IL MAGGIO A VALDIBRANA

Tante iniziative per il mese di maggio a Valdibrana. Come ogni anno tanti i fedeli che personalmente, con le comunità parrocchiali, gruppi o associazioni, si recheranno in pellegrinaggio al Santuario della Madonna delle Grazie di Valdibrana.

Per tutto il mese di maggio, il mese mariano per eccellenza, l’orario delle messe subirà le seguenti variazioni:

Nei giorni feriali la messa è alle ore: 18.00

Domenica e Festivi: ore 7.00 – 8.30 – 11.00 – 16.30 – 18.00

Tutti i giovedì sera alle ore 21.00 il rosario animato dai cori parrocchiali.

Segnaliamo anche alcuni prossimi appuntamenti:

Domenica 6 maggio ore 16.30: messa dei migranti

Domenica 6 maggio ore 18.00: messa per il pellegrinaggio dell’Azione Cattolica di Pistoia. La santa messa sarà preceduta alle 17.00, nei locali della nuova aula liturgica, da un incontro di presentazione delle attività dell’associazione.

Martedì 8 maggio alle ore 11.00 santa messa presieduta dal vescovo Fausto Tardelli nel giorno della festa della Madonna di Valdibrana.




SE DIO È NEL SILENZIO

Dal 28 aprile al 1 maggio il ritiro spirituale a Bocca di Magra

Le Associazioni e le Aggregazioni laicali della diocesi di Pistoia tornano al Monastero della Santa Croce a Bocca di Magra per gli esercizi spirituali, sotto la guida del loro delegato Don Diego Pancaldo e del vescovo Monsignor Fausto Tardelli. Un appuntamento diventato tradizione, giunto orma alla sua dodicesima edizione.

Perché partecipare a un ritiro spirituale?

La risposta più banale è: per avere due o tre giorni per noi stessi, per staccare cellulari e smartphones. Ma è anche l’occasione per seguire una serie di catechesi che ci sproni a riflettere, a guardarci dentro, ad ascoltarci nel profondo; per cercare, circondati dal silenzio esteriore, quel silenzio interiore che ci può aiutare a recuperare, almeno in parte, noi stessi.

È l’occasione per vederci nelle nostre manchevolezze e cercare di capire noi stessi, il tempo propizio per accogliere un sostegno, ricevere una spinta che ci aiuti a superare le difficoltà e gli inciampi. Lo stimolo, qualora ce ne fosse bisogno, a raddrizzare, almeno in parte, il nostro percorso.

E poi vivere nel silenzio. Il ritiro spirituale offre il tempo di riflettere sui suggerimenti che Monsignor Tardelli ci proporrà con le sue riflessioni, di confrontarsi con i compagni di questa breve parentesi, accogliendo il positivo che senz’altro ci arriverà se faremo uso sapiente di questo dono che ci viene offerto.

«Il silenzio -ha ricordato Papa Francesco- non si riduce all’assenza di parole, bensì nel disporsi ad ascoltare altre voci: quella del nostro cuore e, soprattutto, la voce dello Spirito Santo».

Il ritiro si svolgerà da Domenica 29 Aprile ore 15.00 a Martedì 1 Maggio dopo pranzo.

La quota di partecipazione per persona con pensione completa è di € 130,00 (camera doppia). La Camera singola, solo se disponibile, prevede un supplemento di € 5 a notte.
Per informazioni si prega rivolgersi a Vania Pratesi (vania.pratesi@alice.it).

Scarica la scheda di iscrizione! (file .doc)

Vania Pratesi




LA STORIA DEL TEMPIO

Un volume a cura dell’architetto Simone Martini e della giovane studiosa Giulia Anabasi raccoglie la storia della Chiesa e della magione di San Giovanni Decollato

Sarà presentato venerdì 6 aprile un volume interamente dedicato alla Chiesa del Tempio, nota anche come di san Giovanni decollato. Il testo (Lo spedale, la chiesa e la magione di San Giovanni gerosolimitano, dal XI al XXI secolo, Gli Ori, Pistoia 2018), finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia,è curato dall’architetto Simone Martini e dalla giovane laureanda in storia dell’arte Giulia Anabasi. L’architetto Martini ha curato i lavori di restauro al complesso del Tempio, Giulia Anabasi (classe 1991) ha invece approfondito la storia di questo importante e antichissimo luogo di fede e carità.

La presentazione del volume avrà luogo alle ore 17.00 a Pistoia presso il Palazzo de’ Rossi (via de’ Rossi, 26). L’introduzione è affidata a Luca Iozzelli, Presidente della Fondazione Caript, seguirà la presentazione di Maria Cristina Masdea, funzionaria della Soprintendenza e l’intervento di Mons. Antonio Costantino Pietrocola, Cappellano conventuale ad honorem dell’Ordine di Malta. L’Ordine ha infatti amministrato e officiato per secoli la chiesa di San Giovanni Decollato. Saranno presente gli autori e il vescovo di Pistoia Monsignor Fausto Tardelli porterà i saluti ai presenti.

La riapertura al culto della chiesa di San Giovanni Decollato, dopo una campagna di restauro conclusa nel luglio 2017, è stato uno degli eventi più significativi di Pistoia Capitale della Cultura in Italia. L’intervento di recupero, promosso dalla Diocesi di Pistoia, è stato l’occasione per indagare un complesso architettonico sino a oggi poco conosciuto. Si trattava, in origine, di uno degli spedali più antichi della città, fondato dalla famiglia dei conti Guidi nel XI secolo, su un punto nevralgico: a ridosso della seconda cinta muraria e presso importanti assi viari come la Via Regis.

Dopo vari passaggi di proprietà il complesso entra tra i beni dell’Ordine dei Cavalieri Spedalieri di Gerusalemme, dal 1530 Cavalieri di Malta, sotto il Priorato del San Sepolcro di Pisa. Dal 1600, il complesso, inizia ad accrescersi e modificarsi, soprattutto nella sua veste artistica, di cui oggi ammiriamo l’aspetto creato dalla grande campagna di riallestimento eseguita tra il 1711 e il 1726, voluta dal Gran Priore Fra’ Tommaso del Bene.

Il Tempio ha mantenuto nei secoli la sua originale vocazione di accoglienza, grazie anche alle attività dell’associazione del Patronato del Tempio e, oggi, della Caritas. Grazie al restauro e a questa pubblicazione si vuol restituire un pezzo di storia importante alla città di Pistoia, una storia per troppo tempo celata.

A seguito della pubblicazione del volume saranno organizzate anche delle visite guidate al complesso del Tempio.

La partecipazione è gratuita e prevede una durata di circa 2 ore. Le visite, a cura di Giulia Anabasi e l’associazione Mirabilia, inizieranno alle 10.30 con ritrovo in Via San Pietro nn. 32-36 nei seguenti giorni: Sabato 7 aprile; Sabato 14 aprile; Sabato 21 aprile; Sabato 28 aprile; Sabato 5 maggio.

Per prenotazioni: 338 3133212 (Massimo 30 persone fino a esaurimento posti)




SE LA RESURREZIONE RESTA INDIGESTA: OMELIA DEL GIORNO DI PASQUA

Se la resurrezione resta indigesta non è colpa del pranzo, né della merenda fuori porta del giorno di Pasquetta. Neppure è colpa del tempo che non è più quello di una volta.
Forse è colpa dei tempi? Conseguenza inevitabile dell’età secolare o preludio di una nuova stagione culturale, in cui le antiche domande dell’uomo chiedono modalità inedite di annuncio?

«È stato detto, con uno slogan che rende però l’idea – ha esordito Mons. Tardelli nella sua omelia per il giorno di Pasqua – che non siamo semplicemente in una epoca di cambiamenti, bensì in un cambiamento d’epoca. Si prospettano nuovi scenari super tecnologici, sul piano economico, sociale, politico, persino umano (…) Opportunità future e antichi fantasmi danzano insieme nello scenario dei giorni presenti».
Un presente talmente spinto nel futuro da volersi aggrappare a tutti i costi al passato. Eppure è oggi che la Chiesa rinnova l’annuncio pasquale: «in questo mondo cambiato e mutevole, ha ancora senso la nostra fede nel Signore Risorto? Ciò che noi crediamo, ha ancora da dire qualcosa a questo mondo?».

Un film commedia di questi giorni ha pensato pure di giocare con la religione, fondandone una tutta nuova: lo ionismo: «una religione – ha affermato il regista – con elementi liberatori, molto comoda e contemporanea. Mette lo specchio e te stesso al centro, in un’epoca in cui i selfie sono il modo di manifestare la propria esistenza e ci si sente poeti scrivendo un post su facebook. (…) una commedia sulla religione, in un momento storico in cui è un tema quasi tragico».

Di fronte a questo scenario, si domandava il vescovo Tardelli: «Che cosa può voler dire per l’uomo di oggi, la Pasqua, la morte e la risurrezione di Cristo? La domanda è seria e la risposta non può essere banale, quasi a dimostrare come ovvia la fede nel risorto».
La fede chiama l’uomo a uscire dalla propria autoreferenzialità per aprirsi ad un Altro. Che pure non si vede, né si tocca. Ma che è veramente risorto. Sì, la fede non è ovvia: «Gesù non volle rivelarsi a tutto il mondo come risorto; volle invece affidare la sua risurrezione alla fede; alla fede dei suoi discepoli che “videro” ma dovettero “credere” anch’essi; credere cioè che non era un fantasma Colui che avevano incontrato; che non era un sogno, una loro fantasia, una proiezione del loro desiderio».
Anche a noi oggi, il Signore chiede di compiere questo passaggio: «La fede resta qualcosa di “scandaloso” per il mondo, di “ostico” alla mente nostra e alla nostra esperienza umana. Rimane un “salto”, un affidarsi, un confidare nella testimonianza degli apostoli e di chi, prima di noi, ha “creduto”. Un “salto” nel buio, per certi versi».

Anche il documento preparatorio del sinodo dei Giovani, elaborato qualche giorno fa nell’incontro presinodale tra centinaia di giovani e il papa sottolinea la difficoltà di riferirsi, pur in un contesto “aperto alla spiritualità”, al discorso della fede: «sebbene i giovani riescano ad interrogarsi sul senso dell’esistenza, questo non sempre implica che siano pronti a dedicarsi in maniera decisiva a Gesù e alla Chiesa. Oggi la religione non è più vista come il mezzo principale attraverso il quale un giovane si incammina verso la ricerca di senso» (n. 5).

La fede della Chiesa, dunque, professata solennemente il giorno di Pasqua «è certamente una sfida per noi uomini di oggi, giovani e adulti; una sfida per il mondo».
Ma allo stesso tempo è «un proclamare al mondo che tutti gli sforzi per salvare se stessi e l’uomo in genere, per salvare il pianeta, per una convivenza tra i popoli; tutti gli sforzi per vincere la cattiveria e l’odio; tutto l’impegno per la giustizia e per dare dignità alla vita dell’uomo; tutto il nostro gran da fare per vincere la morte e goderci la vita; ecco tutto questo è destinato al fallimento se non riconosciamo che Gesù è il Signore, l’unico che ha vinto la morte e nel quale solamente abita quell’amore puro che può trasformare il cuore dell’uomo e darci la gioia e la pace che il nostro cuore inquieto cerca».

La Pasqua riafferma il segno di contraddizione della proposta cristiana: «è qui il punto che renderà sempre un po’ “indigesta” la fede cristiana. E ogni tentativo di smussarne gli angoli, per renderla compatibile con le aspettative tutte terrene dell’uomo, riducendone la pretesa paradossale, addomesticandola per farla diventare un semplice supporto motivazionale all’impegno sociale; così come ogni sforzo per eliminare le esigenti conseguenze morali della fede che indicano all’uomo un cammino faticoso e controcorrente rispetto ai propri istinti e desideri; tutto questo non produce alcun effetto positivo sull’uomo, anzi, rende insignificante e vana la morte e la risurrezione di Cristo».
Parole forti, che suonano scomode. «Questa dunque – ha continuato Mons. Tardelli – è la nostra fede e non vogliamo far niente per renderla accettabile e toglierle il suo carattere paradossale, anche se riteniamo che risponda alle vere attese dell’uomo di ogni tempo».

È la stessa fede che fa prendere posizione di fronte al mondo e «ci fa dire che la cattiveria, il sopruso, l’ingiustizia, l’odio, la morte, non avranno il sopravvento perché Cristo è risorto; questa fede ci fa dire ancora che qualsiasi peccato, trasgressione alla legge santa di Dio, può essere sconfitto nella nostra vita, per la croce di Cristo; questa fede ci fa dire inoltre che è possibile già su questa terra vivere, seppur a costo della stessa vita, una vita nuova segnata dall’amore vero verso gli altri; una vita che allora fiorirà in pienezza oltre la morte, perché la morte è stata sconfitta per sempre».




GLI AUGURI DI PASQUA DEL VESCOVO: “LA FEDE È INCREDIBILE”




IL VESCOVO ALLA MESSA CRISMALE: UNITI ATTORNO ALLA MENSA DEL SIGNORE

Con la celebrazione della Santa Messa crismale il vescovo ha aperto solennemente i riti della settimana santa, che ci accompagneranno alla Santa Pasqua. Un momento centrale per la vita diocesana, perchè questa messa
vuole significare l’unità della Chiesa locale raccolta intorno al proprio vescovo, alla quale sono invitati tutti i presbiteri della diocesi i quali, dopo l’omelia del vescovo, rinnovano le promesse fatte nel giorno della loro ordinazione sacerdotale.

In questa messa inoltre il vescovo consacra gli olii santi: il crisma, l’olio dei catecumeni e l’olio degli infermi, che si useranno durante tutto il corso dell’anno liturgico per celebrare i sacramenti.

«L’olio degli infermi, l’olio dei catecumeni, il Crisma. Sono questi gli oli santi che stasera noi benediremo e consacreremo; e lo facciamo nel contesto della Eucaristia, cioè del memoriale della passione, morte e risurrezione del Signore, da cui scaturisce la salvezza, rendendo grazie a Dio per averci riuniti nel suo popolo santo, la Chiesa.

Una celebrazione ricca di segni, quella di stasera. Su due segni in particolare vorrei soffermarmi – afferma il vescovo –  quello della nostra unità attorno alla mensa del Signore e per l’appunto il segno degli oli santi.

Il primo segno è l’unità bella e molteplice di questa congregazione. L’essere qui insieme è una grande cosa ed è opera di Dio, miracolo suo. La Chiesa si presenta come “un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Tutti insieme formiamo l’unico popolo di Dio radunato in Cristo sotto la guida del Vescovo, quale successore degli apostoli, in comunione con Pietro, Papa Francesco, e quindi in comunione con tutti gli altri vescovi e chiese particolari diffuse nel mondo a formare l’unica Santa chiesa cattolica. E’ un segno importante di unità e di comunione, di fraternità e di amicizia; levato in alto nel cuore del mondo, spesso diviso e in guerra. Un segno della novità del Regno di Dio presente nella storia.

Ciò che il segno mostra, dev’essere però realtà nei fatti della vita. Il dono del Signore, deve trovare coerenza d’impegno e di scelte. Da esso scaturisce la necessità di accoglierci l’un l’altro con amore, nonostante le nostre diversità. Anzi, considerando le nostre differenze una ricchezza, sempre che si sappiano armonizzare attorno al servizio pastorale che è affidato al Vescovo. La nostra è infatti un’unità organica, un’unità ordinata, un’unità gerarchica. Non siamo un agglomerato di persone anarchico e indistinto, bensì un organismo vivente. Per cui, ogni volontà di fare per conto proprio, di camminare in autonomia, senza confrontarsi seriamente con gli altri e col Vescovo; ogni isolamento autoreferenziale; ogni personalismo, ogni insofferenza a lasciarsi correggere per il bene comune; come ogni tentativo di ritagliarsi spazi di indipendenza, disertando i momenti della comunione e del discernimento comunitario; ogni campanilismo di parrocchie e realtà ecclesiali, ebbene, tutto questo va contro il progetto di Dio e falsifica, svuota dall’interno, contraddice e impoverisce quel segno di unità e di comunione che stasera qui tutti insieme stiamo dando e che il mondo attende.

Il secondo segno che vorrei evidenziare è quello dell’olio, o meglio degli oli santi. Ogni olio santo ci ricorda qualcosa. Innanzitutto l’olio degli infermi: ci ricorda la malattia, la vecchia, la nostra fragilità. Malattia, vecchiaia e fragilità che possono diventare partecipazione alla passione, morte e risurrezione di Cristo e quindi trasformarsi in canto di lode. Siamo deboli; non siamo dei “super eroi”; non siamo inossidabili e infrangibili. Saper accettare la nostra finitezza e debolezza, gli acciacchi dell’età che avanza, come pure la malattia che viene a spezzare i nostri progetti e i nostri sogni, è a volte molto difficile ma è possibile per il dono della Grazia, per l’opera dello spirito Santo in noi. E ciò ci toglie dall’ansia e dalla paura, da quel nervosismo che non ci da tregua, aprendoci invece alla pace interiore, alla serenità di sentirsi nelle mani del Signore. Ma l’olio degli infermi ci richiama anche la necessità di prendersi cura degli altri, in particolare di chi è malato, anziano o particolarmente fragile. Chi vive in queste condizioni, deve poter trovare nella comunità cristiana e in particolare nei sacerdoti, conforto, sostegno e vicinanza. Soprattutto deve poter incontrare la grazia di Cristo che da significato alle sue sofferenze.

L’altro olio, quello dei catecumeni, ha invece un altro significato. Indica il bisogno di ogni uomo di essere liberato dal peccato e dal male morale. L’olio dei catecumeni si usa nei riti prebattesimali e significa la necessità del combattimento spirituale contro il demonio e che occorre essere forti in questa lotta all’ultimo sangue contro le potenze del maligno. Non è solo la salute del corpo che a volte ci manca. Ogni uomo ha necessità di essere liberato dal male dell’anima e di essere salvato; ha bisogno di sfuggire all’inferno e di entrare nel paradiso; ha assoluta urgenza di salvarsi l’anima, perché, come dice il Signore nel Vangelo: a che cosa servirà all’uomo aver conquistato il mondo, se poi perderà l’anima sua? Occorre dunque che curiamo la salute della nostra anima, purificandola dal peccato. Ma occorre anche che i sacerdoti e i diaconi col loro ministero, cerchino soprattutto questo per le persone che sono loro affidate. Il prete è chiamato innanzitutto ad annunciare Gesù Cristo salvatore, a renderlo presente e comunicabile nella Santa Eucaristia, a perdonare i peccati in nome suo, a pregare per il popolo e a guidare i membri della comunità alla santità e quindi verso la pienezza della vita eterna. La “salus animarum”, la “salvezza delle anime”, seppur con espressione datata e non esente da rischi, resta il compito fondamentale di ogni presbitero.

In ultimo ecco il Crisma. L’olio più santo di tutti. Si fa aggiungendo all’olio del profumo, in modo che la mistura emani una buona fragranza. Lo si usa per confermare nella vita cristiana i battezzati col sigillo dello Spirito Santo. Lo si usa ancora per significare la dignità dei nuovi battezzati, la missione dei sacerdoti e dei Vescovi. E’ dunque l’olio che ci ricorda la grandezza della vita nuova in Cristo, come pure la capacità donata all’uomo di compiere le cose di Dio. Ci ricorda la sovrabbondante misericordia del Signore che ci viene incontro, non solo liberandoci dal peccato ma elevandoci alla dignità di figli di Dio, divinizzandoci, facendo di noi un popolo di sacerdoti, re e profeti. Partecipare alla gloria di Dio è la meta più grande che possiamo raggiungere; è la vera ricchezza della nostra vita. Non facciamoci confondere le idee da pensieri mondani! Non sono i beni terreni la pienezza della vita; non è il potere; non è il dominio sugli altri; non è la possibilità di realizzare ogni nostro desiderio la cosa più bella che ci può capitare: la cosa più bella è piuttosto l’essere riempiti di Dio che è amore, l’essere trasfigurati nella sua gloria; vivere la vita nuova dello Spirito. E come per gli altri oli santi, il Crisma ancora di più ci indica con chiarezza la missione della Chiesa: aiutare gli uomini a incontrare Cristo e a lasciarsi trasformare dallo Spirito santo in creature nuove, in figli veri di Dio e in fratelli veri degli altri.

Carissimi amici nel sacerdozio, carissimi diaconi, religiose e religiosi, laici tutti del santo Popolo di Dio, ragazzi che in quest’anno riceverete la Cresima, come dicevo all’inizio: la celebrazione di stasera è davvero molto significativa. Ricca cioè di segni importanti dell’amore di Dio per noi. Ringraziamo allora Dio; con riconoscenza rendiamogli grazie e facciamo in modo di portare nel cuore e nella vita la bellezza di questa esperienza. Col nostro entusiasmo e col nostro impegno di carità nei giorni quotidiani, cerchiamo di comunicarla a tutti con gioia, raccontando con semplicità di cuore le meraviglie del Signore.

(foto di Ilaria Giusti)




IL PROFUMO DELLA VITA

Venerdì 23 marzo, con il tragitto dal Battistero di San Giovanni in Corte alla chiesa di San Giovanni Fuorcivitas, si è concluso il cammino delle stazioni quaresimali; un «itinerario quaresimale che ci ha visto attraversare la città da un chiesa all’altra, andando dietro al Signore, per cercare Colui che ci ha cercato e trovato per primo».

Un cammino fermatosi alle soglie della Settimana Santa, che prima di ripercorrere la passione di Cristo ha fatto gustare, in anticipo, il profumo della vita. Il vangelo di venerdì scorso raccontava infatti la vicenda di Lazzaro: «il tripudio della vita – ha ricordato il vescovo Tardelli nella sua omelia -. La resurrezione di Lazzaro, amico di Gesù, come la risurrezione del figlio della sunamita ad opera del profeta Eliseo, ci fanno sentire la gioia, il profumo, l’allegria della vita».

Una fragranza che fa misurare tutta l’incompatibilità tra l’uomo e la morte. «Possiamo compiere tutti gli sforzi del mondo per assuefarci alla morte; possiamo tentare di esorcizzarla in ogni modo; cercare di tenerla lontana dalla nostra vista, dalla nostra esperienza….. Ma non c’è niente da fare. Pur nello stordimento della distrazione – ha ricordato il vescovo -, essa, col suo carico di tristezza, di gelo e di ineluttabilità, torna ad assalirci sempre di nuovo (…). Tutto si ribella in noi di fronte alla morte. Non siamo fatti per la morte».

La vicenda degli uomini, senza l’orizzonte di Dio, resta incastrata nel dramma della finitudine e della fragilità. Avvertiamo, infatti «come una contraddizione inaccettabile venire alla vita, respirarla a pieni polmoni, magari superando grandi difficoltà, e poi finire nel vuoto di un sepolcro. Per tutto questo, il miracolo della risurrezione di Lazzaro rappresenta una esplosione di gioia e di speranza». Eppure anche Lazzaro, tornato alla vita, era destinato a morire di nuovo. Il miracolo della vita sfuma forse nell’illusione?

Forse qualcuno si ricorda –di quel film scandaloso, ma per niente banale che è l’Ultima tentazione di Cristo di Scorsese – la scena in cui Gesù chiama Lazzaro a uscire dal sepolcro. D’improvviso, dall’oscurità del sepolcro, Lazzaro tende la mano a Cristo. Gesù è quasi sconvolto dalla forza della sua preghiera. La mano tesa di Lazzaro, già segnata dalla decomposizione, lo afferra e lo trascina con sé, per un attimo, nel buio del sepolcro. Immagine sconvolgente di un Cristo inconsapevole di fronte all’orrore della morte.

I Vangeli ci dicono che la morte non ha l’ultima parola. Che Gesù, con buona pace di Scorsese, è entrato davvero nel buio del sepolcro ma, seppure dentro il dramma della passione, ci è entrato consapevolmente. E ne è uscito risorto. Occorre, dunque, «andare più in profondità e leggere le cose alla luce, non tanto della risurrezione di Lazzaro ma di quella di Cristo (…) Alla luce di Cristo allora, morto e risorto per portare a compimento il disegno del Padre; morto e risorto nel segno dell’amore che è Dio stesso, possiamo comprendere che la vita vera, quella piena ed eterna, che già comincia quaggiù ma che si realizzerà definitivamente oltre la morte, è quella che si condensa nell’amore».

Cedere all’orrore e allo sgomento della morte, è per il cristiano una tentazione. «Ben misera cosa sarebbe però – ha precisato il vescovo- fermarsi a gustare la superficie della vita, i suoi aspetti esteriori, le sue manifestazioni più contingenti se non andassimo invece al succo della vita; se non andassimo ad attingere alla fonte della vita vera che è Gesù Cristo».

Ben misera cosa sarebbe se cedessimo alla nostra ‘ultima tentazione’, quella di sfuggire alla volontà di Dio, «se non imparassimo a godere della gioia che ci viene da questa vita di Dio in noi, che è libertà dal peccato, pienezza d’amore, carità operosa nei confronti dei fratelli. In questo modo, niente di ciò che è veramente umano viene disprezzato o perduto, anzi, nella vita di grazia che lo Spirito Santo realizza in noi, tutto trova pieno significato e profondità».

Il rischio di non andare in profondità e di non riuscire a cogliere il “di più” di vita che ci dona il Signore conduce ad un’esistenza perennemente in bilico sull’abisso. La notte dei morti viventi è in realtà il lungo giorno di chi rincorre la vita laddove non c’è: «Anche se brindassimo tutti i giorni alla vita, anche se passassimo i giorni nella spensieratezza di tutte le possibili gioie terrene; anche se avessimo tutto e tutto ci potessimo permettere, saremmo nient’altro che dei morti che camminano per le strade».

Una prospettiva assai misera ed amara, almeno quanto la celebre battuta del film horror “la notte dei morti viventi” : «Vivere assieme per noi non è una gran gioia, ma morire assieme non risolverà niente». Chi è già morto dentro non possiede – ha continuato il vescovo – «la vita di Dio, la vera vita, quella Grazia santificante che proviene solo da Dio e si realizza soltanto nell’amore da Lui ricevuto e a sua volta donato a Lui e agli altri».

È proprio di fronte alla possibilità di vivere da morti, come se non ci fosse prospettiva davanti all’orrore della morte «che Gesù, come dice il racconto evangelico, letteralmente “scoppiò in pianto”. Pensiamoci».

«Alla luce interiore della Grazia – ha concluso mons. Tardelli-, anche il morire terreno diventa occasione di lode e gratitudine». Non c’è nessuna morte (neanche la seconda morte di Lazzaro) che possa sottrarre alla vita piena chi si lascia raggiungere dall’amore di Dio.
«È San Francesco a dircelo nel suo meraviglioso cantico delle creature: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a•cquelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no ’l farrà male.”»

Leggi l’intera omelia..




TI SEI MAI ACCORTO DI ESSERE GUARITO?

L’omelia del Vescovo Tardelli per la IV stazione quaresimale

Ci sono occasioni in cui il Signore ci guarda con particolare evidenza. Sta lì e ci scruta. In silenzio. Umilmente. È uno sguardo discreto, colmo di misericordia. E quanto più ci legge dentro, tanto più è misericordioso.
Nell’adorazione eucaristica il Signore ci guarda. Dal piccolo occhio aperto nell’ostensorio volge lo sguardo sull’umanità varia, dolente e gaudente che si ferma –anche soltanto per il tempo di un segno di croce – davanti a Lui.

La quarta stazione quaresimale si inserisce in questo clima di adorazione e preghiera che da qualche anno, grazie a Papa Francesco, sta diventando tradizione. Venerdì 16 marzo, infatti, la Diocesi di Pistoia ha celebrato presso la parrocchia di San Paolo Apostolo la “24ore per il Signore”. Una ‘maratona’ di adorazione no-stop durante la quale è offerta la possibilità di riconciliarsi con il Signore. Un bagno di misericordia e di preghiera per riconoscere il primato di Dio. Papa Francesco lo ha ricordato anche in questa edizione 2018: «Dio è il primo e ci salva totalmente con amore».

A Pistoia il Vescovo Fausto Tardelli ha celebrato la messa stazionale all’interno di questo contesto di preghiera proponendo alla riflessione dei fedeli il brano evangelico del miracolo del Cieco nato (Gv 9,1-9).

Di fronte a chi gli contesta la prodigiosa guarigione, contrapponendosi a Gesù, il cieco ribatte con decisione quanto gli è accaduto. «Questo cieco nato – ha affermato il vescovo – ha dalla sua, la forza dei fatti. Gli altri, i farisei, fan solo discorsi, chiacchiere, ideologia, esprimono pregiudizi, non vedono la realtà; sono davvero, loro, dei ciechi che, per giunta, pensano di vederci bene».

Uno scambio delle parti che rischia di farci pensare. Ma anche l’affermazione netta e decisa di chi è stato raggiunto da una grazia insperata e neppure richiesta: «nel caso del cieco nato, l’iniziativa è presa da Gesù». «questo “fatto” è “capitato” al cieco. È sopravvenuto alla sua vita. Non lo ha cercato. Non risulta infatti dal testo che il cieco abbia chiesto la guarigione, come invece in altri casi descritti nel vangelo. Tutto ciò, carissimi amici, ci fa riflettere su di una verità che connota l’agire di Dio, sempre: è Lui che prende l’iniziativa e tutto viene da lui».
È il primato di Dio che tanto ripropone papa Francesco e che il vescovo Tardelli racconta con efficacia: «Anche quando giustamente noi cerchiamo il suo volto, lo desideriamo, ci rivolgiamo a lui con la supplica del peccatore, ciò è possibile solo perché Egli con il suo amore ci ha prevenuto. Lui sempre ci ama per primo. Senza alcun nostro merito, senza alcuna nostra pretesa».

E se qualcuno, come i farisei di allora, introduce il baco del sospetto e invita a pensare che dietro “Dio” sta una mera proiezione il vescovo ricorda che «Non è il nostro vuoto che chiede e fonda la sua pienezza. Non è l’uomo che crea Dio. È vero esattamente il contrario: è Dio che crea l’uomo e imprime nell’uomo la nostalgia di Lui. È il Signore che ama infinitamente e dona infinitamente se stesso a noi ed è ancora lui, luce del mondo che fa scoprire la novità gioiosa del vedere e svela la bruttura delle tenebre del male che sono in noi e nel mondo, senza che nemmeno ce ne accorgiamo».

Il Signore ci ha guariti. Ma forse non ce ne siamo neppure accorti. Quando ce ne rendiamo conto iniziamo a vivere da cristiani. «La vita cristiana – aggiunge il vescovo – inizia laddove ci si riconosce cercati e amati; laddove ci si riconosce voluti e pensati con amore. Il primo atto della vita cristiana … è accorgersi di essere cercati e trovati; che c’è uno che è totalmente per noi, Gesù di Nazareth, figlio di Dio».

Cristo, come afferma un autore, è davvero il “terapeuta dello sguardo”: non soltanto ci aiuta a vedere e affina la nostra vista «tende per noi il ponte che ci fa passare dal vedere al contemplare e dal semplice sguardo alla visione di fede».

«Anche noi, – ha proseguito il vescovo- come il cieco nato, dovremmo vivere della certezza di un fatto molto concreto: che cioè siamo stati guariti; ci è stata donata la vista». Il problema – paradossalmente- resta la fatica di riconoscere la nostra guarigione. La vita nuova donata dal battesimo è un fatto; ma quanto spesso è facile dimenticarlo!

«Lo dobbiamo dire infatti: tante volte, l’essere stati fatti partecipi della salvezza; l’essere stati fatti rinascere come figli di Dio; l’essere stati illuminati dalla Grazia non è un fatto, nella nostra vita». Amara constatazione che registra cristiani senza Cristo, salvati senza desiderio di salvezza. Quanto è un dato di fatto -precisa il vescovo- «Non è la certezza della nostra vita; non è la roccia su cui poggia la nostra esistenza. Non è esperienza vissuta; non è gioia di chi ha ritrovato la vista; non è entusiasmo di chi è stato liberato dalle catene e finalmente si sente libero. È una fede sbiadita, scolorita, la nostra. Abitudinaria e mesta. Ed è precisamente in questo contesto di fiacchezza della nostra fede che diventano facili i tradimenti della legge del Signore, le ottusità nei confronti dei fratelli; i compromessi con i nostri vizi, l’accomodamento alle logiche egoistiche del mondo».

Anche per questo abbiamo bisogno di entrare dentro il suo sguardo. Di farci contemplare con amore e lasciarci toccare dalla sua misericordia, perché il suo sguardo risani i nostri occhi.

Leggi l’intera omelia…




“CENERE IN TESTA E ACQUA SUI PIEDI”: DISPONIBILE ON LINE IL SUSSIDIO PASTORALE PER LA QUARESIMA

Rendiamo disponibile il Sussidio pastorale per la Quaresima oggi non più reperibile in formato cartaceo.

Il sussidio, frutto della collaborazione dei vari uffici pastorali e in particolare di quello liturgico, della Caritas, dell’ufficio missionario e di quello catechistico, è stato realizzato nel 2011 con l’intento di fornire una traccia per il cammino di preparazione verso la Pasqua attraverso la ricchezza della Liturgia dove risplendono i misteri di Cristo e della Chiesa.

L’itinerario quaresimale che culmina nel Triduo Pasquale è un vero cammino di conversione e rinnovamento che i testi liturgici ci aiutano a fare in modo mirabile.

 




QUANDO GESÙ SIEDE STANCO PER CERCARMI. LE PAROLE DEL VESCOVO PER LA TERZA STAZIONE QUARESIMALE

La chiesetta di Santa Maria del Soccorso, nota anche come Santa Maria in Borgo Bambini o Santa Liberata, è sconosciuta a molti pistoiesi, ma ospita da qualche anno la comunità cristiano ortodossa rumena. L’interno, tappezzato di icone, riflette il timbro tutto orientale della spiritualità ortodossa. Da qui si muove, fino alla Chiesa di San Bartolomeo, la processione della stazione quaresimale, guidata dal vescovo. In alto, sopra l’altare della chiesetta, si custodisce un antico affresco con la Madonna “in umiltà”, seduta per terra, con in braccio il suo bambino. Un dipinto arrivato qui dalla vicina chiesa dei Gesuati, oggi distrutta, che ha dato il nome di Santa Maria del Soccorso. Un titolo che ha il sapore del “pronto soccorso”, forse per via dell’attenzione alla medicina e al servizio ai malati proprio dell’ordine dei Gesuati. L’efficacia del “soccorso” che reca la Vergine è tutto nel bambino che stringe al petto. Un Dio bambino protagonista assoluto di quell’ospedale da campo che dovrebbe essere la Chiesa. Gesù è entrato nelle difficoltà della condizione umana: ha sperimentato la fame e la sete, ha provato stanchezza, ha “gustato” la morte. Ha portato soccorso, dalla posizione, tutta inedita, di salvatore affaticato e ferito.

Il Vangelo pronunciato venerdì 9 marzo proponeva il dialogo tra Gesù e la Samaritana. Gesù, ricordava il vescovo Tardelli nella sua omelia «è lì, al pozzo, stanco, affaticato, affamato – i suoi erano andati a cercare del cibo. Si è seduto e anch’egli ha sete. Una profonda sete. Ma non dell’acqua del pozzo. Egli ha sete dell’anima di quella donna; ha sete dell’anima di ognuno di noi; ha sete di me e della mia vita».

Forse non lo ricordiamo spesso così, eppure, prosegue il Vescovo, Gesù giunge stremato alle porte della nostra umanità: «Egli, stanco, sta cercando me, come canta un antico e ingiustamente abbandonato inno liturgico: “quaerens me sedisti lassus” Tu, signore sedesti stanco per cercare me, per darmi il tuo amore, per salvarmi dal non senso della mia vita, dal male nel quale spesso sono incatenato».

«La stanchezza del Signore Gesù  -ha precisato Mons. Tardelli- è la sua croce d’amore, è la fatica del buon pastore che va per dirupi e rovi a cercare la pecora perduta e caricarsela sulle spalle». Alla stanchezza si accompagna una sete divina: «La richiesta che Gesù fa alla donna, rileva questa sua sete: “dammi da bere”, cioè, dammi la tua anima, dammi la tua persona, lasciati amare, lasciati salvare, apri il tuo cuore a me e sarai salva». Il grande fascino di questa pagina evangelica risiede proprio nell’incontro tra la sete di Dio e quella dell’uomo. «Che la nostra sete e quella di Cristo si incontrino: questo allora c’è da augurarsi stasera, per la nostra vita, per il nostro cammino quaresimale che ci conduce alla Pasqua».

Il Vescovo, rileggendo le parole del Vangelo  parla di stanchezza e di sete, di esigenze interiori ed esteriori, molto concrete, dell’uomo di oggi. Manca l’acqua che disseta l’anima e quella che disseta il corpo. «“In quei giorni, il popolo soffriva per la mancanza di acqua”. Parole antiche, dell’esodo… Ma quanto attuali! Quanto contemporanee, quanto dolorosamente vere. Perché, anche materialmente è proprio così: oggi un sacco di persone soffrono per la mancanza di acqua. “Sono circa 900 milioni le persone che non hanno accesso ad acqua potabilmente sicura. Sono almeno 1,8 milioni i bambini sotto i cinque anni che muoiono ogni anno per malattie collegate alla qualità dell’acqua: uno ogni 20 secondi.”»

La verità del Vangelo non dimentica mai la concretezza dell’esistenza. Per questo la stanchezza di Gesù non è una posa teatrale, non è finzione edificante, ma stanchezza concreta, sete reale e spirituale insieme. Una sete che parla all’uomo dei suoi bisogni più profondi e “integrali”. «Non è difficile riconoscere che siamo tutti degli assetati, che abbiamo sete di vita e di amore, sete di gioia e di bene, sete di felicità e di pace (…) non è difficile riconoscerla, questa sete, dentro di noi e nel cuore dell’umanità». È una sete che conduce a conseguenze molto concrete.  «Spesso – continua mons. Tardelli – la nostra sete, la si soddisfa bevendo acqua putrida, di pozzanghere sudice e maleodoranti, acqua velenosa; all’apparenza cristallina e pura ma in realtà piena di germi mortiferi (…) Domandiamoci inoltre se per soddisfare la nostra sete, invece di amare e donare come ci ha insegnato il Signore, sfruttiamo gli altri, utilizzandoli per i nostri fini».

Di fronte al nostro profondo desiderio di salvezza integrale, di fronte alla sete dell’uomo, il  Signore ripete: «L’acqua che cerchi “sono io, che parlo con te”. E ce lo dice anche questa sera, qui, in questa celebrazione eucaristica dove l’altare è per tutti noi, il pozzo di Giacobbe dove egli ci attende».

Il cammino delle stazioni quaresimali prosegue venerdì 16 marzo presso la Chiesa di San Paolo Apostolo, per la celebrazione delle 24 ore per il Signore. Un’occasione di preghiera di adorazione e misericordia che si prolungherà ininterrottamente dal pomeriggio di venerdì 16 fino alla sera di sabato 17. Alle 21 di venerdì 16, la messa presieduta dal vescovo Tardelli.

Leggi l’intera omelia