Giovani in cammino per San Bartolomeo

La proposta: una camminata insieme da Spedaletto a Pistoia

La festa pistoiese di San Bartolomeo del 24 agosto in quest’anno di pandemia dovrà subire qualche cambiamento; non mancheranno certamente qualche bancarella e la corona di “pippi”, purtroppo però, non potremmo ricevere la tradizionale unzione nella chiesa di San Bartolomeo in Pantano.
 
La pastorale giovanile di Pistoia lancia una proposta per festeggiare in modo alternativo la festa del santo apostolo, percorrendo l’ultimo tratto del cammino di San Bartolomeo che collega Fiumalbo a Pistoia, partendo dalla frazione di Spedaletto, situata tra Pistoia e Porretta oltre il passo della Collina.
 
La devozione per San Bartolomeo nella montagna pistoiese risale all’alto Medioevo: sia il paese di Fiumalbo che quello di Cutigliano hanno una chiesa dedicata al santo e lo festeggiano il 24 agosto come patrono. Spedaletto in particolare si trovava lungo la Via Romea della Sambuca e ospitava l’importante spedale dedicato a San Bartolomeo, ricovero per i pellegrini che percorrevano la via nel Medioevo. Anche in questa località c’è una chiesa dedicata al santo che oggi presenta lo stesso perimetro di quella antica, di origine longobarda.
 
Programma
24 agosto
7.30: Ritrovo in piazza San Francesco a Pistoia per prendere il bus fino a Spedaletto (Copit linea 56 – ognuno si procuri il biglietto)
8.35: inizio del cammino di 23 km da Spedaletto (Portare pranzo al sacco)
16.30: arrivo in San Bartolomeo e benedizione dei pellegrini dai giovani
Per info: restiamoinsiemepg@gmail.com



Apre a Pistoia “Scholas Occurrentes”, la scuola del Papa

Martedì 10 dicembre ha avuto luogo la presentazione ufficiale della sede all’interno del Monastero delle Benedettine di Pistoia della scuola di voluta da Papa Francesco, che porterà in Toscana le nuove metodologie educative testate negli oltre 190 paesi dove è presente Scholas.

PISTOIA – Chitarra, canti, sorrisi, abbracci e mate. Neanche te ne accorgi e già l’intesa ha preso quota. Tra i giovani presenti e gli animatori di Scholas il contatto è più naturale che mai, fuori da ogni paludamento e scaletta prefissata. C’è un calore tutto latino che nell’aula magna del Seminario di Pistoia, avvolge i presenti, dal direttore mondiale Corral al mons. Tardelli per la presentazione ufficiale della sede pistoiese di Scholas Occurrentes.

«Una bella giornata: un segno bello e gioioso per tutti. Pistoia –afferma il vescovo Tardelli – è una città che merita attenzione e che può diventare un punto di riferimento. Sono contento perché ci si occupa di giovani. Mi stanno a cuore. E mi preoccupa che li facciamo esprimere, perché ognuno può dire molto. L’impostazione educativa di Scholas li porterà ad esprimersi in tutte le loro potenzialità. E poi sono contento perché ci sarà modo di incontrarci a livello mondiale: giovani da tutte le parti del mondo arriveranno a Pistoia». E sarà un mondo globale, “fatto di comunicazione e relazioni. Sono grato a Jose Maria del Corral. Inizia un’avventura tutta da definire ma sicuramente bella”.

«Questa esperienza – commenta Edoardo Baroncelli – direttore dell’ufficio per la pastorale scolastica, chiamato a coordinare i rapporti tra Scholas e Diocesi – cerca di tradurre una proposta educativa in linguaggi che siano i loro – quelli dei giovani – e non i nostri. E i linguaggi con cui si può arrivare al cuore dei ragazzi sono anche questi. La diocesi di Pistoia e l’attenzione del suo vescovo ai giovani raccoglie l’invito del Santo Padre perché Pistoia possa essere luce, segno di speranza, e insieme si possa fare qualcosa di significativo per i nostri giovani».

Il direttore mondiale di Scholas Josè Maria Corral, racconta la sua storia che nasce dalla passione educativa. «Trent’anni fa mi sentivo in mezzo tra i giovani e un sistema educativo che non mi sembrava raggiungerli. C’era un sacerdote, Jorge Bergoglio, che conosceva la gente, un prete “futbolero” (che gli piaceva il calcio), che però aveva visto come la crisi Argentina stava portandosi via i giovani. “La politica non serve a niente””diceva la gente e i giovani non sapevano cosa fare. Restavano spersi in un paese nella crisi. Una domenica pomeriggio ho incontrato don Bergoglio. «Possiamo contare sui giovani per fare un cambiamento?» Mi domandò questo. Ho pensato di mettere insieme un gruppo di giovani cattolici, ebrei, musulmani, hanno cominciato a parlare, cantare, dipingere e hanno iniziato a condividere le loro differenze. Tradizioni, abitudini diverse..all’inizio si guardavano tra loro. Si sono iniziati a rompere i pregiudizi. E in sei mesi questi giovani hanno portato al parlamento argentino un progetto di legge per i giovani. Un mese dopo il congresso l’ha votata all’unanimità. Sapete cosa chiedevano questi giovani? Un’educazione che avesse a vedere con la vita. Non ne potevano più di studiare qualcosa in cui non trovavano senso. Volevano un’educazione che servisse alla vita. Volevano imparare a vivere. Erano pazzi?».

Diocesi e Scholas hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per confermare l’impegno nell’educazione dei giovani. Scholas porterà a Pistoia una scuola per formatori, ma anche progetti di alternanza scuola lavoro, percorsi che diano senso, portino la presenza di questa proposta in mezzo ai giovani.




Scholas Occurrentes: apre a Pistoia la nuova sede

PISTOIA – Il momento tanto atteso e annunciato a marzo di quest’anno direttamente dal Santo Padre è finalmente arrivato: il prossimo martedì 10 dicembre verrà presentata ufficialmente la sede  di “Scholas Occurentes”, la fondazione internazionale di diritto pontificio, voluta fortemente da Papa Francesco, che ha come obiettivo la formazione dei giovani attraverso il dialogo, l’incontro, la conoscenza di sé, i linguaggi universali come la musica e l’arte. La sede della scuola, che lavora su scala internazionale, avrà sede nel monastero delle Benedettine nel centro di Pistoia e ospiterà i percorsi di formazione degli educatori, provenienti da tutto il mondo.

L’evento avrà luogo il prossimo martedì 10 dicembre alle ore 10 nel seminario vescovile di Pistoia, alla presenza dei dirigenti di Scholas, delle autorità cittadine e regionali.

«Nel corso dell’incontro con il Papa del marzo scorso, egli ha fatto diretto riferimento al lavoro di Scholas: “I giovani hanno una potenza inimmaginabile! Sono creativi! Ma quel che succede tante volte è che non hanno dei leader che li guidino, perché li cercano fuori e non si rendono conto che li hanno fra di loro. E quel che fa Scholas è risvegliare in queste comunità l’esistenza e l’impegno dei loro propri leader. E sento che è una cosa molto bella, molto grande.” Queste idee espresse dal Santo Padre sono presenti nella visione della Diocesi di Pistoia e vengono promulgate dall’Ufficio Diocesano di Pastorale Scolastica.

«Ci riconosciamo, dunque, nella stessa ricerca e con il sogno di essere parte di un’unione con la comunità di Pistoia per creare un’educazione che porti i giovani a incontrarsi gli uni con gli altri e con loro stessi – ha affermato il presidente Josè Maria Corral – scoprendo la bellezza della creatività e riconoscendo l’importanza delle proprie radici, per vivere un vero presente e sognare un futuro insieme. In base alle motivazioni di cui sopra, è un onore raccogliere quanto manifestato dal Santo Padre, impegnandoci a fare di Pistoia un esempio educativo per il mondo».

L’idea di “Scholas Occurrentes” risale a un’esperienza lanciata a Buenos Aires nel 2001, sotto l’egida dell’allora arcivescovo Jorge Mario Bergoglio. Il suo progetto di Escuelas hermanas (scuole sorelle) e di Escuelas de vicinos (scuole di quartiere) consisteva in una rete di centri educativi, composta da realtà pubbliche e private, laiche o confessionali, e aveva come scopo di educare all’impegno e al bene comune. Il successo di questa idea ha portato alla creazione di Scholas occurrentes, un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro, che lavora con le scuole e le comunità educative, con l’intento di coinvolgere tutti gli attori sociali per dar vita a una cultura dell’incontro e conseguire la pace attraverso l’educazione. Come si legge nel sito dell’organizzazione (<www.scholasoccurrentes.org>), l’obiettivo ideale che si cerca di realizzare è la trasformazione del mondo in un’aula senza pareti, in cui siano integrati tutti i bambini.

Creata nel 2015 con un decreto pontificio da papa Francesco, la realtà delle Scholas Occurrentes desidera favorire la condivisione dei progetti promossi dalle scuole in vista di un arricchimento reciproco e sostenere le scuole con meno risorse, promuove l’educazione per tutti. Attualmente le Scholas sono operative in Argentina, Messico, Paraguay, Spagna, Italia, Città del Vaticano, ma l’organizzazione, grazie alle collaborazioni avviate con altre realtà, opera in 190 Paesi e in circa 445mila scuole e reti educative associate.

(ufficio stampa)




Io siamo noi: un cammino per giovani universitari

Un cammino di formazione spirituale e culturale per giovani studenti universitari guidato dal vescovo Tardelli

Venerdì 29 novembre ore 21. Seminario Vescovile. L’incontro tra le persone ha sempre precise coordinate di spazio e di tempo. Venerdì 29 inizia qualcosa di nuovo. Il Vescovo Fausto ha convocato tutti gli studenti universitari (19-26 anni) per dare il via, con loro, ad un cammino di formazione spirituale e culturale.

Come chiesa sentiamo il bisogno di fare almeno qualche tentativo perché i nostri ragazzi non siano lasciati soli di fronte alla complessità del mondo nel quale vivono. Servono chiavi di lettura potenti, tracciati forti di riflessione, perché in gioco c’è la loro felicità, la loro possibilità di essere domani persone libere e compiute, vera e propria risorsa per la società e per la chiesa.

Spesso si afferma che i giovani sono il futuro. È un’affermazione un po’ paternalista, che a volte diventa quasi un tentativo di ritenerli figli di un Dio minore e lasciare ad altri (cioè agli adulti) una delega totale per costruire il mondo e la Chiesa che poi domani si dovrà loro svendere. I giovani non sono il futuro, sono il presente. Il Santo Padre lo ha detto chiaramente: “Perché voi, cari giovani, non siete il futuro, ma l’adesso di Dio”

Ritenerli il presente, in effetti, è più difficile: significa fare i conti per davvero con ciò che i giovani sono e con ciò che noi adulti siamo e diventiamo a confronto con loro; significa ammettere che li preferiamo obbedienti, silenziosi, allineati. Significa ammettere che noi adulti non vogliamo dare loro realmente spazio, significa rinunciare ad avere su loro e sulle loro vite e anche sui loro errori una forza plasmatrice, onnipotente, che invece è di Dio.

La chiesa di Pistoia sta dalla loro parte. Li vuole provocare con domande forti, li vuole aiutare a mettere seriamente in discussione se stessi e i meccanismi a volte assurdi che regolano questo tempo complesso, vuole operare per dare loro una forza critica capace di generare futuro nella loro vita e nel mondo.

Attorno al Vescovo Fausto, e ad altri esperti che con lui si confronteranno in seguito, venerdì 29 si apre con i giovani un dialogo, un cammino, un percorso che li conduca nel cuore delle cose, anche quelle scomode. Only the braves.

Edoardo Baroncelli, direttore Ufficio per la Pastorale della Scuola, dell’Educazione e dell’Università




Giovani e Fede, tra indifferenza e ricerca di senso

Cecilia Costa, membro laico della segreteria e consultore del sinodo dei vescovi, sarà presto a Pistoia per il Festival di Teologia “i linguaggi del divino”, per approfondire uno dei temi chiave dell’epoca moderna, ovvero “Giovani e fede”, con una relazione di prospettiva di sociologica.

Quali sono i suoi principali ambiti di ricerca?

I miei ambiti di ricerca sono soprattutto: il fenomeno religioso nelle sue diverse implicazioni, dalla pratica all’appartenenza, dalla credenza all’esperienza; la realtà giovanile nei suoi molteplici aspetti, a cominciare dalla percezione di sé, i valori e la religione; infine, l’immaginario (dai film alle serie televisive), che può far trasparire, più di quanto si creda, dinamiche, elementi, contraddizioni, della realtà socio-culturale quotidiana.

Cosa ha da dire la sociologia alla Chiesa?

La Chiesa è impiantata nella società e agisce sempre nel contesto della sua storia e della sua cultura e, di conseguenza, ha bisogno di conoscere il mondo, i “segni dei tempi”, per poter con maggiore efficacia annunciare il messaggio evangelico e per sostenere il suo mandato profetico. In tal senso, non bisogna dimenticare che il legame uomo-Dio si declina in un contesto temporale, geografico, storico, nelle situazioni sociali concrete e nella religiosità vissuta dalle persone: proprio questa concretizzazione, rilevabile oggettivamente dalle ricerche sociologiche, potrebbe rappresentare il terreno di dialogo tra sociologia e Chiesa.

Papa Francesco l’ha chiamata a ricoprire il ruolo di consultore della segreteria del Sinodo. Cosa pensa di questo Papa?

Pur non mettendo tra parentesi antichi canoni, Papa Francesco ha promosso una Chiesa dal basso, con la sua scelta preferenziale  per gli esclusi, gli emarginati, i poveri, e ha anche scelto uno stile comunicativo dialogante. Questo suo atteggiamento magisteriale, pastorale, e il suo codice comunicativo empatico, aperto, relazionale, stanno suscitando il coinvolgimento di credenti e di non credenti. Nella stagione in cui si fa strada un bisogno della gente di seguire un leader in grado “di infondere fiducia”, di avere interpreti convincenti dell’epoca attuale, Papa Francesco sembra essere l’unica personalità a proporre una visione profetico-spirituale di ampio respiro, capace di coagulare consenso e suscitare speranza.

Quale esperienza di Chiesa ha vissuto durante la sua partecipazione al Sinodo dei giovani?

Ho avuto la profonda consapevolezza di fare l’esperienza di una “Chiesa in ascolto”, e di una comunità di pensiero che ha cercato di comprendere la varietà, le luci, le ombre, la fede e lo scetticismo presenti nella realtà delle nuove generazioniHo sperimentato di vivere in un clima di collegialità, di sinodalità, che ha favorito il raggiungimento di una riflessione a più voci, sinfonica, caratterizzata dalla stessa volontà di comprensione del mondo dei giovani e delle sfide che debbono affrontare nelle diverse aree geografiche del pianeta. Una sinodalità ispirata a quanto affermato da Papa Francesco, il 17 ottobre 2015, in occasione della commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi: “i fedeli laici, il collegio episcopale e il vescovo di Roma sono concepiti l’uno in ascolto dell’altro e tutti in ascolto dello Spirito Santo”.

Quali sono, secondo lei, i frutti più importanti lasciati da questo Sinodo per il cammino della Chiesa?

I maggiori frutti lasciati da questo Sinodo, a mio avviso, non sono esclusivamente appannaggio dei giovani, ma di tutti i credenti e anche dei non credenti. Si è consolidata una Chiesa-aperta, pronta a mettersi all’ascolto dei problemi, delle difficoltà, delle paure, delle attese e delle speranze di oggi. Una Chiesa che ripropone con rinnovato slancio il Vangelo, senza fare concessioni, però, a nessuna forma di proselitismo. Una Chiesa che sollecita, non prescindendo dal fatto che la realtà supera l’idea (Evangelii gaudium), ad avere una visione prospettica coraggiosa per superare la crisi di sistema e di perdita “del senso della vita e del vivere insieme” (Laudato si’). Una Chiesa sempre più attenta alla storia degli uomini, − anche alle “piccole storie” di ogni singolo uomo −, che si sente forte del suo patrimonio di fede  e che propone, − non impone −, il Cristianesimo come risposta, storicamente efficace, ai nodi problematici della nostra società complessa, globalizzata e digitalizzata.

Dal suo punto di vista come è cambiato l’approccio dei giovani verso la fede?

Il vissuto fideistico dei giovani si presenta soprattutto nella forma soggettiva, a volte sincretica e pluralista, all’insegna di una disomogeneità tra la dichiarazione di appartenenza alla Chiesa e il comportamento confessionale adottato. La religione è sempre meno un tratto ereditato o dipendente dall’influenza familiare, anche a causa della difficoltà di trasferimento del patrimonio fideistico tradizionale da una generazione all’altra. Pertanto, la dimensione religiosa non viene elaborata dai giovani, come nel passato, in base al vincolo dell’osservanza, ma viene interiorizzata più come preferenza “sentimentalmente orientata”. Bisogna ancora dire che la realtà religiosa giovanile è pervasa da una molteplicità di sfumature diverse, ma su tutte prevale una incongruenza: la narrazione della coscienza generazionale risulta essere più secolarizzata, agnostica, indifferente, di quanto lo sia realmente la coscienza dei singoli. Nonostante, la situazione culturale laicizzata, gli echi degli scandali, alcune  distanze e incomprensioni, la sfera della fede, comunque, rimane, per le generazioni del nuovo millennio, tutt’ora essenziale come orizzonte di senso, al fine di dare sostanza al loro futuro e densità alla loro vita.

Che differenza c’è, a suo avviso, tra credere e non credere?

Secondo le ultime indagini sociologiche, oggi, tra i giovani credenti e non credenti prevale una considerazione unanime: “credere in Dio è un bisogno dell’uomo”. Inoltre, anche i più agnostici sono meno inclini a considerare irriducibilmente alternative le categorie di religione e di razionalità. E ancora, molti giovani, anche gli indifferenti, avvertono un desiderio di spiritualità: una spiritualità che appare come una sorta di “zona intermedia” tra il credere e non  credere.

Daniela Raspollini




Quel che non si può raccontare

Il pellegrinaggio diocesano in Terra Santa nelle parole di una giovanissima pellegrina

Sono passati circa una ventina di giorni dalla conclusione del pellegrinaggio in Terra Santa, iniziato la sera del 25 luglio e terminato con il rientro a Pistoia all’imbrunire del 2 agosto, al quale hanno partecipato ben 90 giovani tra studenti e ragazzi disabili guidati dal vescovo Tardelli.

Per chiunque di questi ragazzi venisse interrogato sull’esperienza, non è difficile immaginare la risposta. Collocherebbe l’evento all’interno di uno spazio e di un tempo ben definito. Si sforzerebbe di ricordare la data esatta del ritorno, controllerebbe la data odierna e dopo un rapido calcolo risponderebbe, con più o meno precisione, in base a quanta voglia ha di sforzare i neuroni storditi dal caldo di agosto e dalle ore piccole. Poi comincerebbe a ripercorrere mentalmente, con uno sforzo ancora maggiore, tutte le tappe, omettendo i luoghi di cui non si ricorda il nome o che non saprebbe ricollocare con precisione nella geografia del luogo. E infine quella frase da protocollo, detta con un sorriso a trentadue denti e lo sguardo fisso: «che bella esperienza…». Non è ipocrisia. Neanche falsità. È solo che il tempo esiste solo se si ha la pretesa di misurarlo, che la memoria fallisce e che i giudizi cambiano insieme a noi continuamente. E allora ci aggrappiamo a una rete fatta di nomi, date e frasi fatte.

Ma la verità è che il nostro cervello funziona in un altro modo: dei migliaia di momenti e immagini che lo bombardano costantemente, lui sa perfettamente cosa conservare e cosa no, scegliendo con cura e facendosi sempre più selettivo di giorno in giorno, finchè a rimanere non è altro che una sequenza sconnessa di immagini e sensazioni che acquista significato solo per noi stessi. Sarebbe complicato parlare a qualcuno della Terra Santa cominciando col dire che per strada a Nazareth hai incrociato lo sguardo del bambino con gli occhi più neri e fondi che tu abbia mai visto, col raccontare come la bocca si impastava del sapore dolcissimo dei datteri mentre quelle rocce color ocra che ti circondavano ardevano sotto al sole o col ricordare il senso di oppressione al petto di fronte a quel maledetto muro grigio tra Palestina e Israele. Come potresti parlargli del suono delle mani che battevano a tempo insieme al ritmo dei canti, della luce dorata del tramonto che illuminava la facciata della Basilica dell’Annunciazione, del vento che increspava la superficie del lago di Tiberiade? E ancora, come glielo spieghi il valore dei sorrisi dei ragazzi disabili, l’amore disinteressato nei loro sguardi e la consapevolezza di come abbiamo tanto da imparare dal loro modo di prendere la vita?

Nei luoghi che i 90 pellegrini hanno visitato c’è qualcosa che va aldilà di tutto ciò che può essere raccontato. Non si tratta di giorni, chilometri, nomi o eventi storici: in Terra Santa, le ore possono trasformarsi in attimi e gli attimi in ore, le salite diventare piani, il rumore mutare in silenzio, il passato diventare presente. Nessuna foto potrà mai cogliere la sua bellezza: le luci di Betlemme la sera, il contrasto tra il bianco dei tetti e l’oro che ricopre la cupola della moschea a Gerusalemme, l’allegra confusione nel mercato lungo la Via Dolorosa cambiano di volta in volta in base a chi osserva.

Tantomeno alcuna testimonianza potrà considerarsi fedele: luoghi come la mangiatoia in cui è stato deposto Gesù, l’orto degli ulivi o il Santo Sepolcro non sono mai uguali agli occhi del cuore. Infine, nessun giudizio sarebbe davvero sincero, perchè la Terra Santa, una volta che l’hai visitata, non la lasci laggiù dove l’hai trovata. Te la porti con te, attraverso i giorni, i mesi e gli anni. Ti segue in ufficio, a scuola, in palestra. Si sveglia insieme a te al mattino, si siede accanto a te a tavola e si corica con te alla sera. Ogni giorno è come tornare: la visiti di nuovo, la respiri di nuovo, la vivi di nuovo. Cambia insieme a te. E anche quando i ricordi diventeranno sbiaditi e lontani, Lei tornerà a galla sgomitando dolcemente tra i pensieri: magari passerà solo un attimo prima che affondi di nuovo sul fondale scuro della nostra memoria. Ma sarà lì, indelebile, a ricordarci quanto possa farsi piccola la distanza tra terra e cielo, se lo si vuole.

Alice Peloni




Cercasi adulti credenti, credibili e felici di esserlo

Intervista a don Armando Matteo sulla relazione tra la Chiesa e le nuove generazioni alla luce dell’esortazione di Papa Francesco “Christus vivit

di Daniela Raspollini

Don Armando Matteo, docente di Teologia fondamentale all’Università Urbaniana di Roma e noto conoscitore del mondo giovanile, ci presenta la proprie riflessioni sull’esortazione post-sinodale di Papa Francesco “Christus vivit”.

Cosa l’ha colpita di più dell’esortazione di Papa Francesco “Christus vivit”?

Quello che mi ha colpito di più, nell’esortazione di papa Francesco “Christus vivit”, è l’affetto. Sì, l’incredibile affetto che questo papa esprime per le nuove generazioni. Un affetto che trova, forse, una spinta in più nella consapevolezza che il tempo che viviamo non è esattamente “un tempo per giovani”. E Francesco, questa cosa qui, la dice a tutto tondo da tanto tempo e la rimarca con vigore in questa Esortazione. Da una parte e all’altra del mondo, i nostri giovani non sono messi nella condizione di esprimere tutta quella potenzialità di energia e di creatività che è loro propria. E questo affetto diventa poi sinonimo di fiducia e diventa richiamo, appello, persino rimprovero ad una società di adulti e di vecchi che sempre di più si sono prostrati al culto della giovinezza, marginalizzando in modo vergognoso proprio i giovani.

L’esortazione parla di una pastorale giovanile che vede strutture in cui i giovani spesso non trovano risposte alle loro inquietudini. A suo avviso quali sono i limiti più diffusi nella pastorale giovanile?

Ci vuole un coraggio “da papa” per riconoscere tutto questo! Ma è la semplice verità. Non addosso responsabilità specifiche alla pastorale giovanile, i cui responsabili anzi si danno sempre un gran da fare. Ma come credenti, adulti e vecchi, facciamo una fatica matta a capire il grande fossato che si è creato tra le nuove generazioni e l’attuale cristianesimo. Ancora facciamo una fatica da matti a capire come è cambiato il modo di vivere oggi la giovinezza, da parte dei giovani veri, in un tempo in cui tutti noi – tutti noi adulti e vecchi – non pensiamo ad altro che a restare giovani per sempre! Per cui i limiti della pastorale giovanile sono i limiti dell’agire pastorale tout court: un agire pastorale spesso, troppo spesso, autoreferenziale, che continua ad andare bene per alcuni, sempre di meno e sempre più vecchi, e che non si rende conto di quanto è davvero cambiata la vita della gente. E che dunque non è più tempo di una pastorale del cambiamento, quanto di un vero e proprio cambiamento della pastorale.

Nel documento Papa Francesco afferma che i giovani hanno bisogno di una chiesa che non stia continuamente a condannare, a combattere su due o tre temi, fino a diventare talvolta irritante. Cosa suggerirebbe alla nostra chiesa in Italia?

Di mettere semplicemente in pratica ciò che 15 anni fa i nostri vescovi hanno scritto nella nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia: dare priorità alla questione dell’adulto! Il punto è che oggi abbiamo, da una parte, adulti e vecchi che possono e non vogliono crescere e, dall’altra, giovani e ragazzi che vogliono e non possono crescere. È ormai un segreto di Pulcinella quello per i quale siamo in un deficit pazzesco circa la qualità veramente adulta degli adulti. Penso in particolare ai nati tra il 1954 e il 1984. Che siamo poi i papà, le mamme, i docenti, gli istruttori dei nostri giovani. In una parola: i loro modelli di vita! E che modelli! Se si pensa che per noi adulti i nostri modelli sono proprio i nostri figli e i nostri alunni.
In una parola: sta pure per finire il decennio dedicato dalla Chiesa italiana all’educazione, ma non è per nulla finita l’emergenza educativa. E quest’emergenza educativa è che ci servono al più presto adulti credenti, credibili e soprattutto felici di essere adulti. Ed è solo la Chiesa, insieme alla scuola, a poter e voler portare avanti questa battaglia. Le altre componenti della società, dalla politica all’economia, dalla cultura al mondo della comunicazione, giusto per citarne alcune, sono ben felici di aver a che fare con adulti che pensano solo a fare i giovani; insomma, con adulti imbecilli e permanentemente infelici!

Tra i tanti suggerimenti, inviti e riflessioni presenti nel documento c’è anche l’appassionato appello ai giovani affinché diventino “missionari coraggiosi” andando anche controcorrente; pensa che i giovani abbiano la voglia di accogliere e “vivere secondo Francesco”?

Questo vale già per alcuni dei nostri giovani e si può sperare che varrà per molti altri. D’altro canto, la nostra è una Chiesa “cattolica” e dunque differenti sono le situazioni in cui vanno a tradursi concretamente gli appelli e le indicazioni del magistero. Per il nostro Paese, penso che sia molto più pertinente l’indicazione di “Christus vivit” per la quale è l’intera comunità che si debba fare carico dell’annuncio del Vangelo e della cura delle nuove generazioni. Non si può più pensare di delegare questo ad un settore specifico. La situazione non è delle migliori da noi. Nelle nuove generazioni, aumenta la quota di chi si dichiara proprio fuori dalla tribù cattolica e spesso questo riguarda non solo i ragazzi e i giovani maschi, ma anche le ragazze e le giovani donne. Insomma, da noi il fenomeno più forte è che piccole atee crescono!

Il Papa parla di giovani con radici per affrontare il tema del rapporto tra generazioni. È davvero così sgangherato questo rapporto tra giovani e anziani?

Più che con gli anziani, la questione ha a che fare con gli adulti. Per intenderci, sono anziani i nati prima del 1954. In verità sono gli adulti che hanno mandato all’aria il rapporto tra le generazioni: per loro l’unico modello di esistenza accettabile e degno del desiderio umano è quello della giovinezza. Noi adulti, infatti, non vogliamo minimamente pensare a cose come adultità, maturità, responsabilità, generatività, passaggio di testimone. Ed è per questo che trattiamo i nostri figli non come i veri eredi del mondo, ma come piccole divinità da custodire, adorare e soprattutto contenere in confini bene limitati.

Crede che con il pontificato di Papa Francesco sia cambiato qualcosa nel rapporto tra i giovani e la Chiesa? Oppure che la tendenza sia comunque quella di un graduale allontanamento dalla Chiesa?

Noi cattolici facciamo statisticamente fatica a fidarci delle statistiche, e purtroppo le statistiche più recenti confermano l’esponenziale allontanamento delle nuove generazioni dall’universo cattolico. E ripeto, la cosa che deve interrogarci di più è che questo vale sia per i giovani maschi che per le giovani donne.

Il problema principale, a suo avviso, è la mancanza di credibilità e fiducia nei confronti della Chiesa o il venir meno della fede?

Consapevole di dire qualcosa di poco condiviso nella Chiesa italiana, in tutti i miei saggi sostengo che, con i giovani, la vera questione è quella della fede. Nonostante tutto il nostro gran da fare, nelle parrocchie, negli oratori, nei movimenti e nelle associazioni, la mancanza di testimonianza di fede cristiana vissuta, da parte dei genitori e degli altri adulti della società, impedisce ai giovani di comprendere che cosa la fede cristiana abbia a che fare con il loro personale processo di definizione della propria identità adulta. Insomma, la fede è, per loro, sempre di più una questione da bambini e finché si rimane bambini. Per questo, poi, ad un certo punto lasciano la comunità cattolica e diminuisce radicalmente l’interesse per la fede cristiana. E la lasciano senza sbattere le porte e senza alcun sentimento di colpa. In “Evangelii gaudium”, Papa Francesco parla giustamente di rottura della trasmissione generazionale della fede all’interno del popolo cattolico e a mio avviso alla radice di questo fenomeno c’è proprio quella “adorazione della giovinezza”, che egli stigmatizza in “Christus vivit”; una tale adorazione fa sì, come già detto, che per noi adulti e vecchi la vita al massimo e il massimo della vita sia “restare giovane”. Questo per noi adulti e vecchi vale più di Dio, più del Vangelo, più della Chiesa. O meglio è questo, per noi, il nostro dio, il nostro vangelo, la nostra chiesa. Sotto queste condizioni, come potremmo indicare/testimoniare allora ai giovani il legame, che pur esiste, tra vita adulta compiuta e sequela di Gesù? Da qui si deve ripartire. Al più presto.




Scholas Occurrentes a Pistoia: camminare insieme nell’impegno per i giovani

La notizia della scelta da parte di Papa Francesco della nostra città come sede di Scholas Occurrentes dà speranza e ci impegna a lavorare con ancora maggiore slancio per i giovani e per la scuola nel complesso periodo che entrambi attraversano.

Ho rubato un verso. Ho rubato un verso al profeta Geremia e nel mio colloquio con Madre Ana, ringraziandola, ho avuto modo di dire a lei e ai referenti di Scholas che ho incontrato, che “vedo un ramo di mandorlo”. La loro venuta a Pistoia, nella nostra città a volte chiusa, a volte complicata, ma con tante energie da esprimere, è il segno di una primavera che accompagna quella del calendario. Non è un caso forse che proprio il 21 marzo la notizia sia divenuta ufficiale.

Ringrazio il vescovo Fausto per questo ulteriore segno di attenzione al mondo della scuola. L’impegno e la volontà tenace dell’Ufficio per la Pastorale dell’Educazione, della Scuola, dell’Università è di fare in modo che anche questa non diventi un’occasione persa, ma che possa essere invece il modo operativo perché tutti coloro che condividono il bisogno di un senso nuovo, antico e al contempo diverso nel loro impegno con e per i giovani, possano camminare insieme.

Dobbiamo unirci, non distinguerci gli uni dagli altri, in un unico cammino ecclesiale. Così questa iniziativa, nelle pletora delle iniziative sparse, sarà un segno di speranza e potrà fare la differenza nella vita di molti. Costruire insieme. Camminare insieme. «Benedetto colui che viene nel nome del Signore».

Edoardo Baroncelli
Direttore dell’Ufficio per la Pastorale dell”Educazione, della Scuola, dell’Università – Diocesi di Pistoia




Missione Panama!

Caterina Pelagalli racconta la sua esperienza alla GMG di Panama

Quarantuno persone, quarantuno cuori, quarantuno bagagli diversi, quarantuno giovani e meno giovani pronti a “lasciare” la propria vita e la propria quotidianità per vivere qualcosa che rimarrà indelebile dentro di noi per sempre. Quarantuno volontari, tutti uniti da una grande ed unica passione: la Misericordia.

Siamo partiti per Panama senza sapere cosa ci aspettava, forse anche un po’ timorosi. Ma è indescrivibile ciò che abbiamo trovato. Ci hanno fatto sentire a casa, fin dal primo momento; ci hanno trattato come se fossimo loro figli, accuditi ed accompagnati per tutta l’esperienza. È difficile poter trasmettere a parole quello che ogni giorno abbiamo vissuto, impossibile poter descrivere i rapporti che sono nati tra noi ed i bomberos (i vigili del fuoco di Panama): non basterebbero paginate intere per raccontarvi ogni singola esperienza che abbiamo fatto. L’unica cosa che possiamo fare è esserne grati, grati con il cuore in mano. Grati al movimento delle Misericordie, che ha permesso ad ognuno di noi di poter crescere spiritualmente, umanamente e professionalmente; ci ha permesso di amare la nostra divisa ancora di più, ci ha fatto conoscere persone nuove, che sono entrate nel nostro cuore e da lì non usciranno mai.

Grati al Benemerito Corpo dei Bomberos, che ci ha sostenuto in ogni momento, condiviso con noi i momenti più belli della GMG. I Bomberos hanno pregato con noi e scherzato, insieme abbiamo mangiato e giocato. Ci siamo aiutati reciprocamente come se ci conoscessimo da sempre, abbiamo imparato gli uni dagli altri, abbiamo pianto insieme, ci siamo salutati all’aereoporto con il nodo alla gola. In particolar modo vogliamo ringraziare Lourdes, il tenente del corpo dei Bomberos, che ci ha accolto il primo giorno quando siamo arrivati e ci ha fatto da mamma per tutta la missione. Una persona semplice, una donna con la D maiuscola, un insieme di coraggio, fermezza, forza ed immensa dolcezza. Non la dimenticheremo mai.

Abbiamo vissuto la GMG dall’inizio alla fine, da vicino e da lontano. L’abbiamo vissuta per le strade, l’abbiamo vissuta nei ristoranti e nei supermercati, l’abbiamo vissuta sul mare e nelle chiese di Panama. Incontravamo giovani ovunque, pronti a fare una foto o lasciarci un ricordo; abbiamo ricevuto “grazie” gratuiti, come se tutti sapessero e ci fossero grati per il servizio che stavamo facendo insieme ai bomberos. Abbiamo trovato giovani pieni di gioia, canti e balli in tutta Panama, gioia dietro ad ogni angolo della città, bandiere di tutti i colori che coloravano le strade di aria nuova, genuina, fresca, viva. I panamensi ci salutavano suonando il clacson della macchina, le commesse dei negozi ci salutavano come se ognuno di noi fosse un dono che gli era stato donato, ci regalavano ricordini del posto come se niente fosse, senza che sapessero da dove venivamo e chi fossimo. Un’umanità che al giorno di oggi colpisce nel più profondo dell’anima.

E poi Papa Francesco: ancora una volta un colpo dritto al cuore; sorrisi indimenticabili che ci hanno toccato da vicino ogni volta che passava con la sua papamobile, parole con una forza devastante, capaci di cambiarti la vita, parole piene di emozione e adrenalina, come se fossero pillole di vitamine. Avete presente quando ci sentiamo stanchi, deboli, tristi e prendiamo le vitamine per tirarci su? Ecco, Papa Francesco ha un’ immensa capacità di entrarti dentro e renderti la forza per vivere la vita come il dono più prezioso che ci è stato fatto.

Voglio chiudere queste mie poche righe con una delle frasi di Papa Francesco che mi ha colpito: «Cari giovani, voi non siete il futuro ma l’adesso di Dio». Dobbiamo essere il presente, vivere l’adesso come se fosse l’unica cosa che ci rimane, dobbiamo cambiarlo se non ci va bene, dobbiamo amarlo e rispettarlo, e ringraziare il Signore per aver avuto l’opportunità di viverlo: Esta es la juventud del Papa!

 

Caterina Pelagalli




Quando il Vangelo si fa social: un incontro con don Dino Pirri

Incontro con don Dino Pirri presso i locali parrocchiali della Chiesa del Sacro Cuore di Montemurlo.

L’incontro, fissato per venerdì 8 Febbraio alle ore 21.15, è organizzato dall’Azione Cattolica di Pistoia ed è aperto a tutti, in particolare ai ragazzi e genitori che vogliono approfondire la conoscenza riguardo gli scenari digitali.

don Dino Pirri

Nato a San Benedetto del Tronto l’8 luglio 1972, ordinato presbitero il 2 maggio 1998.
È stato vicario parrocchiale a “San Benedetto Martire” in San Benedetto del Tronto (2000-2001) e al “Sacro Cuore di Gesù” in Martinsicuro (2001-2003). Parroco a “San Pietro Apostolo” in Valdaso (2003-2007) e a “San Niccolò” in Acquaviva Picena (2007-2009).
Inoltre è stato assistente diocesano ACR (2000-2005), Assistente AGESCI zona Picena (2004-2009), membro del Consiglio presbiterale (2007-2013), assistente nazionale ACR (2009-2014).
Su TV 2000 ha condotto “Sulla strada” commentando il vangelo della domenica dal 2014 al 2017.
Ha pubblicato con l’ Edizioni Ave: “Dalla sacrestia a Gerico” e “Cinguettatelo sui tetti. Il vangelo di Marco su Twitter“.
È parroco a “San Martino” e alla “Madonna della Speranza” in Grottammare dal 2015.
Dal 2017 è Vicario nella forania “Madonna di San Giovanni”, che comprende le parrocchie di Cossignano, Cupra Marittima, Grottammare e Ripatransone.

Intervista a don Dino Pirri
L’esigenza di ascoltare i giovani, il bisogno di superare paure e il “si è sempre fatto così”

Don Pirri incontrerà i ragazzi di AC della diocesi di Pistoia. Come ha accolto questo invito? È la prima volta che viene in diocesi?

Sono stato già nella diocesi di Pistoia in occasione di un incontro con l’Azione Cattolica quando ero assistente nazionale dell’ACR. Ma ho un legame particolare con la vostra terra, poiché mia madre ha insegnato in una scuola di Monsummano quando ero ancora bambino. Quest’ultimo invito lo accolgo con molta gioia, ma anche con la trepidazione di dover essere capace di corrispondere alle attese, poiché non ho competenze specifiche sul tema della comunicazione, solo un po’ di esperienza. Mi ritengo soltanto un artigiano della comunicazione.

Secondo lei i giovani desiderano coltivare una propria spiritualità? Quali ostacoli e quale sostegno incontrano più spesso?

Questa domanda dovremmo rivolgerla ai giovani. Spesso, anche nella Chiesa, parliamo dei giovani e al posto dei giovani, senza ascoltarli e lasciar parlare loro. Ho visto con gioia che il recente Sinodo dei Vescovi è stato un tentativo nuovo in questo senso: una Chiesa in ascolto dei giovani. Forse l’ostacolo più grande è proprio l’assenza di luoghi di ascolto. Il miglior sostegno potrebbe essere la credibilità degli adulti. Ma ripeto: dovremmo chiedere ai giovani.

Quali sono le difficoltà più consistenti che ha riscontrato nell’opera di evangelizzazione?

L’ostacolo principale che ho incontrato è stata la conservazione di schemi pastorali, che probabilmente non rispondono più al nostro tempo, e la necessità di occuparmi in attività che hanno poco a che fare con l’evangelizzazione ma sono richieste dal servizio a una parrocchia: le manutenzioni, la custodia dei luoghi, le questioni economiche, gli adempimenti delle diverse normative. Nell’azione pastorale in quanto tale mi sono più volte trovato davanti al muro del pregiudizio sulla Chiesa e della presunzione di essere cristiani.

Si parla molto di giovani e mondo social; una realtà spesso accusata di molti guai e pericoli. È davvero tutto da buttare?

Ci sono i pericoli e i guai, che fanno parte del limite umano, ma non c’è nulla da buttare. Spesso c’è l’ignoranza nell’utilizzo di questi strumenti che porta a una loro squalifica o sopravvalutazione. Non bisogna cadere in nessuno dei due errori. La realtà non può essere negata, ma deve essere attraversata, analizzata e ricomposta. I social sono come un luogo abitato da tanta gente, in cui si possono fare incontri significativi, pericolosi o virtuosi; esperienze che fanno crescere oppure esperienze che feriscono. Non ci sogneremo mai di lasciare un bambino o un adolescente da solo in un luogo così vasto, ma neppure possiamo chiuderlo in casa, impedendogli di fare qualsiasi esperienza, e quindi di crescere.

Lei ha scritto un libro molto apprezzato dal titolo: «Cinguettatelo sui tetti» (AVE 2013) raccogliendo mini commenti al Vangelo di Marco. Come nasce l’idea del primo twitter/libro?

In quegli anni cominciavo a conoscere e sperimentare questo mondo “social”, domandandomi come mai noi preti non ne avessimo colto ancora le potenzialità avendo un messaggio bellissimo da comunicare, cioè il Vangelo. Ho incontrato tante persone e ho imparato tante cose, che proverò a raccontare nell’incontro di venerdì. «Cinguettatelo sui tetti» nasce un po’ da questo incrocio, tra il desiderio di comunicare il Vangelo e l’incontro con persone desiderose di lasciarsi provocare da esso.

Si è da poco concluso il sinodo dedicato ai giovani. Cosa lo ha colpito di più del sinodo e del suo documento finale?

Più che i contenuti, come ho accennato prima, mi ha colpito il metodo seguito nei lavori. Il desiderio dei vescovi di ascoltare e di lasciar parlare i giovani. La disponibilità dei giovani a confrontarsi liberamente con i loro pastori.

Per il suo incontro pistoiese cosa ci dobbiamo aspettare?

Anche questa sarebbe una domanda da fare a chi parteciperà. Da parte mia c’è la curiosità di imparare qualcosa di nuovo, mettendo a disposizione qualche esperienza e qualche riflessione. Ecco, mi aspetto una bella sorpresa, ma non so ancora dire quale. Come disse Gesù: «Venite e vedete!».

Daniela Raspollini