Una piccola sintesi alla conclusione della terza edizione dei linguaggi del divino dedicata al tema del credere oggi
La terza edizione dei linguaggi del divino si è conclusa consegnando, nella pluralità e varietà di voci intervenute, altre numerose domande da mettere accanto a quella del titolo. «Perché credere?» domandava ad esempio Rino Fisichella, nella sua prolusione; «abbiamo il coraggio di proporre il cuore incandescente del Vangelo?», «Siamo in grado di mettere in rilievo la forza elevante, unificante della comunità cristiana? Creiamo occasioni di preghiera capaci di riconciliare la vita delle persone?»: solo alcune delle tante provocazioni di don Alfredo Jacopozzi, e ancora – «come rispondere – sottolineava la prof.ssa Cecilia Costa– alle “domande perdute” dei giovani di oggi?» e che differenza c’è tra credere e non credere? Che cosa intendiamo – suggeriva il prof. Andrea Vaccaro– quando parliamo di “intelligenza spirituale”? Cosa accomuna la vita spirituale delle diverse proposte religiose? Alcune delle tante domande rimbalzate dalle relazioni di questa edizione e che, in maniera molto sommaria e sintetica, mi sembrano indicare tre punti con cui ripercorrere l’arco degli incontri.
1. L’invito, ma direi meglio l’urgenza, di riscoprire nel testo biblico la capacità di parlare all’umano dell’umano. Nella Sacra Scrittura si possono ritrovare le domande profonde che accompagnano l’uomo, anche se il testo biblico chiede non soltanto lo studio, ma il tempo del silenzio, della fatica di sostare su ciò che in prima battuta resta poco chiaro, di domandarsi – in definitiva- quale parola ascoltiamo davvero. Dal testo biblico – ci hanno ricordato le lectio divine di madre Angelini e di padre Mosconi – emerge una sapienza che è per la vita. Chi ha ascoltato le loro meditazioni, come quella di Benedetta Rossi, ha potuto accorgersi come il testo sacro non spenga, ma accolga le inquietudini, anche le paure e il dolore dell’uomo; indubbiamente ha sentito accendersi il “gusto” di riprendere in mano la Bibbia.
2. La consapevolezza che pur nel tempo dell’età secolare, di un mondo sempre più pagano, la Chiesa ha in sé un tesoro prezioso, forse dimenticato o contestato, ma in fondo atteso perché profondamente agganciato all’umano. La relazione di don Andrea Lonardo, l’analisi di Cecilia Costa e le provocazioni di Davide Rondoni, hanno indubbiamente manifestato criticità delle nostre proposte ecclesiali, ma anche gli spazi, ancora in gran parte inesplorati per agganciare le attese dell’uomo di oggi. Una chiesa come un “cantiere aperto”, secondo le parole di Giovanni Ferretti, ma aperta ad un’umanità fragile, ferita, in cerca di maestri, di punti di riferimento, assetata di relazioni autentiche.
3. Il fascino di attingere alla forza sempre nuova e rigenerante del Vangelo. Un Vangelo da ri-ascoltare e da vivere in modo credibile. Il carisma di Papa Francesco, trasmesso con grande efficacia da Wim Wenders nel suo “Francesco, un uomo di Parola”, sta proprio dentro la sua capacità di rilanciare la verità evangelica –sine glossa– in tutta la sua carica originaria e dirompente. Chi sa riportare la vita al Vangelo in maniera comprensibile a tutti, come don Luigi Maria Epicoco – una delle relazioni più affollate dei linguaggi – trova “naturalmente” seguito.
Tante domande dunque, ma anche qualche possibile risposta, attorno alla grande risposta. «Vorresti sapere cosa ha inteso il tuo Signore e conoscere il senso di questa rivelazione? – ricordava Fisichella citando la mistica Giuliana di Norwich – Sappilo bene: amore è ciò che Lui ha inteso. Chi te lo rivela? L’amore. Perché te lo rivela? Per amore».
Altre, più concrete domande, toccano la capacità di coinvolgere un pubblico più ampio, di suscitare l’interesse della città, di gestire al meglio orari e numero degli incontri. In attesa di un bilancio non può comunque mancare un doveroso ringraziamento a quanti hanno collaborato, con compiti e in tempi diversi, alla realizzazione di questa edizione e a quanti la hanno ospitata: i monaci della fraternità di Gerusalemme di San Bartolomeo, i padre Betharramiti di San Francesco a Pistoia, i padri domenicani per il convento di San Domenico, il capitolo dei canonici per il Battistero di San Giovanni in corte. Un sentito “grazie” anche a quanti hanno seguito con passione e fedeltà i diversi appuntamenti.
Ricordiamo che le relazioni di questa edizione sono disponibili sul canale youtube diocesano e che sulla pagina Facebook della Diocesi di Pistoia è possibile recuperare foto e commenti degli incontri.
u.f.
Tre video interviste per “ripartire dalle domande”
Sul canale youtube diocesano interviste e relazioni on line per i linguaggi del divino
«Cosa determina le tue scelte? Quali sono le persone a cui credi? Perché?»
Sono alcune delle domande che accompagnano la riflessione sul credere oggi proposte dal tema dell’attuale edizione dei linguaggi del divino. Domande con cui si confrontano Padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato, che ha predicato lo scorso anno gli esercizi spirituali a Papa Francesco a alla curia romana; Lucia Agati, cronista della Nazione di Pistoia, Bernard Dika, giovane studente, “Alfiere della Repubblica Italiana”, molto popolare tra i ragazzi e sui social. Le tre brevi interviste sono disponibili sul canale youtube diocesano: diocesi di Pistoia.
I video sono a cura dell’Ufficio Comunicazioni Sociali e Cultura diocesano; le riprese e il montaggio di Massimo Rosario Mantero.
Sul canale youtube diocesano saranno anche disponibili le registrazioni video degli incontri in programma per il festival “i linguaggi del divino”.
Credo? Ripartire dalle domande fondamentali
Sabato 5 ottobre aprirà il festival monsignor Rino Fisichella
L’edizione 2019 dei linguaggi del divino si apre con un interrogativo: Credo?
Abbiamo bisogno di tornare alle grandi domande, quelle essenziali e primarie. Un recente libretto pamphlet di Goffredo Fofi, L’oppio del popolo (Elèuthera 2019) mette in guardia dalla cultura elevata a sistema economico, “industria” del paese spesso ridotta a un «gran giro di soldi … e di chiacchiere» che intontisce piuttosto che far crescere. Ritornare alle grandi domande «che sono poi le grandi domande, diceva Tolstoj, che fanno i bambini: “perché sono al mondo?”, “perché ci sono i maschi e le femmine”, “perché ci sono i ricchi e i poveri?”, “perché le stelle girano e noi non giriamo?”, “e perché in quest’epoca e non in un’altra?” (…) Queste domande – prosegue Fofi- ogni analfabeta del passato prima o poi se le poneva, ma si direbbe che oggi “la cultura” abbia distrutto questa necessità per farci accettare montagne di parole mistificanti, per farci accettare ciò che al potere piace che noi accettiamo, nascondendocene lo squallore, la crudeltà, la perfidia..».
Provocazione che vale la pena cogliere in un tempo sovraccarico di proposte, distratto e alla fine, senza passioni. Ci sembra che valga la pena, dunque, aprirsi ad una domanda cruciale per ogni tempo e cultura, a maggior ragione per il nostro secolarizzato nuovo millennio che pure vive più o meno consapevoli forme di credenza, altre ne ricerca spasmodicamente fino al fondamentalismo, altre ne subisce senza neppure accorgersene.
La questione è ampia ma la nostra proposta si orienta nell’orizzonte della fede cristiana, aprendo alle riflessioni/provocazioni di teologi, docenti, credenti.
Aprirà il festival la prolusione di monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione. Monsignor Fisichella è esperto della riflessione attorno al credere, non soltanto per la sua formazione di teologo fondamentale, ma anche per aver curato importanti iniziative: dal giubileo della Misericordia, alle 24 ore per il Signore, alla giornata mondiale dei poveri, tutte a stretto contatto con la fede concreta del popolo di Dio. Il suo intervento si terrà nella chiesa di San Bartolomeo in pantano sabato 5 ottobre alle ore 17.
Seguirà un dialogo tra Domenico Mugnaini, giornalista e direttore di Toscana Oggi, con Andrea Gambetta, produttore cinematografico che ha realizzato insieme a Wim Wenders il film “Papa Francesco. Un uomo di parola”. Un’occasione per conoscere l’esperienza di un grande regista chiamato a raccontare uno dei (rari) “testimoni credibili” del nostro tempo; seguirà la proiezione del film.
Domenica 6 alle 17, nella sala capitolare del convento di San Francesco, don Alfredo Jacopozzi offrirà una relazione sul tema «nelle inquietudini dell’uomo post-moderno». Jacopozzi è direttore dell’ufficio cultura e del centro per il dialogo interreligioso dell’arcidiocesi di Firenze. Grande conoscitore e appassionato delle proposte spirituali orientali fa parte della scuola di formazione della comunità mondiale di meditazione cristiana (WCCM). Docente di Storia delle religioni alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale è autore di diversi libri e articoli in ambito di scienze delle religioni. Non mancate.
Credere è una risposta d’amore
Una riflessione sul credere alla luce del recente magistero della Chiesa
di Alessio Biagioni*
Nel mese di ottobre nella nostra diocesi si svolgerà la seconda edizione dei linguaggi del divino dedicata quest’anno al tema “credere oggi”. Riflettere sul credere è infatti importante in questo periodo storico dove da un lato sembra prevalere, se non l’incredulità, perlomeno l’indifferenza, dall’altro vi è una richiesta di maggiore spiritualità a fronte di lamentati ed eccessivi materialismo ed edonismo.
L’atteggiamento oggi maggiormente condiviso sembra appunto quello dell’indifferenza rispetto al trascendente ma talvolta anche rispetto a ciò che esula da quello che si crede concreto, pratico. Si può segnalare poi anche un altro modo di porsi diffuso che comporta il credere non in ciò che è trascendente e spirituale, ma in quello che mezzi di comunicazione o personaggi ritenuti autorevoli diffondono, fino talvolta ad arrivare alla superstizione o al complottismo. Infine deve constatarsi che vi è invece una sempre maggiore richiesta di risposte alle domande fondamentali della vita che non si accontenta di un soggettivo “penso che sia così” o dell’opinione di chi fa più rumore.
Tale differenziazione di atteggiamento rende necessaria la comprensione di cosa significhi credere. Il titolo della manifestazione ci aiuta. Si riferisce a un episodio narrato dall’evangelista Marco: un padre disperato davanti a un figlio sofferente. Neppure gli apostoli sono riusciti a guarirlo, allora questo padre si rivolge a Gesù dicendo: «Credo, aiutami nella mia incredulità». Questa vicinanza delle parole credo e incredulità ci può sorprendere all’inizio, ma se ognuno di noi pensa alla propria esperienza di vita non può che riconoscersi nel grido del padre. Proprio questa apparente antitesi ci svela il punto di partenza. Tutto nasce da una esigenza urgente nella vita dell’uomo, una richiesta di aiuto ma anche una richiesta di senso (cfr. Francesco, Porta fidei, 10). Di fronte a certe drammatiche situazioni o a domande esistenziali l’uomo ha talvolta la sensazione di non poter far nulla da solo né di trovare risposte o conforto. A quel punto il padre riceve la trasmissione di una notizia: incontra gli apostoli, che lì per lì non sono risolutivi, ma che lo portano comunque a Gesù. Finalmente questo incontro porta a una presa di posizione radicale, un affidamento totale a una Persona. Si comprende perciò, come l’esperienza del credere non si limiti a un sentimento soggettivo, a una mera riflessione personale che si risolva con l’adesione all’idea di un leader o di un personaggio dello spettacolo, ma come una ferma scelta di adesione che deriva da una testimonianza credibile. Per questo non può mai avvenire in modo solitario, ma è un incontro che avviene all’interno di una comunità. La particolarità del cristianesimo è, come abbiamo visto, il fatto che credere è affidarsi totalmente a una Persona, a Gesù. «In quanto risorto, Cristo è testimone affidabile, degno di fede (cfr Ap 1,5; Eb 2,17), appoggio solido per la nostra fede» (Francesco, Lumen Fidei 17). Quando recitiamo il credo non affermiamo solo che Dio esiste e che ha creato e salvato il mondo ma «dire Io credo in Dio significa fondare su di Lui la mia vita, lasciare che la sua Parola la orienti ogni giorno, nelle scelte concrete, senza paura di perdere qualcosa di me stesso» (Benedetto XVI, udienza del 23/1/2013). Ci rendiamo conto che è qualcosa di diverso da un sentimento di simpatia verso certe idee: qui è in gioco la vita stessa! Questo perché l’adesione a una Persona è anche un atto d’amore, è l’amore che attualizza la fede in ogni attimo dell’esistenza.
Perché ciò sia possibile, l’adesione deve avvenire in una comunità: insegna papa Francesco «la fede non è un fatto privato, una concezione individualistica, un’opinione soggettiva, ma nasce da un ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio» (Francesco, Lumen Fidei 22). L’incontro con Gesù avviene innanzitutto grazie alla testimonianza di chi l’ha già incontrato e sta rispondendo al suo amore che «rende partecipi del cammino della Chiesa, pellegrina nella storia verso il compimento. Per chi è stato trasformato in questo modo, si apre un nuovo modo di vedere, la fede diventa luce per i suoi occhi». Ma questa testimonianza ha radici lontane e deriva dagli stessi apostoli che hanno visto il risorto e l’hanno annunciato fino ai confini del mondo. La Chiesa custodisce questa testimonianza e ce la fa pregustare ogni giorno mediante i sacramenti e l’ascolto della Parola di Dio. La nostra adesione a questo dono gratuito comporta un cambiamento in noi, una crescita, qualcosa che vivifica le nostre relazioni familiari e lavorative, la nostra professione e le nostre passioni. La vita di tutti i giorni diventa perciò testimonianza di quella professione di fede. Ma non basta, riempiendoci dell’amore donato nella Parola e nei sacramenti siamo spinti a «uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo» (Francesco, Evangelii gaudium 20). Il tema della prossima edizione dei linguaggi del divino ci conduce dunque a scoprire questo cambiamento di prospettiva, questa crescita personale in diversi ambiti dell’umano, nel lavoro, nello studio, nell’arte, nella letteratura e la chiamata della Chiesa alla missionarietà. Questo è utile per interrogare noi stessi, comprendere se stiamo davvero rispondendo all’amore che ci è stato gratuitamente donato. Non solo il racconto di esperienze o la visione di opere d’arte ma anche i nudi dati sociologici su fede e indifferenza non devono entusiasmare o demoralizzare ma essere di stimolo alla testimonianza.
Di fronte alla indifferenza e alla stanchezza di questi giorni è perciò opportuno fare il proprio lavoro e affrontare i problemi di ogni giorno alla luce della Parola di Dio; forse molte volte certe nostre scelte non saranno capite e saranno in contraddizione con certe idee e mode ma è soprattutto tale testimonianza di fede e di amore che può far scaturire la domanda «aiutami nella mia incredulità».
*Alessio Biagioni (nato a Pistoia nel 1979) è seminarista della diocesi di Pistoia al terzo anno di formazione e alunno dell’Almo Collegio Capranica a Roma dove frequenta la Pontificia Università Gregoriana. È avvocato, regista di cortometraggi e appassionato di filosofia.
«Credo?» A ottobre la terza edizione dei linguaggi del divino
Il festival di teologia, che si svolgerà il prossimo ottobre in città, avrà per tema la domanda cruciale: “Credo?”
«Credo. Aiutami nella mia incredulità». Questa affermazione fragile ma colma di attesa, fiduciosa e consapevole allo stesso tempo, dà il titolo all’edizione 2019 de “i linguaggi del divino”, un evento giunto ormai alla sua terza edizione e che si configura come un vero e proprio festival di teologia.
La proposta di questa nuova edizione dei Linguaggi del divino offre l’opportunità di approfondire il tema del credere oggi con l’aiuto di figure di primo piano della riflessione teologica italiana. L’apertura del programma, prevista per il 5 ottobre alle 17, è affidata a monsignor Rino Fisichella, presidente del pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, che tratterà il tema “credere oggi”. La stessa sera, alle 20.30, Andrea Gambetta, produttore cinematografico, racconterà della sua esperienza a fianco di Wim Wenders, nella produzione del docufilm «Papa Francesco. Un uomo di parola» (Pope Francis – A Man of His Word, 2018).
Ricordiamo, tra i relatori la prof.ssa Cecilia Costa (10 ottobre ore 21) sociologa, nominata recentemente da papa Francesco consultore della segreteria generale del sinodo dei vescovi; don Luigi Maria Epicoco (venerdì 11 ottobre ore 17), lo scrittore Davide Rondoni (sabato 19 ottobre ore 10.30).
«Parlare del “credere” oggi – afferma il vescovo Tardelli – a dispetto di quanto sembrava dominare il pensiero qualche decennio fa, non significa affatto affrontare un tema marginale o del tutto secondario. Nel mondo plurale di oggi le dinamiche “credenti” custodiscono una evidente vivacità, non soltanto per le tensioni –purtroppo anche drammatiche – che hanno animato l’inizio del nuovo millennio, ma anche per le diverse “credenze” diffuse oggi: da quelle legate alle fake news, a quelle di una politica manipolatoria; da quanto si lega a temi più o meno attuali (ad esempio la polemica sui vaccini) ai diversi tipi di dieta (vegetarianesimo, veganesimo), fino agli orizzonti più incredibili (terrapiattisti, teorici del sospetto). Insomma, “credere” appartiene, forse anche nella sua forma più secolarizzata, all’uomo contemporaneo. Oggi il vero nemico del credere non è più l’ateismo militante o l’ideologia, ma l’indifferenza. Papa Francesco aggiungerebbe “la tristezza individualista” dell’uomo immerso nel mondo dei consumi, la “coscienza isolata” di chi resta sulla superficie delle realtà e delle relazioni».
Anche quest’anno gli eventi saranno ospitati in alcuni – unici – ambienti ecclesiali della città di Pistoia: la chiesa romanica di San Bartolomeo in Pantano, l’ex refettorio del convento di San Domenico con la sua splendida galleria di affreschi, la sala capitolare tardogotica del convento di San Francesco.
A fianco degli eventi ordinari è in programma lo spettacolo “Oltre me”, una performance completamente ideata e prodotta da un gruppo di giovani che “andrà in scena” il 19 e 20 ottobre nella suggestiva cornice del battistero di San Giovanni in Corte.
I dettagli del programma, le riflessioni, i materiali informativi dei singoli eventi saranno disponibili sul sito diocesano (ww.diocesipistoia.it) e sui nostri canali social.
Il vocabolario originario per “rinascere dall’alto”: «sentire/voce» (2)
Abbiamo chiesto ad alcuni giovani di proporre una riflessione sulle parole chiave del dialogo tra Gesù a Nicodemo. Un brano, contenuto nel terzo capitolo del Vangelo di Giovanni, in cui è possibile isolare un piccolo “vocabolario” di “spiritualità” da cui è stato preso spunto per le tematiche discusse nell’edizione 2018 de “i Linguaggi del divino – Rinascere dall’alto”.
Giulio Cecchi (21 anni), giovane studente di conservatorio propone la sua riflessione su: «sentire/voce».
“Sentire/voce”
L’ italiano attribuisce al verbo “sentire” diversi significati, ma il primo al quale pensiamo, di solito, è quello che fa riferimento all’ambito dell’ ascolto e del sistema uditivo: nella vita quotidiana, per lo più, associamo il verbo “sentire” solamente a uno stato di “percezione” uditiva (“riesci a sentirmi?”; “ho sentito un rumore”, etc.), mentre quasi mai questo termine include la presa di coscienza (intesa come razionale, ma anche e soprattutto come emotiva) che segue la percezione. Avviene quindi una scissione fra la semplice ricezione di un fenomeno e l’ effetto che ha sulla nostra emotività.
Il direttore d’ orchestra rumeno Sergiu Celibidache, in una sua lezione, parla di questa scissione, riferendosi all’ascolto musicale: il nostro sistema uditivo consente di farci “sentire” (inteso come “percepire”) le note e il ritmo, ma il “vero” sentire avviene a un livello più profondo di quello sensibile e si realizza quando si colgono gli intimi collegamenti fra i suoni, associandoli al ricordo di esperienze proprie del nostro vissuto. Tuttavia, questo è un processo impossibile da delineare empiricamente, dal momento che coinvolge più il nostro spirito che i nostri sensi, e per questo spesso, gli ascoltatori, anche esperti, smettono di usare la propria coscienza emotiva, riducendo l’opera musicale a una mera sequenza di note.
Qualcosa di analogo avviene nella vita “reale”: spesso capita di avere piena consapevolezza razionale di trovarsi in una certo luogo, o di parlare con una persona, ma la nostra mente sembra non riuscire a vedere in queste situazioni i significati emotivi che ci vengono sottilmente comunicati, e le circoscrive ad episodi a sé stanti, senza collegamenti l’una con l’altra. Resta, quindi, la nostra percezione della realtà, ma non si “sentono” i messaggi che questa invia al nostro io più profondo. Questa forma di apatia potrebbe essere definita con l’ espressione “lasciarsi vivere”, cioè non prendere parte, con la nostra emotività, alla vita.
Come riuscire a “sentire”? È una forma di sensibilità che viene sopita spesso dal nostro ego, che riduce la realtà che ci circonda a un terreno da sfruttare a nostro piacimento. Questo egoismo si manifesta subdolamente in un senso in particolare, quello della vista: vedere ci consente di identificare gli oggetti, ma identificandoli li separa da noi. Una volta averli riconosciuti come qualcosa di “diverso”, subito ci si sente autorizzati allo sfruttamento o, nel migliore dei casi, all’indifferenza. L’ascolto, invece, ne coglie l’emanazione, lo “spirito” che passa attraverso chi ascolta, in una forma di comunione. L’ascolto accoglie, non divide.
Una volta compreso il valore dell’ ascolto, si comprende anche quello della voce, e della parola detta: nel Paradiso, Dante viene interrogato sulle virtù teologali, non per verificare la sua saggezza (gli spiriti celesti leggevano il pensiero di Dante anche senza che parlasse), ma perché il poeta riconosceva la grande importanza della parola, non intesa come semplice veicolo di contenuti, ma come elemento che completa e dà forma al pensiero.
I conclusione, è grazie a questi due elementi, ascolto e parola, che si può sperimentare il “vero” sentire che coinvolge la nostra coscienza emotiva. Ed è a partire da questi che si può sperare di ritrovare il senso della spiritualità che, altrimenti, verrebbe annichilito dal mondo in cui viviamo.
Giulio Cecchi
i linguaggi del divino: un itinerario per ripercorrerli
È giunta al termine la seconda edizione dei linguaggi del divino, intitolata quest’anno “Rinascere dall’alto”. Un arco di incontri dedicati alla spiritualità nel desiderio di recuperare i contenuti chiave della spiritualità cristiana. Una spiritualità in dialogo con l’uomo contemporaneo, che si innerva nelle tensioni e nei luoghi “originari” dell’esperienza umana: la domanda di senso e il senso del tempo, la solitudine, il silenzio, la morte, il senso della liturgia e del rito, l’esperienza dello Spirito.
Ci preme esprimere almeno alcune considerazioni generali sull’andamento degli incontri. In primo luogo la risposta da parte del pubblico, che è stato vario e generalmente consistente. Accanto ad una platea più affezionata e abituale si sono aggiunte presenze esterne e nuove richiamate dai singoli relatori. In secondo luogo è stato bello rintracciare attraverso i diversi interventi una continuità significativa, non soltanto conseguenza della pertinenza al tema generale, ma anche per una generale “sintonia” accompagnata dalla sensibilità per una proposta non riservata agli “addetti ai lavori” bensì aperta e in dialogo con un pubblico vario. Infine attraversare la città in alcuni dei suoi luoghi più belli e carichi di storia come il Battistero, il convento di San Domenico, la chiesa e convento di San Francesco, ci sembra che abbia aiutato a sentirsi “in uscita”, se non altro “in movimento”, dentro e per la città, in spazi che, perduta la storica presenza di vita religiosa, chiedono di non disperdere o dimenticare la propria storia.
A conclusione di questa lunga e bella avventura, è doveroso ringraziare quanti si sono impegnati a realizzare gli eventi accanto all’Ufficio comunicazioni sociali e cultura e all’Ufficio per la pastorale sociale e il lavoro, in primo luogo la Curia diocesana, i volontari che hanno contribuito all’allestimento e alla gestione degli incontri, l’opera Spatha Crux, i padri Betharramiti di San Francesco, i Padri Domenicani e in particolare il padre provinciale Aldo Tarquini, il capitolo della Cattedrale, i seminaristi, Mariagela Montanari per le foto, Lorenzo Marianeschi per i filmati, Daniel Giusti per le riprese video. Un sentito ringraziamento per il contributo offerto da CONAD e per le piante ornamentali messe a disposizione da MATI piante.
Ricordiamo che tutti gli interventi sono disponibili online sul canale youtube diocesano
Di seguito proponiamo un piccolo itinerario attraverso gli interventi per ripercorrere la ricchezza che ci è stata consegnata.
Bernardo Gianni
Ha aperto la rassegna padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato al Monte giovedì 5 ottobre nel battistero di San Giovanni in Corte. Padre Bernardo, monaco olivetano molto noto a Firenze e dintorni, si distingue per la capacità di dialogare con vicini e lontani così come con l’arte e la letteratura. Il relatore ha infatti proposto una riflessione molto suggestiva, carica di echi letterari indicando il cielo, -nel segno del titolo della rassegna- come un «grembo di rinascita». È ancora possibile -si domandava- rinascere dall’alto laddove la contemporaneità avverte «la sterilità del cielo»? Una sterilità che è conseguenza di un uomo che si sente gettato nell’esistenza da una forza inafferrabile e disordinata. Anche l’incredulo, o l’inquieto Nicodemo di oggi, tuttavia può sentirsi collocato in una realtà più “grande”. «Noi tutti non siamo solo terrestri», «noi nati, noi forse ritornati, portiamo dentro una mancanza e ogni voce ha dentro una voce sepolta, un lamentoso calco di suono». Sono i versi di Mariangela Gualtieri (Cesena, 1951-) che padre Bernardo Gianni ha rilanciato nello spazio cavo e aperto del Battistero di Pistoia, quasi un grembo in cui posare e far crescere l’eco delle sue suggestioni.
La serata è stata accompagnata, quasi una traduzione visiva di una traiettoria spirituale, dalle foto in bianco e nero di Mariangela Montanari, originaria di Roma, abitante a Pistoia, oblata benedettina a San Miniato al Monte, cui ha dedicato il suo libro fotografico «Ubi amor, ibi oculus» (Polistampa, 2018).
Guidalberto Bormolini
Guidalberto Bormolini, monaco della comunità “i ricostruttori della preghiera”, ha proposto una riflessione sulla morte molto forte e coinvolgente. Il suo procedere ha preso spunto da una contemporaneità sempre più infastidita dalla morte, che tende drammaticamente a rimuovere o negare. Dall’indagine del reale padre Bormolini passa alla sapienza dei padri della Chiesa, ma anche ai frutti di un costante e personale lavorìo spirituale con cui ha scosso l’uditorio. D’altra parte la preparazione alla morte, ha ricordato Bormolini, è sempre stata presente nella storia millenaria dell’uomo sia attraverso l’orizzonte filosofico che quello religioso. Morte da pensare e ri-pensare, dunque, come compimento della vita, apertura ad un oltre, porta della vita. Rinascere dall’alto – concludeva Bormolini – per il pensiero cristiano significa entrare pienamente dentro questo oltre, per diventare, qui, ora, corpo di luce, di fuoco divino. È il cammino di divinizzazione che la trazione cristiana propone all’uomo stretto nella finitezza del suo essere.
Antonella Lumini
Antonella Lumini, eremita metropolitana di Firenze ha raccontato, con l’aiuto di Paolo Rodari, giovane vaticanista di Repubblica, la sua esperienza spirituale condotta, dopo un tempo di lontananza dalla fede, attraverso lunghi anni di ricerca. Un’esperienza che ha registrato una prima svolta in un momento luminoso di percezione “altra” di sé e delle cose create avvenuto sul nostro appennino pistoiese. Di lì in poi Antonella ha scoperto e percorso una via di solitudine e silenzio, pur dentro la vita “normale” di archivista della Biblioteca Centrale di Firenze. Il silenzio e il raccoglimento, li vive infatti nella sua casa, o meglio, in una stanza della sua abitazione di Porta Romana che, secondo la tradizione ortodossa, ha trasformato in pustinia, eremitaggio casalingo che ha anche il significato di “deserto”. Un deserto che ha sperimentato come luogo di ascolto e accoglienza dello Spirito. Lascia stupiti il modo semplice e dimesso di raccontare la sua vicenda e che segue un’urgenza dello Spirito emersa soltanto dopo venti anni di preghiera e ascolto.
L’incontro con Antonella Lumini è stato seguito dal documentario “Voci dal Silenzio”, un affresco sull’esperienza eremitica in Italia realizzato da due giovani registi, Joshua Wahlen e Alessandro Seidita. Un’esperienza visiva che incanta e porta lontano (o forse molto a fondo dentro di sé) nelle diverse esperienze di solitudine e contatto con la natura dove, pur nelle diverse sensibilità religiose e nei diversi stili di vita, emerge un contatto con le sorgenti originarie dell’essere.
Ermes Ronchi
Gli incontri dei Linguaggi del divino hanno poi proposto la riflessione di Ermes Ronchi, biblista molto apprezzato e anche noto volto della televisione per i suoi commenti al Vangelo. Padre Ronchi ci ha raccontato un Gesù in dialogo, sempre teso e interrogare e far interrogare l’uomo perché rintracci dentro di sé le attese del cuore, i quesiti di senso, i sogni profondi. «Ma cosa vive in te? Cosa muove la tua vita?»; il Gesù dei Vangeli – ha affermato Ronchi – «entra attraverso domande, più che attraverso proposizioni assertive». «Quali domande fanno vivere?», chiedeva padre Ronchi. «Le buone domande sono quelle del cuore» e «la domanda prima è: ma io sono contento? Mi piace la mia vita?». Ronchi ha tracciato l’umile via della domanda che attraversa i Vangeli e in particolare il Vangelo di Giovanni dall’inizio («Che cosa cercate?», Gv 1,38) alla fine («Mi vuoi bene?», Gv 21,17). Una via che rivela tutta l’arte dell’incontro propria di Gesù e mostra un volto di Dio che è forse un po’ diverso da come ce lo siamo sempre immaginati.
Andrea Monda
Andrea Monda, docente di religione cattolica presso i licei di Roma, scrittore e appassionato di letteratura e cinema ha raccontato la propria esperienza a contatto con gli adolescenti. Uno sguardo interessante sulla realtòà giovanile di oggi, che invita e non generalizzare, a uscire dalle categorie sociologiche per entrare nell’ascolto, offrire un tempo di disponibilità in cui è il racconto, anche della propria esistenza, che suscita interesse, coinvolge e apre al dialogo. Il mestiere del docente di religione – appuntava Monda- si configura sempre più come uno “sport estremo” in cui la prima difficoltà è superare e riagganciare un linguaggio laddove si sono perse le parole chiave del vocabolario cristiano o “spirituale”. Eppure, ricordava «in un’ora di lezione può cambiare la tua vita ..se accade un incontro», una realtà imprevista, incontrollabile, che chiede di essere «disarmati» e disponibili.
Gaetano Piccolo
Padre Gaetano Piccolo, con chiarezza di pensiero e una grande vivacità simpaticamente partenopea, ha offerto una sintesi sul discernimento a partire dalla tradizione gesuitica. Discernere – ha ricordato Piccolo – non fa primariamente rima con “scegliere”, ma con la capacità di rintracciare senso nelle vicende della propria esistenza. Piccolo, che è gesuita e docente di metafisica presso la Pontificia Università Gregoriana, ha ripresentato il vocabolario chiave del discernimento, segnato la differenza tra emozioni, sentimenti, pensieri per far comprendere l’importanza di prestare attenzione ..alla vita e di restare in ascolto della Parola di Dio. È impossibile, infatti, – ha ricordato Piccolo – che la Parola di Dio non ti faccia sentire niente. Domandati allora: «che cos’è che non vuoi sentire?». Tante le indicazioni –anche pratiche- per vivere il discernimento che Piccolo ha riassunto in un libretto di grande successo dal titolo emblematico: «Testa o cuore?. L’arte del discernimento».
Goffredo Boselli
Goffredo Boselli, monaco di Bose e liturgista, ha proposto la sua riflessione sulla relazione tra umanità e liturgia. Parlare di umanità in rapporto alla liturgia è possibile perché Dio stesso si è fatto uomo. Per cui occorre recuperare ciò che unisce la forma della rivelazione alla forma della celebrazione. La riforma del Vaticano II ha cercato di venire incontro a questa esigenza, proponendo forme rituali che non si allontanano dalle forme abituali della vita. «Se eliminiamo ciò che è più umano – ricordava Boselli – si toglie ciò che è più divino». La liturgia è in continuità con la forma della rivelazione ed è chiamata a essere Vangelo celebrato. «Solo una liturgia umana – ammoniva Boselli – sa centrare il centro della vita umana. Se non capiamo la vita non capiamo Dio». Boselli ha infine evidenziato un ultimo punto cruciale, cioè «l’umanità sofferente come criterio ultimo della liturgia». La liturgia, cioè, non può essere sottrazione o alienazione dal mondo e dall’umanità sofferente. La liturgia autentica può invece farci «crescere in umanità»: la «liturgia è una risorsa di umanità».
Basilio Petrà
Mons. Basilio Petrà, preside della facoltà Teologica dell’Italia Centrale, ha proposto una profonda riflessione sul tema “Che cos’è la vita nello Spirito?”. Uno Spirito con la S maiuscola, perché Spirito Santo. Un Spirito che non mortifica o diminuisce l’uomo, ma lo rende capace di essere se stesso. Lo Spirito ricevuto nel Battesimo – ricordava Petrà- ci introduce in una vita nuova e ci pone in una relazione differente con il mondo, ormai mediata dallo Spirito, che ci accoglie come un grembo materno dal quale imparare a percepire, conoscere e riconoscere. Lo Spirito, ricordava Petrà sulla scorta della tradizione orientale a lui particolarmente cara, ci rende icone viventi di Cristo: «è Lui il grande iconografo». La vita nello Spirito è un’esperienza che tutti i battezzati possono sperimentare. Petrà non ha mancato, dietro un fuoco di fila di domande da parte del pubblico, di evidenziare come un criterio per comprendere se davverso si vive nello Spirito è interrogarci se siamo capaci di amare i propri nemici. Una proposta esigente, ma concreta, con cui misurare l’azione dello Spirito che ci rende più umani.
Giordano Frosini
La conclusione degli incontri è stata affidata a Mons. Giordano Frosini, “padre” delle settimane teologiche pistoiesi e animatore culturale della nostra diocesi. Gli acciacchi dell’età non hanno spento la passione per la curiosità intellettuale, né la pungente capacità di mettere in crisi pensieri “addomesticati”, conformismi e apatie culturali. Il suo intervento è stato l’occasione per riascoltare la vivace proposta di una teologica fondamentale, capace di interpellare ogni uomo, credente o meno, che pure abbia il coraggio e la passione di interrogarsi e ragionare sui grandi temi che toccano l’uomo di ogni tempo: perché l’essere e non il nulla? Come leggere i Vangeli? Quali sono i bisogni e le attese fondamentali dell’uomo di oggi e di sempre? L’uomo nutre ancora “desiderio di infinito?”.
Giovannini, Letta, Santoro
Un ultimo appuntamento, a cura dell’Ufficio diocesano pastorale e sociale del Lavoro ha visto una tavola rotonda sui temi dell’impegno civile e politico, dell’economia e del lavoro che ha riscosso una notevole partecipazione da parte di numerosissime persone. La tavola rotonda, moderata dal giornalista Marco Damilano, direttore dell’Espresso, ha visto come protagonisti mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, delegato dalla Confenza Episcopale Italiana per i problemi sociali e del Lavoro, Enrico Letta, economista ed ex premier, Enrico Giovannini, economista ex presidente dell’Istat, fondatore dell’ASVIS (Agenzia per lo sviluppo sostenibile).
ugo feraci
I giovani, un futuro sostenibile, la dignità del lavoro e dell’uomo
Una tavola rotonda con Letta, Giovannini e mons. Santoro, vescovo di Taranto ha chiuso “i linguaggi del divino”.
Nella splendida cornice della Chiesa di S. Francesco, Lunedì 22 Ottobre, si è svolto l’ultimo evento della Rassegna 2018: una tavola rotonda su interessanti temi di attualità quali. L’impegno civile e politico e quello dell’economia e del lavoro, che -possiamo con soddisfazione affermare- ha riscosso una notevole partecipazione da parte di numerosissime persone.
La tavola rotonda, moderata dal giornalista Marco Damilano, direttore dell’Espresso, ha visto come protagonisti relatori di grande livello: mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, delegato dalla Conferenza Episcopale Italiana per i problemi sociali e del Lavoro, Enrico Letta, economista ed ex premier, Enrico Giovannini, economista ex presidente dell’Istat, fondatore dell’ASVIS (Agenzia per lo sviluppo sostenibile).
Il titolo scelto per l’incontro «Fa’ che non manchi mai il pane e il lavoro- L’impegno per un mondo più giusto» ha dato subito il senso dell’iniziativa stessa, iniziativa che ha trovato il suo fondamento nelle numerose indicazioni da parte del Magistero della Chiesa. In particolare abbiamo tenuto presente la 48° Settimana Sociale dei cattolici italiani tenutasi un anno fa a Cagliari.
La settimana sociale di Cagliari non è stato un convegno astratto, nè un punto di arrivo, ma un punto di partenza per la mobilitazione del “popolo cattolico”, chiamato ad operare una profonda “conversione culturale” allo scopo di trovare risposte ai bisogni urgenti della gente. In quella sede fu proprio lo stesso mons. Santoro a lanciare un forte appello, invitando i cattolici a riprendere la loro “leadership” nel «dibattito pubblico, sociale e politico» facendo leva sul potenziale costituito da tantissime competenze ed esperienze presenti nella comunità ecclesiale italiana e che vanno messe a servizio del “bene comune” e dell’interesse generale, in primis sulla “questione lavoro”. «I problemi economici – afferma il vescovo di Taranto – non sono una nicchia, ma costituiscono l’asse portante della nostra società che, come tale, non può essere lasciato in mano all’attuale modello di sviluppo, non può vedere assenti o insignificanti i cattolici: lavoro, famiglia, scuola, salute, ambiente, migranti, gli ambiti in cui la rilevanza pubblica dei cattolici deve svilupparsi, senza dimenticare mai l’opzione preferenziale per i poveri e l’attività caritativa».
La realizzazione di questo evento, voluto dalla diocesi di Pistoia all’interno de “I linguaggi del divino” è stata indubbiamente una importante occasione per conoscere meglio, avere una lettura più illuminata scaturita dal confronto con esperti qualificati. I temi trattati riferiti ai cambiamenti del mondo del lavoro, alla necessità di rimettere al centro del dibattito politico i temi dell’economia reale e del lavoro, nonché sull’impegno dei cattolici in politica, sono stati di evidente interesse, coinvolgenti e stimolanti in quanto riguardano la vita di tutti noi, il futuro delle nostre comunità.
Enrico Letta nel suo intervento ha messo costantemente l’accento sui giovani, offrendoci peraltro una “lettura” nettamente positiva e piena di speranza per il futuro. «In questi giovani, nei miei studenti ritrovo ogni giorno – ha affermato l’ex premier – quella stessa capacità di innovazione e creatività che hanno costituito il motore dello sviluppo del nostro paese. Se li guardo vedo soltanto un grande futuro per l’Italia e per l’Europa – e noi abbiamo la responsabilità di garantire loro una formazione di alto livello per affrontare al meglio le sfide del prossimo futuro».
Enrico Giovannini – portavoce Asvis (Agenzia per lo sviluppo sostenibile ) – associazione nata due anni e mezzo fa per diffondere la cultura della sostenibilità e la conoscenza dell’Agenda 2030 – ha messo in evidenza che, per quanto in alcuni ambiti si registrino dei passi avanti, se non si interviene con interventi coordinati e con azioni immediate e consistenti, sarà impossibile rispettare gli impegni presi dal nostro Paese. «Ciò che manca – ha spiegato Giovannini – è una visione coordinata delle politiche per costruire un futuro dell’Italia equo e sostenibile. Il confronto tra le forze politiche nelle ultime elezioni non si è svolto intorno a programmi chiari e con un orientamento in tal senso. Come Asvis – ha continuato – stiamo proponendo al governo almeno due misure urgenti e a costo zero: introdurre lo sviluppo sostenibile tra i principi fondamentali della nostra Costituzione e trasformare il Cipe in Comitato Interministeriale per lo Sviluppo Sostenibile. «Senza un’attenzione all’ambiente che ci ospita – ha ricordato – non potrà esistere un futuro di prosperità per nessuno».
«Dobbiamo riscoprire un rapporto diverso con il lavoro e con i lavoratori – ha affermato mons. Filippo Santoro – rimettendo al centro la persona e la sua dignità, addirittura prima di qualsiasi altra istanza, sia essa economica o tutela dei diritti». Il vescovo ha ricordato le parole pronunciate da Paolo VI nel corso della messa della notte di Natale del 1968, celebrata all’allora Italsider di Taranto: «Montini affermò che la Chiesa non condivide le passioni classiste, quando queste esplodono in sentimenti di odio e in gesti di violenza; ma la Chiesa riconosce, sì, il bisogno di giustizia del popolo onesto, e lo difende, come può, e lo promuove. E aggiunse: “non di solo pane vive l’uomo, dice la Chiesa ripetendo le parole di Cristo; non di sola giustizia economica, di salario, di qualche benessere materiale, ha bisogno il lavoratore, ma di giustizia civile e sociale”».
Selma Ferrali – Ufficio Pastorale Sociale e Lavoro
(foto di Mariangela Montanari)
Il vocabolario originario per “rinascere dall’alto”: «sentire/voce»
Abbiamo chiesto ad alcuni giovani di proporre una riflessione sulle parole chiave del dialogo tra Gesù a Nicodemo. Un brano, contenuto nel terzo capitolo del Vangelo di Giovanni, in cui è possibile isolare un piccolo “vocabolario” di “spiritualità” da cui è stato preso spunto per le tematiche discusse nell’edizione 2018 de “i Linguaggi del divino – Rinascere dall’alto”.
Arianna Candelli (20 anni), giovane studente di archeologia propone la sua riflessione su: «sentire/voce».
Sottile Voce di silenzio
Spesso si fa del suono svago, sollievo e passatempo. Con i pensieri dialogano la solitudine del cuore e la pace perduta che si fanno vive sulle labbra. Il nudo silenzio della propria essenza copriamo pudici col manto sfarzoso dell’eloquenza. Profonde incomprese verità si proferiscono in ogni dove e solide fortezze si innalzano maestose su friabile terreno. Come faremo, quindi, così vestiti ed arroccati nei nostri baluardi a sentire l’umile autentica Voce del vento farsi strada tra le fessure degli infissi e giungere a noi?
La sensibilità di cui siamo dotati per sentire non è semplice da affinare, e la parola, per mezzo della quale la Voce parla, è un’entità di per sé fragile. Non stupisce che Dio, infinito ed eterno difensore dei deboli, abbia scelto proprio questa piccola indifesa per rivelarvisi, penetrando in una realtà così delicata, in un mondo che pullula di voci e di rumori.
Nel capitolo 11 della Genesi i versetti 1-9 sono dedicati all’emblematico episodio della Torre di Babele e leggendone l’inizio troviamo scritto che, prima della dispersione degli uomini, tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Su quale fosse la lingua primigenia dell’umanità molti si interrogarono a lungo. Fra’ Salimbene de Adam da Parma, francescano del XIII secolo, nella sua Cronica ci racconta, a proposito di questo fatto, che l’Imperatore Federico II di Svevia, nel tentativo di venire a capo proprio di quel quesito, avrebbe fatto crescere alcuni bambini ordinando di non rivolger loro alcuna parola o vezzo. Non parlando con nessuno, purtroppo, questi piccoli morirono presto. Commenta Salimbene che i neonati «non potrebbero vivere senza quel batter le mani e senza quegli altri gesti, senza l’espressione sorridente dei volti e senza le carezze delle loro balie e nutrici». Esiste dunque un idioma primordiale? Sì. Si tratta di un linguaggio custodito nell’anima di ciascuno di noi che ci permette di sentire: quello dell’Amore, della tenerezza della madre per il figlio, di Dio per l’uomo. È la Sua Voce che siamo chiamati ad ascoltare, quella di Colui che nel donarci più di Se Stesso tutto ci dona. Ed ecco che l’esile parola, nel Suo Amore, si fa potente, energica, splendente di luce, codice e fonte di cultura e di speranza.
Accade, tuttavia, che talvolta in momenti di frenesia, debolezza, difficoltà e turbamento, i sensi dell’uomo siano annebbiati e non riescano più a ricordarsi come sentire. Espandiamo nell’etere il nostro io e nella dimensione della preghiera, spesso superbamente, pretendiamo di trovare facili risposte di conforto ai problemi presenti, ma Dio non ascolta le nostre parole se non quando è Lui stesso a plasmarle dalla nostra bocca. Conosce infatti ogni bisogno ancor prima che sia manifesto e nulla ottiene da Lui chi prega per il solo avere. L’uomo che non ha responsi immediati si sente abbandonato, escluso in questa circostanza di offuscamento, incapace di percepire la Voce del Signore che sussurra al cuore tenendoci per mano. Lì si è subito posto vicino ad ognuno, e sempre lì sarà ad accompagnarci nei mondi della vita terrena e celeste. Ci domandiamo dove Lui sia e dove ricercare la sua Voce quando non l’udiamo più. Forse ascoltando i flutti ondosi del mare, lo scroscio d’una cascata impetuosa, il crepitio d’una pioggia autunnale, lo scricchiolìo nei ghiacci invernali, il cinguettare del risveglio di primavera o il tuono nel cielo plumbeo?
Dio ha creato tutte queste meraviglie per i nostri sensi, ma la Sua Voce è spesso silenziosa e più difficile da percepire di ogni altra cosa. Per questo, come figli dell’Amore del Nostro Signore, immersi oggi più che mai in un tumulto continuo di discorsi, immagini e richiami diretti ed espliciti, dove il tempo e lo spazio per ciò che è invisibile agli occhi sono molto ridotti, dovremmo cercare di educarci ed educare, lasciandoci avvolgere fiduciosi dalla brezza del vento di Dio, a sentire la bellezza autentica del Divino Silenzio fine e leggero ove ogni parola si compendia. Arianna Candelli
nella foto: Edward Steichen, Moonlight: The Pond (1904)
“Fa’ che non manchi mai il pane e il lavoro”: a Pistoia si parla di futuro
Economia, sviluppo sostenibile, ecologia, dignità del lavoro saranno solo alcuni dei temi sviluppati nell’incontro di lunedì 22 ottobre.
Ospiti Mons. Santoro, vescovo di Taranto, Enrico Letta e Enrico Giovannini.
PISTOIA – «Chi viene escluso, non è sfruttato ma completamente rifiutato, cioè considerato spazzatura, avanzo, quindi spinto fuori dalla società. Non possiamo ignorare che una economia così strutturata uccide perché mette al centro e obbedisce solo al denaro: quando la persona non è più al centro, quando fare soldi diventa l’obiettivo primario e unico siamo al di fuori dell’etica e si costruiscono strutture di povertà, schiavitù e di scarti».
Queste parole di Papa Francesco ispirano e sintetizzano lo spirito dell’incontro del prossimo 22 ottobre organizzato dalla diocesi di Pistoia intitolato “Fa’ che non manchi mai il pane e il lavoro, l’impegno per un mondo più giusto”. L’evento – che chiuderà la rassegna “I linguaggi del divino” – conta su ospiti d’eccezione: Enrico Letta, Enrico Giovannini, Mons. Filippo Santoro, coordinati da Marco Damilano, direttore de L’Espresso. Gli ospiti daranno vita a una tavola rotonda di altissimo livello sui temi lavoro e dignità, disuguaglianze, sviluppo sostenibile ed economia.
Nel corso della serata gli ospiti saranno chiamati a dibattere su questioni d’attualità: dalla situazione dell’economia e del mondo del lavoro, alla riflessione sugli attuali modelli di sviluppo e sul loro impatto ambientale; dal rapporto dei cattolici con la politica, al necessario investimento nei giovani e nel loro attaccamento alla “cosa pubblica”.
Proprio in Pistoia, nel 1907, nascevano le settimane sociali dei cattolici, che tanto hanno dato all’elaborazione culturale, politica e sociale italiana. In questo tempo così complicato per la vita del nostro paese, da Pistoia nasce nuovamente uno spunto di riflessione profonda sull’impegno – serio e formato – dei cattolici nelle sfide che concorrono alla costruzione di un futuro migliore per la nostra casa comune.
L’appuntamento è per lunedì 22 ottobre alle 17 a Pistoiapresso la chiesa di San Francesco (Piazza S. Francesco d’Assisi).