità, non per meriti nostri, ma dello Spirito. C’è tanta voglia di stare insieme, di condividere la Parola, il desiderio di incontrarsi di nuovo, in una sete comune di crescere e di conoscere che non viene mai meno. Incontrarsi non è solo un assunzione di responsabilità, ma una necessità per tutti noi che va appagata. Attingere alla Parola ci ristora e c’infonde cose belle nel cuore. Ci sono ancora sette incontri da sviluppare: questa prospettiva ci rende tutti felici, li vediamo come un dono: l’incontrarsi ed incontrare Dio ci riempie il cuore.

L’esperienza dell’anno passato rende l’idea di quello che affermo, quando terminati gli otto incontri previsti è sorto spontaneo il desiderio di tutti di andare oltre, di continuare. L’augurio che mi faccio, e dono alla nostra Chiesa è che queste piccole cellule di uno stesso corpo, si moltiplichino e si rafforzino, per dar grazia al Signore, che governi la Chiesa ed illumini il mondo che brancola nel buio.

Enzo Romboli

 




Bonaventura Bonaccorsi, chi era costui?

Breve profilo di un beato pistoiese a cura di Maria Valbonesi

A cura di Daniela Raspollini

Nella sua lettera pastorale “l’anno della comunità fraterna e missionaria” il vescovo Tardelli invita la diocesi a «riscoprire, ricordare e celebrare adeguatamente i santi del “Proprio diocesano”, portando a conoscenza della comunità la loro testimonianza evangelica». Venerdì 14 la chiesa pistoiese ricorda il Beato Bonaventura Bonaccorsi, una figura ignota a molti pistoiesi che merita invece di essere conosciuta e approfondita. Ci ha aiuta a farlo Maria Valbonesi, con un breve, ma significativo profilo biografico.

Il Beato Bonaventura Bonaccorsi

Fra tutti i santi e beati della Chiesa pistoiese Buonaventura Bonaccorsi è quello che dispone della più ampia rappresentazione iconografica: una sequenza di ben venti lunette affrescate da pittori diversi con la storia della sua vita nel chiostro della Santissima Annunziata. La prima lunetta ce lo mostra in atteggiamento autoritario e marziale, in mezzo al tumulto della guerra civile che insanguina le vie di Pistoia. Infatti Buonaventura apparteneva a un’antica e ricca famiglia ghibellina e ben presto cominciò a distinguersi negli scontri fra le fazioni, fino a diventare «capo e gran fomentatore» di quella ghibellina, anzi, secondo un contemporaneo, particolarmente crudele e sanguinario, «peggiore di tutti gli altri». Ma nel maggio del 1276, dopo aver sentito predicare fra Filippo Benizzi, il Generale dell’ordine dei servi di Maria Annunziata che da poco si era stabilito anche a Pistoia, improvvisamente Buonaventura decise di cambiare vita.

La conversione, specialmente se improvvisa, è sempre un mistero perché comporta l’intervento della Grazia divina; e tanto più in questo caso, perché della predica di fra Filippo sappiamo soltanto che cercava di placare l’ira delle fazioni e di quello che sia avvenuto nell’animo di Buonaventura non sappiamo nulla. Certo è che fra Filippo gli permise di seguirlo e di vestire l’abito dei Servi solo a condizione che prima chiedesse pubblicamente perdono ai suoi nemici. Come si può vedere nelle seguenti lunette di Cecco Bravo: «ritrovati ad uno ad uno singolarmente tutti i suoi nemici in qual si voglia luogo, in casa o in piazza, o soli o accompagnati che gli trovassi, con una humiltà indicibile e con un fonte di lacrime che gli piovevano dagli occhi, a tutti chiese perdono».

Da quel momento, dopo un anno di duro noviziato nel convento di Monte Senario, per quasi quarant’anni fra Buonaventura Bonaccorsi fu al servizio del suo Ordine, come predicatore e come priore dei conventi di Orvieto, Montepulciano, Bologna, poi di nuovo Montepulciano, nel 1307 Pistoia, dove costituì la compagnia delle sorelle dell’Addolorata, e infine ancora una volta Orvieto, dove morì nel 1315. Ma soprattutto fu in continua missione di pace, quella pace a cui fra Filippo Benizzi l’aveva convertito, persuadendolo che non c’è bene maggiore che si possa fare agli uomini su questa terra.

E forse proprio la vittoria della pace sulla guerra vollero significare i frati dell’Annunziata quando nel corso del XVII secolo fecero decorare da quattro valenti pittori (Cecco Bravo, Giovanni Martinelli, Alessio Gimignani e il Leoncini) ben venti lunette del loro chiostro con le storie del beato Buonaventura Bonaccorsi – beato fin da vivo, secondo la voce popolare- ma ufficialmente per la Chiesa solo dal 1822.

Maria Valbonesi




Lutto nella Chiesa Pistoiese: è morto don Fernando Grazzini

Ieri 19 novembre si è spento all’età di 91 anni don Fernando Grazzini.

Don Fernando Grazzini, nato il 16 luglio 1927 a Casalguidi, è stato storico parroco della Parrocchia di Sant’Andrea a Pistoia.

Ordinato sacerdote nel 1950 don Fernando è stato cappellano presso la Parrocchia della Vergine fino al 1952, quindi parroco a Piazza fino al 1969. Don Fernando ha poi insegnato per diversi anni nel Seminario Diocesano, prestando servizio anche come assistente diocesano dalla Gioventù femminile di Azione Cattolica. Dal 1967 ha svolto il suo ministero presso la parrocchia di Sant’Andrea, dove è rimasto in carica fino al 2015. Canonico dal 1963, dal 1986 fino al 2015 è stato anche amministratore parrocchiale della parrocchia di San Filippo e assistente AGESCI del Pistoia 1. Per quasi quarant’anni è stato presbitero della comunità neocatecumenale.

Negli ultimi anni don Fernando è stato pesantemente segnato da una vecchiaia che gli ha tolto lucidità e lo ha sempre più fiaccato nel fisico. Ha abitato fino agli ultimi giorni nella canonica di Sant’Andrea, dove ha trascorso gran parte della sua esistenza, nella parrocchia che tanto lo ha apprezzato e tanto ha ricevuto dal suo servizio umile e fedele. Don Fernando è stato, tra l’altro, un uomo di grande carità: una carità silenziosa, fatta di ascolto paziente e personale che lo spingeva ad accogliere col sorriso quanti bussavano alla sua porta.

Don Grazzini sarà esposto al saluto di fedeli e amici nella chiesa di Sant’Andrea a partire dal pomeriggio di oggi, 20 novembre. Le esequie, presiedute da Mons. vescovo Fausto Tardelli, saranno celebrate domani, mercoledì 21 novembre alle ore 15 sempre nell’antica pieve di Sant’Andrea.

redazione




Accanto ai poveri in un mondo ferito. La missione delle Francescane dei Poveri

Domenica 18 novembre si celebra la seconda Giornata Mondiale dei Poveri istituita da Papa Francesco. Nella nostra città l’attenzione verso chi è più fragile e bisognoso è la missione quotidiana delle suore Francescane dei Poveri. Una presenza discreta ma operosa che in occasione di questa Giornata offre la propria riflessione e testimonianza.

Quante situazioni di sofferenza ed emarginazione avete incontrato in questi anni a servizio dei poveri fino ad oggi? Quali sono i vostri ambiti di evangelizzazione e servizio?

Per noi Suore Francescane dei Poveri il 2018 è un anno importante perché celebriamo i 20 anni della nostra presenza a Pistoia. Sono tante le situazioni di sofferenza ed emarginazione che in questo lungo periodo abbiamo incontrato, e varie le realtà in cui ci siamo sentite chiamate a lavorare: il servizio in Caritas diocesana, l’accoglienza di donne vittime di sfruttamento sessuale, l’accoglienza di mamme con bambini con problemi di dipendenze, la pastorale nei campi rom e sinti, la pastorale con gli anziani soli ed ammalati, la pastorale famigliare e il servizio di consulenza a favore di coppie in difficoltà, l’insegnamento e il sostegno nelle scuole materne a favore di bambini con disagio, la pastorale carceraria e la pastorale giovanile per giovani e adolescenti alla ricerca di senso e riferimenti.

Come nasce il vostro carisma?

Il carisma delle Suore Francescane dei Poveri è quello di sanare le piaghe di Cristo Crocifisso specialmente nei poveri e nei bisognosi, attraverso l’amore e il servizio. La nostra famiglia religiosa nasce in Germania nel 1845 ad opera della Beata Francesca Schervier, la quale dedicò tutta la sua vita al servizio tra i poveri ed i malati. La nostra missione è ancora oggi quella di testimoniare l’amore di Dio attraverso la cura di ogni singolo individuo, specialmente i poveri ed i sofferenti, facendoci strumento di compassione e speranza all’interno del nostro mondo ferito.

Come si concretizza in diocesi la vostra missione incentrata sull’insegnamento della vostra fondatrice, la scelta radicale dei poveri?

Attualmente il nostro servizio in Diocesi di Pistoia si svolge presso due strutture, una per l’accoglienza di donne vittime di sfruttamento sessuale e con altri disagi, l’altra per l’accoglienza di mamme e bambini per donne che hanno avuto problemi di dipendenze. Ed inoltre siamo impegnate nella pastorale con i rom e i sinti, nella pastorale famigliare ed in quella giovanile, e nella visita a persone anziane ed ammalate della parrocchia di San Benedetto.

Il desiderio che da sempre ha animato la nostra fondatrice Francesca Schervier e che ancora oggi ci guida è quello di riconoscere la presenza di Gesù in ogni fratello e sorella che incontriamo. Sono loro, le persone speciali che Dio continua ad affidarci per condividere la loro vita, e attraverso percorsi a volte molto difficili ritrovare fiducia in sé stessi, recuperare stima e dignità, vivere un fallimento, una malattia, i sogni infranti, le aspettative deluse, la mancanza di speranza nel futuro a causa dei problemi economici. Provare ad essere voce di chi non ha voce, in una società in cui vince chi urla più forte o solo chi ha successo, perché ciascuno possa mostrarsi per ciò che veramente è, al di là dei pregiudizi e di ciò che dai mass media e dai social network viene sbandierato. Provare a farlo perché, anche i più poveri, hanno dei nomi, dei volti e delle storie, perché crediamo nella possibilità, al di là delle nostre differenze di essere fratelli e sorelle.

San Francesco e santa Chiara oggi sono ancora due figure capaci di attrarre l’attenzione dei giovani?

«Il carisma di Chiara e Francesco, parla anche alla nostra generazione, e ha un fascino soprattutto per i giovani» (Benedetto XVI, in occasione alla XXVII Giornata Mondiale della Gioventù)
I motivi per cui questi due santi possono attrarre ancora oggi i giovani crediamo siano vari. Ne citiamo due a noi molto cari: l’amore per l’autenticità e per le relazioni fraterne.
Chiara e Francesco erano giovani quando hanno iniziato a dare ascolto e voce a quello che desideravano veramente. Hanno trovato tra la confusione e il materialismo del tempo Qualcuno di credibile da seguire, un Dio incarnato nei lebbrosi, nei fratelli e nelle sorelle, fragile e libero…. Un Dio “inaspettatamente” vicino. Hanno saputo inseguire i loro sogni osando, rischiando di perdere affetti, sicurezze per essere davvero se stessi. Hanno imparato che il fratello e la sorella che Dio mette loro accanto sono il bene più prezioso che potessero avere. A volte scomodo, ma a volte un aiuto per imparare a farsi dono.
Crediamo che i giovani siano assetati di relazioni autentiche in cui scoprirsi amati così come sono senza la necessità di maschere o compromessi che soffocano i desideri più veri.

Qual è l’aspetto che più vi colpisce nel messaggio del Papa sulla Giornata Mondiale dei poveri?

Nel messaggio per la giornata mondiale dei poveri il Papa sottolinea l’intervento di Dio a favore dei poveri come un atto di cura che non solo risolleva dalla povertà ma restituisce dignità. Questo chinarsi di Dio verso l’uomo, curando in qualche modo le ferite della povertà e aiutando il povero a rialzarsi ci piace perché è un passaggio molto vicino al nostro carisma e alla nostra missione. Esso rappresenta lo sforzo quotidiano di chiunque nella Chiesa voglia impegnarsi a favore dei poveri, nell’ascoltare il loro grido e rispondere con un farsi “presenza” amorosa.
«La salvezza di Dio al povero è sempre un intervento di salvezza per curare le ferite dell’anima e del corpo, per restituire giustizia e per aiutare a riprendere la vita con dignità».

I poveri sono i primi abilitati a riconoscere la presenza di Dio e a dare testimonianza della sua vicinanza nella loro vita. In questa giornata si può cogliere anche un messaggio di speranza?

Certamente sì. Il messaggio del Papa ed il Salmo 34, da cui è tratto il titolo del messaggio per quest’anno («Questo povero grida ed il Signore lo ascolta») contiene in sé un chiaro messaggio di Speranza. Il salmista fa esperienza in prima persona di povertà, sa trasformarla però in un canto di lode e di ringraziamento al Signore perché spera con certezza e sperimenta sulla propria pelle che il suo grido è ascoltato dal Signore. Il Signore poi non si limita all’ascolto ma risponde a questo grido con la sua azione liberante, che è azione di guarigione. Il povero grida a Dio nella speranza di essere ascoltato ma anche con la certezza di essere liberato. La sua speranza è fondata sull’amore di Dio che non abbandona chi si affida a lui.

Daniela Raspollini




Nasce a Pistoia l’Emporio della Solidarietà

Un’opera segno rivolta alla famiglia in difficoltà interamente finanziata dalla Fondazione Caript, in sinergia con Caritas Diocesana e Misericordia di Pistoia.

Un nuovo progetto di solidarietà, un’opera segno che prende vita a margine della “seconda giornata internazionale del povero” sabato 17 novembre: sarà il nuovo “Emporio della Solidarietà” con sede nella zona industriale di Sant’Agostino, nato da una sinergia di forze con in testa la Fondazione Caript, che ha finanziato l’intero progetto, la Fondazione S. Atto della Diocesi di Pistoia, la Caritas Diocesana di Pistoia e la Misericordia di Pistoia.

Si tratta di un vero e proprio market alimentare rivolto alle famiglie e persone che vivono in un temporaneo stato di difficoltà economica, che potranno ricevere gratuitamente i beni grazie ad una card punti.

«Questo nuovo servizio, che di fatto supera l’esperienza del “pacco alimentare”, garantirà una maggiore flessibilità ed efficienza nel sostegno alimentare di chi è in difficoltà – ha affermato Marcello Suppressa – direttore della Caritas di Pistoia -. Per questo progetto sarà importante la collaborazione con i Servizi Sociali, la rete delle Parrocchie e la stretta sinergia con le realtà Commerciali del nostro territorio per il recupero dei beni e eventuali donazioni, in un’ottica di recupero, lotta allo spreco e nuovi stili di vita».

«Una sfida vinta grazie alle sinergie che offre il nostro territorio» continua Sergio Fedi presidente della Misericordia di Pistoia. «Un territorio generoso fatto di persone, associazioni e aziende che con grande senso di responsabilità sociale sa realizzare progetti e risposte adeguate alle esigenze delle persone e soprattutto verso che si trova in difficoltà. Dopo il microcredito, il fondo solidarietà e salute l’emporio è l’ultima risposta in ordine di tempo».

Le persone che accederanno al servizio saranno inserite in questo progetto dai centri d’ascolto Caritas, che valuteranno le necessità e progetteranno percorsi personalizzati di accompagnamento. Il progetto prevede che l’emporio sia un vero e proprio centro aperto alla città per la sensibilizzazione a stili di vita coerenti col messaggio evangelico. All’interno delle sale avranno luogo corsi di formazione specifici alla gestione dell’economia familiare, orientamento al lavoro e laboratori alimentari, con la collaborazione di varie associazioni e volontari vicini alla Caritas.

Il nuovo emporio della solidarietà si trova in zona Sant’Agostino, in via Galileo Ferraris 7. L’inaugurazione avrà luogo sabato 17 novembre alle ore 10.30. Dopo il saluto dei promotori il vescovo Mons. Fausto Tardelli porterà la sua benedizione dei locali.




Una novità dalla storia secolare: la festa del Seminario diocesano

Sabato 10 novembre la comunità del Seminario ha celebrato insieme a numerosi sacerdoti della Diocesi un momento di fraternità e condivisione.

Sabato 10 novembre, nella memoria liturgica di San Leone Magno, il Seminario diocesano ha celebrato la sua festa. Una festa che non c’era, ma che si riannoda alla storia ormai plurisecolare di questa istituzione. Il riferimento a San Leone Magno si spiega, molto prosaicamente, con il nome del vescovo che diede vita al seminario.

I seminari così come li conosciamo o immaginiamo, fatti di grandi strutture con alunni in talare, disciplinati e separati dalla vita del secolo, più o meno attentamente e rigidamente formati nelle discipline teologiche e nella retta devozione, sono un’invenzione del Concilio di Trento. Per l’esattezza nel canone XVIII della ventitresima sessione del Concilio (15 luglio 1563), dove si segna il passaggio dalle antiche scuole cattedrali e dalla pluriforme e discontinua offerta formativa precedente ad una struttura più direttamente controllata dai vescovi. L’applicazione del decreto, tuttavia, chiederà parecchio tempo per essere universalmente applicata; anche a Pistoia, infatti, occorrerà attendere più di un secolo, fino al 1693, prima di arrivare all’istituzione del Seminario. Il merito spetta al vescovo Leone Strozzi, un monaco vallombrosano che resse la diocesi per circa un decennio (1690-1700) e che fu poi nominato arcivescovo di Firenze (1700-1703). Di lui, per chi volesse rendere omaggio, resta un bel monumento funebre in Cattedrale, collocato subito prima della porta di accesso alla sagrestia.

In un primo momento il Seminario Leoniano trovò posto presso gli edifici annessi alla chiesa di San Vitale, ma fu presto trasferito (1703) in una sede più adeguata e monumentale, cioè nel palazzo presso la piazzetta dello Spirito Santo, oggi piazza S. Leone, che tutti conosciamo come sede della Provincia. La permanenza del Seminario, cui si deva il mutamento nella titolazione dell’attuale chiesa di San Leone, già sede della Congregazione dei preti dello Spirito Santo, non arrivò al termine del secolo, poiché l’episcopato di Scipione de’ Ricci portò novità decisive. Il vescovo de’ Ricci, entro un quadro generale di riforma della diocesi, organizzò il seminario al centro di un nuovo complesso di fabbriche che comprendeva il nuovo palazzo episcopale, la trasformazione e il collegamento dei monasteri di Santa Chiara e di San Benedetto. È il seminario che conosciamo ancora oggi, pur frammentato e internamento frazionato e riadattato. Nel corso degli anni le strutture del monastero olivetano di San Benedetto furono riservate per il seminario minore, mentre il nuovo corpo di fabbrica che recuperava parzialmente il monastero delle clarisse di Santa Chiara ospitava il seminario maggiore. Una ripartizione mantenuta fino agli anni settanta del Novecento, quando per la diffusione della scuola pubblica e il mutato clima culturale del postconcilio, fu chiuso il seminario minore. Negli anni sessanta fu ammodernato l’interno con la ristrutturazione degli ambienti, nuovi bagni, un impianto di riscaldamento e la costruzione di una nuova ala destinata ai professori dello studio teologico interno che oggi ospita i sacerdoti anziani.

I seminaristi hanno lasciato il Seminario costruito dal Ricci soltanto in anni recenti, dal 1992 al 2002, quando furono ospitati a Lucciano, presso Quarrata, nelle vecchie scuole delle suore minime. Per scarsità di alunni i seminaristi furono poi trasferiti presso il Seminario interdiocesano di Firenze. Il Seminario è tornato in diocesi per un breve periodo tra 2015 e 2017, ospitato nella canonica della parrocchia di Santa Maria Assunta a Quarrata. Dall’ottobre 2017 i seminaristi hanno fatto ritorno a Firenze, ma sono presenti in Diocesi presso il Seminario vescovile di via Puccini dal pomeriggio del venerdì fino al pomeriggio della domenica per incontri di formazione, preghiera e condivisione.

Nel Seminario Interdiocesano di Firenze – segno di un evidente e generalizzato calo delle vocazioni – sono accolti anche seminaristi di molte altre diocesi toscane: Firenze, San Miniato, Siena, Grossetto, Montepulciano-Chiusi-Pienza, Pitigliano-Sovana-Orbetello. Attualmente la comunità del Seminario di Pistoia ha sei alunni.

La festa del Seminario diocesano ha inteso proporre un momento di fraternità presbiterale e di conoscenza degli alunni in linea con quanto suggerisce anche la ratio fundamentalis “il dono della vocazione presbiterale” (2016) che è il testo guida per tutta la Chiesa circa la formazione dei futuri sacerdoti; in particolare là dove si dice che: «il clero della Chiesa particolare sia in comunione e in sintonia profonda con il vescovo diocesano, condividendone la sollecitudine per la formazione dei candidati, attraverso la preghiera, l’affetto sincero, il sostegno e le visite al Seminario. Ogni presbitero deve essere consapevole della propria responsabilità formativa nei riguardi dei seminaristi» (n. 129). La festa è stata anche l’occasione di vivere un momento di condivisione con i sacerdoti più anziani che abitano in seminario.

Oggi il seminario di Pistoia continua a testimoniare, entro la discontinuità tipica degli ultimi decenni, una certa vivacità vocazionale. Il Signore non si stanca di chiamare operai nella sua messe. Forse è cambiata l’età media dei seminaristi, non più giovanissimi al momento del loro ingresso; forse i percorsi vocazionali non si innestano tutti in parrocchia o nell’Azione Cattolica; certamente le fragilità e la mentalità dei seminaristi di oggi sono quelle proprie dei giovani di oggi, eppure il Signore non si stanca di chiamare. Anzi, oggi più ieri forse, i giovani avvertono l’esigenza di risposte grandi, assolute – perfino radicali -, che diano sostanza alla propria identità, di proposte davvero spirituali, attrattive perché alternative alla mondanità. La festa del seminario è un segno incoraggiante della vivacità della Chiesa, pur nel lungo e talora drammatico corso della sua storia.

Il Rettore




La Beata Maria Margherita Caiani: un viaggio sulle “ali dello Spirito”

Sabato 3 novembre la Diocesi celebra la memoria liturgica della Beata Maria Margherita Caiani

Per la festa di Madre Caiani sarà aperta tutto il giorno la cappella di fondazione dell’Istituto delle Minime di Poggio a Caiano. Alle ore 17 si terrà la preghiera dei vespri, quindi alle 17.30 la celebrazione eucaristica presieduta da Padre Michele Pini, parroco di Chiusi della Verna, nella chiesa parrocchiale di Poggio a Caiano.

Dobbiamo ringraziare il nostro vescovo Fausto per la felice intuizione che troviamo leggendo le indicazioni operative e attuative della sua lettera pastorale, dove, fra le varie cose, sottolinea l’esigenza di “riscoprire, ricordare e celebrare” nel nostro cammino comunitario la presenza dei Santi diocesani: uomini e donne che nella loro vita hanno davvero volato con le Ali dello Spirito parafrasando, appunto, l’immagine coniata dal vescovo Fausto e che è stata il filo rosso che ha caratterizzato la riflessione di questo triennio. Papa Francesco, al paragrafo 34 di «Gaudete et exsultate», con la sua splendida capacità di sintesi, spiega così la santità: «non avere paura di puntare più in alto, di lasciarti amare e liberare da Dio. Non avere paura di lasciarti guidare dallo Spirito Santo. La santità non ti rende meno umano, perché è l’incontro della tua debolezza con la forza della grazia».Veramente è tutto qui! Santo è colui che è cosciente della propria fragilità e della propria pochezza e nello stesso tempo è colui che proprio per questo ha la capacità di vedere ed accogliere indegnamente la grazia di Dio: da questa unione lo Spirito crea cattedrali umane enormi.
Questa definizione di papa Francesco, questa vivace pennellata, rappresenta più di tanti discorsi il ritratto della Beata Maria Margherita Caiani (1863-1921), fondatrice delle Suore Francescane Minime del Sacro Cuore e beatificata il 23 aprile del 1989 da San Giovanni Paolo II.

Margherita Caiani, al secolo Marianna, nata il 2 novembre del 1863 a Poggio a Caiano, viene battezzata il giorno dopo a Bonistallo. Rimasta orfana molto giovane, avendo nel suo cuore il desiderio di consacrarsi totalmente a Dio inizia a domandarsi insistentemente cosa il Signore volesse da lei, quale la strada da seguire per servirlo. Intanto insieme ad altre ragazze inizia un apostolato fra le vie e le case del paese assistendone i malati e i sofferenti e fondando una piccola scuola itinerante per i bambini. La contemplazione del Sacro Cuore di Gesù, sarà sempre il caposaldo del suo agire: quel Cuore sofferente che lei rivedeva e serviva nei volti della gente del suo paese con quell’umiltà che la portava a dire: «debbo essere morta pur vivendo: morta a me stessa, viva per aiutare gli altri a vivere».
Il suo sarà un cammino di discernimento molto lungo seguito da alti e bassi, sarà un continuo interpretare, aiutata da una solida rete di amicizie, il volere di Dio su di lei, fino ad arrivare al 15 dicembre 1902, anno della vestizione religiosa insieme alle prime compagne e di fondazione dell’Istituto delle Minime Suore del Sacro Cuore. Nel 1910 viene fondata la prima casa filiale a Lastra a Signa e da lì seguiranno numerose altre fondazioni, con il carisma delle Minime che si diffondeva anche fuori dalla Toscana fino a Milano.

Ma importante è capire il carisma di Madre Caiani, e lo possiamo ascoltare direttamente dalle sue parole, parole semplici, quasi un programma per applicare il Vangelo nella quotidianità:

«Io giungo tra gli uomini della terra ma prima devo ascendere al cielo e passando per Iddio, Somma carità, devo avere gli uomini. La corrente del mio amore per gli uomini, miei fratelli, passa solo attraverso il cuore di Dio, per avere gli uomini io devo avere prima di tutto Iddio».

In Madre Caiani vediamo davvero ciò di cui c’è bisogno come non mai nella Chiesa di oggi e nelle nostre comunità: quell’equilibrio fondamentale e maturo fra preghiera e azione, fra il Cristo servito e amato nella carne dei più piccoli e il Cristo contemplato nella preghiera, e per lei in particolare nell’adorazione eucaristica. La corrente verso gli altri, lei dice, è possibile solo partendo dal Cuore di Dio, solo guardando un Cuore ricco di Misericordia, siamo capaci di donare Misericordia. Spesso amiamo poco perché anche preghiamo poco, e quando amiamo poco ci troviamo tristi, avidi, nevrotici.
La Madre insegna che ogni azione deve sempre partire da quel Cuore, dalla contemplazione di quel Cuore: spesso nelle nostre comunità parrocchiali ci perdiamo nelle maglie del tecnicismo, saltiamo questo passaggio di amore e contemplazione che è il primo passo: è come costruire una casa partendo dal tetto e non dalle fondamenta. Quando si tratta di stare in preghiera davanti a Gesù, quando si tratta di trovare tempo per Lui siamo i campioni del “non ho tempo”, dobbiamo imparare a liberare del tempo per quello che è fondamentale, per la “parte migliore” come spiega Gesù a Marta, quella parte migliore che ci dà la forza e la spinta per essere ferventi nella carità.

La Madre ritorna alla casa del Padre l’8 agosto del 1921, gli ultimi anni di vita saranno logorati da un terribile male che la privava di ogni forza, ma nonostante tutto saranno anni di grande impegno per una Congregazione che sempre più aumentava di numero: alla sua morte lascia 13 case filiali e 124 religiose.

«Cosa può volere da me il Signore? Non sono che una povera venditrice di sigari».

È la domanda che spesso Marianna si faceva nella sua ricerca vocazionale, una domanda intrisa di quella consapevolezza di «debolezza», che sottolineava prima Papa Francesco; da una donna che cercava il meglio nella sua vita, che aveva capito che la libertà non è altro che affidarsi ed essere strumento di Dio è nata una comunità religiosa capace di dare un volto ed influenzare nella fede un paese intero. Dalla domanda di una semplice ragazza il Signore ha potuto costruire una piccola fraternità capace anche di essere missionaria, prima nel proprio paese e col tempo nel mondo intero.
La vicenda di Madre Caiani ci dice che per diventare “comunità fraterna e missionaria” dobbiamo iniziare a farci ognuno di noi, intimamente la domanda: «cosa può volere da me il Signore?». Quando insieme, nelle nostre interminabili riunioni, siamo capaci, ognuno di noi, nella verità e nella semplicità, di farci questa domanda scomoda nasce la comunità, la fraternità. «Cosa può volere da me il Signore?»; non c’è stato svincolo della vita in cui la Madre non se lo sia chiesto.

A chi chiedeva a Gesù quasi un “certificato di qualità” su quali fossero le vere opere di Dio, Gesù rispondeva: «dai loro frutti li riconoscerete» (Mt 7,20). Ancora oggi le Minime, e tanti laici insieme a loro, in Italia e nel mondo portano avanti le opere di Margherita Caiani, attualizzandole, rinnovandole in una sfida sempre nuova con la modernità e la sua brama di autosufficienza che continuamente rifiuta l’offerta di un Dio morto per amore.

Simone Panci