Quaresima, tempo di conversione. Il messaggio del vescovo Tardelli

«Convertitevi e credete al Vangelo!».

Con questo invito pressante del Signore inizia la Quaresima. L’austero rito dell’imposizione delle ceneri accompagnato dalle parole del Vangelo, ci fa capire che il tempo speciale della Quaresima chiede impegno, ascolto attento della parola di Dio perchè risuoni feconda nella nostra vita, disponibilità a lasciarsi cambiare il cuore e occhi vigili per accorgersi delle persone che ci stanno accanto.

“Convertirsi” infatti dice innanzitutto apertura all’azione di Dio in noi; significa lasciarsi interrogare in profondità su ciò che stiamo facendo ma ancor più su ciò che siamo per davvero e su quanto l’amore impasti realmente la nostra vita; è non aver paura che la luce penetri nelle nostre interiori zone d’ombra dove il compromesso col male si fa abitudine.

Non vuol dire però tormentarsi l’anima e guastarsi la gioia del vivere, tutt’altro:

convertirsi è soprattutto scoprire di essere amati per come siamo e sentirsi spronati a vivere come uomini nuovi da Colui che ci rimprovera solo con il troppo amore con cui ci ama. La conversione non nega la vita: la fa piuttosto fiorire, perché la libera dalle catene dei nostri vizi.

Così la Quaresima diventa per tutti noi e per la famiglia riunita in preghiera, tempo speciale dove s’impara ad aiutarci nella conversione, riconoscendoci tutti in cammino, bisognosi di perdono reciproco, ma tutti accolti dalle braccia aperte di Cristo sulla croce.

La Quaresima prepara in questo modo la Pasqua quando potremo cantare a squarciagola l’alleluia del Risorto.

+ Fausto Tardelli,vescovo


Anche quest’anno il tempo di preparazione alla Pasqua sarà scandito dalle stazioni quaresimali guidate dal vescovo Fausto Tardelli. Le liturgie stazionali percorreranno le strade del centro storico cittadino di Pistoia muovendosi processionalmente da una chiesa all’altra, manifestando anche pubblicamente, il percorso penitenziale di preghiera e ascolto della chiesa pistoiese.

Pubblichiamo di seguito il programma delle Stazioni, arricchito, anche quest’anno, dalle 24 ore per il Signore, una giornata di adorazione eucaristica e disponibilità per le confessioni che sta diventando tradizione.

Mercoledì 6 marzo ore 9,30
Le Ceneri – In Cattedrale: Messa presieduta dal Vescovo

Venerdì 15 marzo ore 21
Processione dal Battistero
Messa nella Chiesa di San Giovanni Fuorcivitas

Venerdì 22 marzo ore 21
Processione dalla Madonna del Soccorso
Messa nella Chiesa di San Bartolomeo

Venerdì 29 marzo
Chiesa di San Paolo
24 Ore per il Signore
ore 18: Adorazione Eucaristica
ore 21: Messa e Confessioni

Venerdì 5 aprile ore 21
Processione dalla Chiesa della Misericodia
Messa nella Chiesa di San Paolo

Venerdì 12 aprile ore 21
Processione dalla Chiesa del Carmine
Messa nella Chiesa di Sant’Andrea

Sabato 13 aprile ore 17,30
Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola
Benedizione dell’ulivo e processione verso la Cattedrale
ore 18,00: Messa




Quale stella guida la tua vita?

Nelle parole del vescovo per l’omelia dell’Epifania una pista per fare discernimento e diventare cristiani «più buoni, non più inveleniti e rabbiosi»

Riportiamo di seguito il testo integrale dell’omelia di mons. Tardelli per la solennità dell’Epifania.

 

L’arrivo dei cosiddetti magi alla grotta di Betlemme, episodio che abbiamo ascoltato ora nel Vangelo dell’Epifania, rende immediatamente chiaro il messaggio della festa odierna: tutti i popoli sono chiamati a lasciarsi illuminare dalla luce del Signore apparsa a Betlemme e a formare una sola grande famiglia unita nell’amore già su questa terra, segno e prefigurazione della comunione eterna del cielo.

I personaggi di cui si parla, vengono dal lontano oriente. Non sono ebrei. La tradizione li rappresenta di razze diverse. Le parole ascoltate dal profeta Isaia e dall’apostolo Paolo sono molto chiare. Il profeta Isaia vede come in un sogno camminare alla luce di Dio i popoli della terra; popoli che vengono da lontano e vanno verso Gerusalemme, la città santa. «Cammineranno le genti alla luce che risplende sulla città del Signore» – dice il profeta, e prosegue: «I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio». San Paolo da parte sua, afferma con ancor più chiarezza: «Le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo, ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo».

Nel messaggio che viene dalla festa di oggi, è dunque ben evidente questa verità: Dio è venuto sulla terra per illuminare la coscienza di ogni uomo e perché ogni uomo, alla sua luce, ritrovi la retta via, la via della giustizia, del bene e della pace e, per questo tutti gli uomini sono accomunati da un identico destino di gloria.

Sembrano una cosa semplice a dirsi ma in realtà pare davvero molto difficile a tutti noi accettarla e vivere di conseguenza. Perché se Dio è venuto sulla terra per illuminare la coscienza di ogni uomo e perché ogni uomo, alla sua luce, trovi la retta via, la via della giustizia, del bene e della pace e così formare un’unica famiglia umana, di fronte a una tale affermazione, viene subito da domandarci se effettivamente siamo disposti a lasciarci illuminare dal Signore Gesù o se invece tiriamo avanti la nostra vita come se lui non ci fosse e non avesse a che fare niente con essa. Spesso e volentieri mi pare che, proprio noi cristiani, ragioniamo, pensiamo e agiamo o come ci viene d’istinto, o come la rabbia, il risentimento o desideri tutti materiali ci muovono, o come l’imbonitore di turno, politico, guru, potente o divo che sia, ci spinge ad agire; oppure come ancora i vari mezzi di comunicazione ci suggeriscono. Alla fine, la nostra luce, la stella che guida il nostro cammino, non è il Signore. E’ invece una falsa luce che ci porta alla rovina.

Stiamo attenti allora, fratelli e sorelle carissimi! Cerchiamo di essere vigilanti e attentamente critici su tutto quello che ci viene detto o propinato e vigiliamo anche sui desideri che portiamo dentro di noi. La nostra unica luce deve essere il Signore e la sua luce ci deve portare ad essere più buoni, non più inveleniti e rabbiosi. Qui troviamo infatti un criterio di discernimento fondamentale per capire se stiamo cercando di farci illuminare solo dal Signore o se invece ci siamo affidati a false luci e false stelle. Se cresce in noi la lode e la gratitudine a Dio e la voglia di obbedire ai suoi comandi; se nel nostro cuore cresce l’amore verso tutti, anche verso i nemici; se cresce in noi la voglia di abbracciare ogni persona e il desiderio che ogni essere umano sia felice; se, nonostante tutti i nostri peccati e debolezze, sentiamo l’attrazione di ciò che è buono, bello e vero e ci spingiamo a cercarlo e sempre di più; beh, allora stiamo sicuramente cercando di farci illuminare dalla luce di Cristo; e stiamo seguendo quella stella che seguirono anche i magi d’oriente. Non siamo per niente arrivati è chiaro, ma siamo sulla strada.

Ma se invece dentro di noi cresce il risentimento, la rabbia, l’invidia; la voglia di mandare gli altri a quel paese; se cresce in noi l’indifferenza, la voglia di goderci la vita a scapito di tutto e tutti; se sentiamo crescere in noi la paura degli altri, la voglia di tenerli lontani da noi, di respingerli, di sfruttarli ai nostri fini; se infine ci allontaniamo sempre più da Dio e dalla Chiesa, magari giustificandoci con mille ragioni… ebbene, se così è, è abbastanza evidente che non ci stiamo facendo illuminare dalla luce di Cristo ma da qualcosa che forse brilla, ma che è una falsa luce, che ci porterà irrimediabilmente all’infelicità, all’insoddisfazione totale e a costruire una società infernale.

Voglio allora concludere allora, carissimi fratelli ed amici, invitando tutti a metterci davanti al bambino Gesù ancora una volta; ad andare da Lui con umiltà e devozione, come fecero i magi d’oriente, per offrire a Lui non incenso, oro e mirra, ma il dono della nostra libera volontà, e del nostro impegno sincero a lasciarci illuminare ogni giorno solo e soltanto dalla luce che viene dal Signore, da Lui che è la luce del mondo, il nostro sole, Lui che è via, verità e vita.

+ Fausto Tardelli




La buona politica per la pace. Le parole di mons. Tardelli alle autorità civili della diocesi

Martedì 1 gennaio, presso la Chiesa di San Leone, mons. Tardelli ha consegnato ai sindaci del territorio diocesano e alle altre autorità civili il messaggio per la 52 Giornata Mondiale della Pace di Papa Francesco. Mons. vescovo ha rivolto ai presenti un discorso di presentazione del messaggio che pubblichiamo di seguito per intero. Alle ore 18 ha quindi presieduto l’eucarestia della solennità di Maria SS. Madre di Dio in Cattedrale.

 

1° gennaio 2019

Discorso in occasione della consegna del messaggio per la 52 giornata mondiale della Pace – Chiesa di San Leone (Pistoia)

 

Buon pomeriggio e buon anno.

Ringrazio di cuore per aver accettato il mio invito ed essere qui a ricevere per le mie mani, il messaggio di Papa Francesco in occasione della giornata mondiale della pace che ha come titolo: «La buona politica è al servizio della pace».

Questo mio invito è stato motivo di qualche polemica e c’è chi ha ritenuto di non poterlo accettare. Me ne dispiaccio e rispetto le scelte e le opinioni di ognuno e non voglio entrare – perché non mi compete – in questioni di carattere politico – partitico. Mi permetto soltanto di fare due precisazioni, che ho già avuto modo di esprimere in privato a chi mi aveva scritto. La prima è che il mio era ed è un invito alla riflessione, niente di più. Il messaggio del Papa del resto vuole essere esattamente questo: una occasione di riflessione e di confronto. Cosa quanto mai necessaria oggi, quando assistiamo a un modo di affrontare i problemi più a livello emotivo che razionale e ponderato. Mi pare che anche il nostro Presidente della Repubblica ieri sera abbia auspicato un clima di comunità e di attenzione reciproca. Sono fermamente convinto anch’io, che proprio di questo ci sia bisogno oggi, per poter affrontare i complessi problemi che sono davanti a tutti e che richiedono pertanto pazienza, tenacia, confronto rispettoso e approfondito e – come mi piace chiamarlo – il coraggio del pensiero pensante.

La seconda precisazione riguarda il rapporto tra Chiesa e politica. Sono necessarie distinzioni e chiarificazioni. Trovo illuminanti le parole della Congregazione della Dottrina della fede che nel 2002 emanava una Nota Dottrinale su «L’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica» (n.3): «Non è compito della Chiesa formulare soluzioni concrete — e meno ancora soluzioni uniche — per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero e responsabile giudizio di ciascuno, anche se è suo diritto e dovere pronunciare giudizi morali su realtà temporali quando ciò sia richiesto dalla fede o dalla legge morale… La legittima pluralità di opzioni temporali mantiene integra la matrice da cui proviene l’impegno dei cattolici nella politica e questa si richiama direttamente alla dottrina morale e sociale cristiana. È su questo insegnamento che i laici cattolici sono tenuti a confrontarsi sempre per poter avere certezza che la propria partecipazione alla vita politica sia segnata da una coerente responsabilità per le realtà temporali».

In questa precisa prospettiva si muove anche il messaggio di Papa Francesco per il capodanno 2019, quando afferma che la buona politica è al servizio della pace.

 

Fatte queste doverose precisazioni, passerei ora alla consegna del messaggio ai rappresentanti delle istituzioni e della politica qui presenti. Tutti gli altri potranno al termine dell’incontro prendere il testo del messaggio che è a disposizione. Dopo la consegna, cercherò brevemente di presentare il messaggio papale, lasciando poi spazio a chi intenderà dare il suo saluto o esprimere qualche considerazione in merito. Concluderemo con lo scambio degli auguri per il nuovo anno e una foto ricordo.  Chi vorrà potrà quindi partecipare in Duomo alla S. Messa per la pace che celebrerò alle ore 18.

L’augurio di Pace che il Papa rivolge al mondo, ogni primo dell’anno, si riallaccia direttamente all’annuncio degli angeli ai pastori di Betlemme: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore. La pace è il dono del Natale a tutti gli uomini. La pace, del resto, è una delle aspirazioni più profonde dell’uomo e sicuramente ogni uomo e ogni popolo desidera vivere in pace. Se da una parte, la pace piena e profonda dell’uomo può venire soltanto dalla misericordia di Dio che ci libera dal peccato e ci fa entrare nella comunione con lui, dall’altra questa stessa pace ha bisogno di essere accolta da ciascuno di noi e di trovarci attivi nel costruirla, già su questa terra. Come ama dire spesso Papa Francesco e come ripete anche nel messaggio di quest’anno, «oggi più che mai, le nostre società necessitano di artigiani della pace» perché «ognuno può apportare la propria pietra alla costruzione della casa comune».

Nel messaggio, il Santo Padre si sofferma a considerare che la politica, quando è “buona”, è un «veicolo fondamentale per costruire» la pace. Anzi, essa è “buona” quando costruisce la pace e costruendo la pace, è anche una «forma eminente di carità» cristiana. Prima di addentrarmi un poco nel testo – è scontato dirlo ma è bene ricordarlo: il Papa non scrive soltanto per l’Italia ma per il mondo intero.

Sottolineando l’importanza della politica per la costruzione della pace, il Santo Padre ci ricorda che la pace «si basa sul rispetto di ogni persona, qualunque sia la sua storia, sul rispetto del diritto e del bene comune, del creato che ci è stato affidato e della ricchezza morale trasmessa dalle generazioni passate»; che essa è «frutto di un grande progetto politico che si fonda sulla responsabilità reciproca e sull’interdipendenza degli esseri umani e che è una sfida che chiede di essere accolta giorno dopo giorno». Come uomini, prima ancora che come politici. Perché la pace è innanzitutto – è bene evidenziarlo – «una conversione del cuore e dell’anima» che si snoda in tre fondamentali capitoli: pace con se stessi; pace con l’altro; pace con il creato. Tre capitoli che chiamano in causa direttamente ciascuno di noi e chiedono di metterci in discussione nel profondo della coscienza.

La “buona politica” di cui il Papa parla è quella che è al servizio della pace e che promuove la partecipazione dei giovani, a cui è affidata la speranza di un mondo di pace, e la fiducia nell’altro, cemento indispensabile del vivere in pace. Essere al servizio della pace è dunque il “discrimen” che il Papa pone per l’impegno diretto in politica; il criterio di discernimento. Se non si ponesse al servizio della pace non sarebbe una buona politica.

La “buona politica” però la fanno gli uomini e le donne, che allora debbono unire  virtù umane come il senso della giustizia, l’equità, il rispetto, la sincerità, l’onestà, la fedeltà a quelle “beatitudini” che il Papa cita dal Cardinale vietnamita François-Xavier Nguyễn Vãn Thuận, morto nel 2002, che è stato un fedele testimone del Vangelo: Beato il politico che ha un’alta consapevolezza e una profonda coscienza del suo ruolo. Beato il politico la cui persona rispecchia la credibilità. Beato il politico che lavora per il bene comune e non per il proprio interesse. Beato il politico che si mantiene fedelmente coerente. Beato il politico che realizza l’unità. Beato il politico che è impegnato nella realizzazione di un cambiamento radicale. Beato il politico che sa ascoltare. Beato il politico che non ha paura.

 

Tutto bene allora? No certo. Il Santo Padre non si nasconde i “vizi” della politica, nella drammatica consapevolezza che essa può «diventare strumento di oppressione, di emarginazione e persino di distruzione». I vizi della politica tolgono credibilità ai sistemi entro i quali essa si svolge, così come all’autorevolezza, alle decisioni e all’azione delle persone che vi si dedicano. Tali vizi creano sfiducia nella popolazione, alimentano la paura e il senso di insicurezza, creano barriere tra le persone e fanno diventare la società – mi vien da dire – una giungla.

Quali sono questi “vizi”? Il Papa li elenca: la corruzione – nelle sue molteplici forme di appropriazione indebita dei beni pubblici o di strumentalizzazione delle persone –, la negazione del diritto, il non rispetto delle regole comunitarie, l’arricchimento illegale, la giustificazione del potere mediante la forza o col pretesto arbitrario della “ragion di Stato”, la tendenza a perpetuarsi nel potere, la xenofobia e il razzismo, il rifiuto di prendersi cura della Terra, lo sfruttamento illimitato delle risorse naturali in ragione del profitto immediato, il disprezzo di coloro che sono stati costretti all’esilio, atteggiamenti di chiusura o nazionalismi che mettono in discussione quella fraternità di cui il nostro mondo globalizzato ha bisogno. “Vizi” questi, dai quali occorre preservarsi e liberarsi.

Il ricordo infine dei cento anni dalla fine della prima guerra mondiale e del settantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, offrono al Papa l’occasione di ricordare a tutti da una parte, come «l’escalation in termini di intimidazione, così come la proliferazione incontrollata delle armi siano contrarie alla morale e alla ricerca di una vera concordia e dall’altra, citando San Giovanni XXIII°, che «Quando negli esseri umani affiora la coscienza dei loro diritti, in quella coscienza non può non sorgere l’avvertimento dei rispettivi doveri».

Ecco la mia parziale e limitata presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco. Ognuno, dalla sua personale lettura potrà trarre molti altri spunti di riflessione e di confronto.

 

+ Fausto Tardelli, vescovo




«Riconosci, cristiano, la tua dignità» : l’omelia del vescovo Tardelli per il giorno di Natale

25 dicembre 2018

Solennità del Natale
Messa del Giorno

Nell’orazione cosiddetta colletta con la quale, dopo il canto del gloria, ho dato inizio alla celebrazione odierna del Natale, si trova racchiuso in sintesi, non solo il messaggio del Natale ma ciò che esso è. Così infatti ho pregato: «O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana».

Duemila anni fa, il Figlio unigenito di Dio, ha voluto assumere la nostra natura umana. Così si dice. Il Verbo, cioè la parola di Dio, si fece carne e venne ad abitare tra di noi, ci ha annunciato San Giovanni nel Vangelo.

Questo è il fatto; questo è l’evento che noi riviviamo; questo è ciò che è accaduto a Betlemme tanti secoli fa. Una novità assoluta nella storia. Perché introduce in essa qualcosa di inaudito: Dio stesso. La storia è fatta dagli uomini ed è il frutto delle loro scelte. Nel bene o nel male, sono gli uomini a determinare gli eventi della storia. Essa è, potremmo dire, affare di uomini. Ma col Natale non è più così!

Il vagito del piccolo bambino di Bethleem segna una novità assoluta dentro la storia degli uomini: Dio ora non è più all’origine del mondo, causa di esso, al di fuori di esso. Ora egli è nel mondo. È entrato personalmente come uomo nella storia e questa, dunque, non è più ormai soltanto storia di uomini, irrimediabilmente votati all’odio e alla morte, ma è storia di uomini e di Dio, dove Dio è attore e partecipe, che assicura un destino di bene dell’umanità e la sconfitta del male, dando la possibilità a chi liberamente lo accoglie, di edificare un regno di pace e di giustizia, di vivere una vita nuova nell’amore, liberi dal peccato e dal male, gioiosi nella carità e lieti nella speranza.

Questo fatto, cioè il Natale del Signore, come abbiamo pregato nell’orazione della Messa di quest’oggi, viene a rinnovare a redimere l’umanità, la nostra natura umana, noi uomini. Noi che, pur creati a immagine e somiglianza di Dio, abbiamo deturpato questa immagine col peccato, con la disobbedienza alla legge d’amore del Signore. L’uomo è stato creato da Dio ed è una cosa straordinaria. Se noi esistiamo e possiamo gustare la vita è perché Dio ci ha messo al mondo, ci ha voluti partecipi della vita e creandoci ci ha donato una dignità straordinaria, quella di essere a immagine e somiglianza sua. Ma l’uomo – e la storia è lì a dimostrarlo – non ha saputo far tesoro del dono ricevuto e ha deturpato in sé e negli altri l’immagine bella di Dio impressa in ciascun uomo. È così allora che la morte e ogni nefandezza è entrata nel mondo e la terra ha cominciato ad assorbire sangue innocente versato per l’odio tra fratelli.

La nascita di Dio nella carne, viene a cambiare le cose, a restaurare la dignità dell’uomo, a liberare cioè l’uomo dalle catene del male, a rinnovare l’uomo nell’amore, rialzarlo ed elevarlo oltre lo stato creaturale e farlo addirittura Figlio suo, partecipe della sua vita, della sua luce e del suo amore.

Ecco perché l’orazione colletta prega, supplica Dio perché ognuno di noi, proprio a seguito della nascita di Gesù, possa condividere la vita divina del Figlio di Dio con tutto ciò che ne consegue nella vita di ogni giorno. E nell’ufficio delle letture di questo giorno, San Leone Magno, grande Papa e dottore della chiesa del V° secolo, giustamente ci invita: «Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricordati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro. Ricordati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio. Con il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio».

Con queste parole antiche ci viene esplicitato proprio quanto nella orazione della Messa abbiamo chiesto: poter condividere la vita divina di Gesù. Dunque una vita piena di amore, liberata dal giogo del peccato, gioiosa nel dono di sé, perfetta nella carità misericordiosa verso il prossimo in specie i più poveri.

Certo è che, mentre preghiamo Dio di poter condividere la vita divina del Cristo, dobbiamo nello stesso momento mettere, con un deciso impegno, la nostra parte, dobbiamo fare la nostra parte perché, come dice un altro grande padre della chiesa, S. Agostino, «Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te» (Sermo CLXIX, 13); senza cioè la nostra libera adesione, la nostra chiara disponibilità a percorrere la via che Cristo stesso ci ha indicato.

Ed è a questo punto che giungono a noi come un severo monito le parole evangeliche ascoltate poco fa: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di Lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto». Il Natale del Signore allora, da festa ed esultanza si trasforma in dramma. Dramma che le luci artificiali e i trucchi di una falsa gioia non riescono a nascondere, facendo diventare il Natale una vera tristezza che deprime e disgusta. Ciò accade per l’appunto quando Dio non trova posto nella nostra vita o sta sempre e soltanto all’ultimo posto; quando trasgrediamo tranquillamente la legge di Dio, pensando così di essere più liberi e furbi. Ciò accade ancora quando poco ci curiamo della nostra vita interiore e non la alimentiamo con la divina parola e i santi Sacramenti; ciò succede inoltre quando ci lasciamo dominare dall’indifferenza nei confronti degli altri, chiudiamo il nostro cuore al prossimo, in specie a chi più è nel bisogno, disprezziamo e offendiamo gli altri e ci lasciamo prendere da sentimenti xenofobi, antisemiti o razzisti. A quanti però accolgono Dio e si lasciano convertire dal suo amore, testimoniando questo amore nel servire con gioia i fratelli, Dio da – come dice l’apostolo Giovanni nel prologo del vangelo – il potere di diventare figli suoi.

Preghiamo allora davvero con fede, con impegno, in questo preciso momento, facendo nostra l’orazione di questa santa Messa di Natale: «O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana». Amen.

+ Fausto Tardelli

 




Natale 2018: gli auguri del vescovo Tardelli

Auguri di Natale 2018

Alla città e a ogni uomo e donna che vivono in queste terre

Il Natale è una festa cristiana ma non è per i soli cristiani. È per tutti. La nascita di Dio nella carne infatti, dice cose importanti al mondo: che ogni uomo è grande agli occhi di Dio, qualunque sia la sua condizione sociale, la cultura o il colore della pelle; che ogni essere umano fa parte di una umanità chiamata ad essere un’unica famiglia; infine che ogni persona può essere migliore, essere liberata dal proprio egoismo e aprirsi all’altro da sé. Un messaggio questo, non scritto su un libro o insegnato come una dottrina, ma incarnato in un concreto bambino a Betlemme di Giudea duemila anni fa.

Alla città di Pistoia, auguro che sia sempre di più all’altezza della sua bellezza. Che risplenda come una città di pace che crede nel dialogo come via per affrontare e risolvere i problemi e che non sia mai sorda o indifferente nei confronti di chi soffre. Mi auguro che ci sia più lavoro, lavoro per tutti e lavoro dignitoso, giusto. Auguro alla città uno sviluppo vero e consistente e a chi l’amministra, il coraggio di cercare solo e soltanto, in sincerità di coscienza, il bene comune.

A tutti indistintamente gli abitanti di questa terra, va inoltre il mio augurio di Buon Natale. Un pensiero particolare lo rivolgo ai tanti nostri anziani in casa in famiglia o a volte soli. E ancora a tutti i malati che sono in ansia per la propria salute e devono sottoporsi a cure impegnative. Penso anche a chi ha perso il lavoro o non riesce a trovarlo, come ai tanti fratelli immigrati che sono venuti tra noi a cercare speranza. Infine, voglio rivolgere un augurio speciale ai ragazzi e ai giovani, spesso vittime innocenti della nostra cattiva società.

Pace di cuore a tutti. Pace interiore e profonda. Pace che si estende alle relazioni sociali, al vicinato, alle contrade, all’intera città. Quella pace che gli angeli annunciarono ai pastori di Betlemme: «Gloria a Dio nell’altro dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore».

+ Fausto Tardelli,
vescovo

 




La visita del vescovo all’ospedale san Jacopo

Lunedì 17 dicembre mons. Tardelli ha incontrato i degenti dell’ospedale e i volontari della Cappellania ospedaliera.

 

«Sto alla Porta!» (Ap 3,20) È alla luce di questa parola del libro dell’Apocalisse che abbiamo vissuto la visita del nostro vescovo in ospedale; una visita sempre attesa, gradita e significativa.

Prima di recarsi dagli ammalati il vescovo ha salutato il personale ospedaliero e i volontari della Cappellania esortandoli ad essere pronti e disponibili al prossimo sofferente che “bussa” alla porta del nostro cuore.

Mons. vescovo ha insistito sull’atteggiamento di “umanità” verso il malato, il sofferente, la persona anziana: anche i più sofisticati strumenti tecnologici non riusciranno mai a comunicare quel calore umano che il prossimo bisognoso attende! Cristo, d’altra parte, si è sempre accostato alle persone con parole e gesti di tenerezza. Nella preghiera celebrata insieme abbiamo riflettuto sulla lettera indirizzata alla chiesa di Laodicea (Ap  3,14-22): una chiesa, «nè fredda, nè calda», bisognosa quindi di essere scossa e risvegliata: «sii zelante e convertiti, ecco sto alla porta e busso…».

Papa Francesco insiste tanto sulla necessità di una chiesa in “uscita”, non ripiegata su se stessa, non asfittica! Il Natale ci ricorda che Dio è uscito da se stesso, dal suo paradiso per farsi incontro alla nostra umanità. «Vieni a liberarci, noi siamo sempre più schiavi: e dunque vieni sempre, Signore!» (D. M. Turoldo)

Il vescovo, recandosi in alcuni reparti dell’ospedale, ha portato una parola di conforto, un sorriso, una carezza, una benedizione ai pazienti, lasciando loro la bella immagine della “Madonna dell’Umiltà”, con l’augurio di sentirla sempre vicina come Madre tenerissima.

Cappellania Ospedaliera di San Jacopo – Padre Natale Re




Natale 2018 : le celebrazioni con il vescovo Tardelli

La memoria annuale della nascita del Salvatore e delle sue prime manifestazioni costituisce per la Chiesa, dopo la rievocazione del mistero pasquale, la celebrazione liturgica più importante e come tale esige un’intensa e consapevole partecipazione dell’intera comunità cristiana.

Particolare significato assumono le celebrazioni presiedute dal vescovo il quale, unito ai fedeli nella liturgia, simboleggia l’unità nella carità del Corpo Mistico che è la Chiesa.

Ricordiamo che il S.E. Mons. Fausto Tardelli celebrerà:

Lunedì 24 dicembre 2018

ore 23.30 : Veglia e Messa della Notte di Natale

Martedì 25 dicembre 2018

ore 10.30 :  Messa Pontificale presieduta nel Giorno del Natale del Signore; Benedizione Papale con Indulgenza Plenaria

 

Ricordiamo anche le seguenti celebrazioni di tempo di Natale in Cattedrale:

Lunedì 31 dicembre 2018

ore 18.00 : Messa presieduta da Mons. Vescovo nella Solennità di Maria Madre di Dio – Canto del Te Deum di ringraziamento al termine dell’anno civile.

Martedì 1 gennaio 2019

ore 18:00 : Messa nella Giornata Mondiale della Pace presieduta da Mons. Vescovo

Domenica 6 gennaio 2019

ore 10.30 :  Messa Pontificale presieduta da Mons. Vescovo nella Solennità della Epifania del Signore

Domenica 13 gennaio 2019

ore: 18.00 : Messa Pontificale presieduta da Mons. Vescovo con Rito di ordinazione diaconale di Alessio Bartolini, Eusebiu Farcas del Seminario Vescovile di Pistoia e fratel Antonio Benedetto Sorrentino della Fraternità Apostolica di Gerusalemme.

 




Questi tempi difficili: lettera del vescovo alla Diocesi

Il vescovo si rivolge al popolo di Dio in una lettera scritta a margine delle indicazioni per il prossimo anno pastorale, parlando delle tante tensioni che si leggono nella società odierna. E anche nella Chiesa.

Scarica qui il testo integrale, oppure continua a leggere.

 

Tempi difficili

di Mons. Fausto Tardelli

PISTOIA 7/9/2018 – «Quanta amarezza provo di questi tempi! Ormai son vecchio, eppure tempi così non mi ricordo di averne mai vissuti. Sarà pure che oggi veniamo rapidamente a conoscenza di molte cose come in passato non succedeva; sta di fatto che il quadro generale mi pare davvero preoccupante. Mi sembra di vedere un po’ dovunque la dignità umana calpestata senza ritegno; vedo corruzione, malaffare e falsità. Faccio fatica a scorgere un futuro bello e radioso. Anche a livello nazionale e locale, il clima a volte è pesante, sicuramente complice lo squinternato modo di comunicare e di reagire che è di oggi e che degenera in un battibecco infinito e in una ormai mal celata chiamata alle armi per bande contrapposte –… e ci si divide, ci si disprezza, ci si denigra… Che pena!

Ciò che però mi fa più male è la condizione della chiesa dei nostri tempi. Sia chiaro: io ritengo che la Chiesa di oggi sia di gran lunga migliore di quello che sembra o di come la si dipinge – basti pensare al numero di coraggiosi testimoni del vangelo che hanno perso tutto, persino la vita per Cristo, proprio in questi decenni. Ciononostante, mi rendo conto che c’è bisogno di una profonda conversione e di una rinnovata formazione cristiana, a partire da noi vescovi e preti, perché c’è sporcizia nella chiesa, c’è lassismo, mondanità, immoralità, adattamento alle convinzioni e agli usi del mondo, travisamento della fede trasmessa dagli apostoli e della morale cristiana, superficialità, indisciplina; c’è la nefandezza criminale della pedofilia e, cosa assai grave, mancanza di amore che veste i panni della calunnia, della maldicenza, del giudizio sommario e dell’invidia. Più che altro però, la crisi che viviamo è crisi di fede più che di morale; crisi di fede in Dio e in Gesù Cristo morto e risorto. Sento che la mia vita e la vita della chiesa deve convertirsi al Signore. La Chiesa si deve concentrare su Gesù Cristo che è il suo sposo e il suo Signore, accettando l’umiliazione di riconoscersi debole e peccatrice in tante sue membra ma anche annunciandolo senza vergogna come la Via, la Verità e la Vita. Solo così sarà luce e sale. Il problema principale della chiesa è la fedeltà al suo Signore, alla Verità fatta amore e all’amore reso autentico dalla Verità, non altro.

In mezzo a questa temperie, è necessario che il nostro cuore non sia turbato e che non cadiamo in tentazione. Gesù ci ha detto che per portare frutto, la vite deve essere potata. Credo che il nostro sia tempo di potatura. Che fa male, perché taglia, ma permette alla vite di fruttificare. Da questo punto di vista, i nostri giorni sono un momento di grazia che ci permette di dare testimonianza di fede autentica. “Non abbiate timore”, ripete il Signore risorto ai suoi tremanti apostoli, segnati anch’essi dal tradimento di quasi tutti. “Non abbiate paura, io ho vinto il mondo!” Su queste parole fondiamo dunque la nostra speranza e quindi la nostra gioia, anche di questi tempi.

Proprio quando il momento della prova si fa più stringente, diventa importante andare all’essenziale e ancorarsi fortemente ad alcune semplici ma fondamentali certezze. Indicarle, ritengo sia un mio compito di Vescovo perché il Popolo che il Signore mi ha affidato non abbia a smarrirsi.

La prima di queste certezze è che la chiesa non soccomberà agli assalti del mondo e del maligno. Sono sicuro che il maligno sia all’opera, pur se non è certo una novità perchè da sempre il diavolo odia la chiesa e i discepoli di Cristo. L’azione del maligno si muove sempre in due direzioni: seminare zizzania e spingere i discepoli di Cristo al tradimento. E noi, facilmente cadiamo nella trappola. Le conseguenze sono drammatiche, perchè la zizzania mette l’uno contro l’altro, crea sfiducia e sospetto reciproco, quindi blocca ogni cosa, mentre il tradimento di Cristo produce scoraggiamento, porta alla rabbia e alla violenza e infine alla distruzione della casa di Dio. La chiesa però è “indefettibile” per esplicita promessa del Signore. Se scompare da un luogo – e questo purtroppo può accadere – rinasce però in un altro. Lo Spirito santo non l’abbandona: le porte degli inferi non prevarranno contro di essa e sempre rifiorirà dalle sue ceneri, come l’araba fenice, perché Dio ha la capacità di trarre il bene addirittura dall’azione del maligno. Anche oggi, di questi tempi, nonostante le nefandezze di una parte del clero e i peccati di molti cristiani, la chiesa resta santa per la santità della Vergine Maria e di tutti coloro che hanno dato e continuano a dare la vita per Cristo e per i fratelli. Non dobbiamo dunque impressionarci, spaventarci, andare in confusione. Non bisogna farci saltare i nervi. E’ ciò a cui punta il maligno. Piuttosto dobbiamo mantenerci il più possibile saldi nella fede, impegnati nella carità e fiduciosi nella speranza, mentre infuria la tempesta, soffiano i venti e le onde paiono sommergere la barca di Pietro. A volte il Signore “dorme” sulla barca…. Sembra assente e che ci lasci in preda alle onde. “Non ti importa che siamo perduti?” Gridano gli apostoli… Ma Gesù, calmando le acque, amabilmente li rimproverò: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”

Una seconda fondamentale certezza su cui ancorarci è il Credo che professiamo, cioè la fede espressa e condensata nel credo. In tempi difficili, non c’è da inseguire le opinioni dell’uno o dell’altro. In tempi difficili si deve restare saldi sull’essenziale, in quella che è la “fede cattolica trasmessa dagli apostoli”, come si dice nel canone romano. Il Credo dunque, con tutti i suoi articoli. Il quale non è astrazione, non è teoria. La “Dottrina” della fede non è un’elucubrazione cervellotica; è invece vita; è Gesù Cristo stesso, espresso in parole umane. Ciò che si professa con la bocca e con la mente è la vita vissuta da Cristo e la vita della Trinità comunicata a noi. Il Credo esprime la fede cattolica alla quale dobbiamo restare fedeli. Come si dice nel rito del battesimo e della Cresima a conclusione delle promesse battesimali: “Questa è la nostra fede, questa è la fede della chiesa e noi ci gloriamo di professarla in Cristo Gesù.” Il Credo esprime la parola di Dio nella sua sostanza ed è la chiave interpretativa delle stesse Sacre Scritture che non bastano da sole a esprimere la Rivelazione di Dio: occorre infatti anche la tradizione vivente della chiesa che si è condensata, così possiamo dire, proprio nel simbolo apostolico o niceno-costantinopolitano. Strettamente unita alla professione di fede c’è poi la morale cristiana, basata sui comandamenti di Dio e sull’insegnamento degli apostoli, anch’esso trasmesso nella chiesa lungo i secoli; esplicitazione dell’unico e duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo, in specie del più povero e derelitto.

C’è cambiamento nella fede e nella morale lungo i secoli? Cambiamento no; non può esserci. Progresso, maggiore comprensione, precisazioni, esplicitazioni e correzione del tiro, si. Nel campo morale, ancor più che in quello della dottrina, com’è ovvio trattandosi di questioni legate strettamente ai mutevoli usi e costumi degli uomini. Sempre però in un processo di sviluppo e mai di cambiamento. Così come ciascuno di noi muta nel tempo, pur rimanendo sempre la stessa persona.

Teniamoci dunque stretti al Credo; ripetiamolo, impariamolo a memoria, approfondiamolo, preghiamolo; insieme ai comandamenti e agli insegnamenti morali degli apostoli, trasmessi nella tradizione della chiesa. Il magistero della chiesa dei nostri tempi, facendo tesoro del Concilio Vaticano II, ha spiegato il Credo e il contenuto della morale cristiana nel “Catechismo della chiesa cattolica”, unendovi anche una riflessione sui Sacramenti per la vita cristiana e sulla preghiera del Padre nostro; un grande dono dunque, questo libro, e uno strumento molto utile da tenere in grande considerazione.

Una terza fondamentale certezza che ci deve guidare in questi tempi è che il Papa è il successore di Pietro ed è anche, come diceva Santa Caterina, “il dolce Cristo in terra”. Nei suoi confronti ci vuole rispetto, amore e docilità. E’ sempre “infallibile”? No di certo. Solo in pochi casi si può parlare di infallibilità, quando cioè si pronuncia “ex cathedra”; in ogni caso però occorre ascoltare con molta attenzione il suo magistero e confrontarsi seriamente con esso. Lo si doveva fare ieri con S. Giovanni Paolo II e con Benedetto XVI; lo si deve fare oggi con Papa Francesco. Possiamo non condividere pienamente qualcosa; ci può piacere di più o di meno questo o quel Papa. Anche lui è prima di tutto un discepolo di Cristo e deve rispondere alla chiamata alla santità. Può essere persino manchevole in qualcosa – la storia ce lo insegna – eppure non perde mai le sue caratteristiche di Vicario di Cristo e a lui si devono comunque devozione, affetto e ascolto sincero. Siamo inoltre certi che egli non potrà mai insegnarci autorevolmente qualcosa che ci faccia deviare dagli insegnamenti di Cristo: lo Spirito Santo infatti l’assiste, aldilà dei suoi meriti personali. Nei suoi confronti non ci vuole certo servilismo nè adulazione, che sono atteggiamenti da cortigiani, non da fratelli e figli che gli vogliono veramente bene. Chi vuol essere cattolico però non può fare a meno del Papa e non può non pregare per lui: “Dominus conservet eum et vivificet eum et beatum faciat eum in terra e non tradat eum in animam inimicorum eius.” “Il Signore lo conservi, Gli doni vita e salute, lo renda felice sulla terra e Lo preservi da ogni male. Amen.”

Ultima fondamentale certezza da custodire gelosamente in tempi di crisi è la presenza accanto a noi della Vergine Maria. La nostra madre celeste ci è stata affidata da Gesù ai piedi della croce, nel momento supremo del suo totale dono di sé. E’ stata affidata a noi e noi siamo stati affidati a lei e lei, lungo tutti i secoli è sempre venuta in soccorso a noi nelle nostre necessità. In ogni luogo della terra possiamo dire, in ogni chiesa e angolo di strada, si trova una sua immagine, un suo ricordo. “Prega per noi peccatori”: è il grido che si leva dai cuori in tempesta e angosciati per il male. Lei è l’esempio fulgido della fede. L’immagine candida di un mondo senza peccato. Lei ha vinto la corruzione e la morte, prima creatura ad essere totalmente redenta dall’amore di Cristo. Lei è la chiesa; l’immagine della chiesa; essa stessa chiesa nel vero senso della parola e insieme a tutti i beati e i santi, corona di gloria alla Trinità, abitando già il mondo che verrà e verso il quale siamo in cammino. Rimanere attaccati a Maria è salvaguardia della fede, custodia della vita cristiana, consolazione nella burrasca, guida nel cammino. E’ la stella che guida il nocchiero, cantava un antico inno popolare. Stare attaccati a lei non ci porterà mai fuori strada. Preghiamola dunque con fiducia, con la dolce preghiera del rosario e come ci insegna a fare un’antichissima e bellissima invocazione: “Sub tuum praesidium confugimus, Sancta Dei Genetrix. Nostras deprecationes ne despicias in necessitatibus, sed a periculis cunctis libera nos semper, Virgo gloriosa et benedicta.” “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta.”

Indefettibilità della Chiesa, perennità del Credo degli apostoli, carisma petrino del Papa e presenza materna della Madonna, sono dunque le quattro certezze che ancorano in sicurezza la nostra vita, anche in questi tempi difficili. Rinsaldati in esse e affidandoci con fiducia al Signore, possiamo allora affrontare la realtà del mondo nel quale viviamo, senza scoraggiarci. Potremo allora essere per chi lo vorrà, lievito e fermento, sale e luce, pur consapevoli di tutti i nostri limiti e peccati. Potremo essere davvero una “chiesa in uscita”; non solo un ospedale da campo ma persino una forza di pace che edifica il Regno di Dio nella mischia del mondo. Sperimentando nella propria debolezza la serena e beatificante “gioia del vangelo”».

+Fausto Tardelli




“Ripartire dalle parrocchie e da una comunità fraterna e missionaria”

In occasione della solennità di San Jacopo il Vescovo Fausto ha consegnato alla diocesi la lettera di indicazioni per l’anno pastorale 2018/2019. “Una comunità fraterna e missionaria” è il titolo della missiva alle componenti della chiesa di Pistoia che chiude il piano triennale pastorale incentrato sul discernimento personale e comunitario di un trittico di tematiche, iniziato nel 2016 – 2017 con “l’anno del Padre” e proseguito quest’anno con “l’anno dei poveri”.

Nella lettera pastorale il vescovo tratta molti punti: dal bisogno, avvertito da tutti, di ritrovare relazioni vere e sincere in antitesi rispetto alla solitudine crescente, al bisogno di comunione, di pace e unità, anche nella comunità dei battezzati, ponendo al centro della riflessione il tema della comunità di base, ovvero la parrocchia.

Afferma mons. Tardelli: «Come non vedere nel disperato bisogno di riconoscimento e di relazioni sincere e autentiche che è presente nella nostra società uno dei principali ‘segni dei tempi’? In quella tragica contraddizione cioè, di un mondo sempre più globale e in rete eppure sempre più colmo di solitudini? La solitudine è lo spettro che si aggira nelle nostre contrade e città. Una popolazione sempre più anziana ne rimane facilmente vittima. Non è meno vero per le generazioni più giovani. Persino tra i ragazzi e gli adolescenti la solitudine miete vittime. Una solitudine che è causa di molti mali, spesso anche del diffuso disagio economico. A sua volta ne è anche conseguenza, in una specie di circolo vizioso che intristisce l’anima e la vita. La solitudine non si vince però con la confusione e l’affollamento. I famosi “non luoghi” di Marc Augè sono pieni di gente che va e che viene ma che non si incontra. Sono invece le relazioni umane autentiche, l’accoglienza e il sorriso, la mano tesa e gli occhi che si incrociano, l’apertura del cuore e la disponibilità all’amicizia che rompono la solitudine». «Di qui l’urgenza – continua Tardelli –  di riscoprire e ritrovare il conforto di una comunità veramente fraterna (Gv 13,34; Gv 20,17), la profezia di cuori che si uniscono nella diversità (At 4,32), “l’oasi della misericordia” che è la comunità cristiana, dove si possa dire con il salmo 133: «Ecco come è bello e com’è dolce, che i fratelli vivano insieme!». 

«La comunità cristiana, la parrocchia – afferma il vescovo – sia per tutti i suoi membri l’occasione di sperimentare la comunione che caratterizza il Popolo di Dio in cammino nella storia. Una comunione fatta di amicizia e di relazioni buone. Anche conflittuali a volte, perché sincere, ma sempre positive. E per essere questo, ogni parrocchia deve mettere al suo centro Gesù Cristo e una scuola permanente di formazione alla vita nuova in Cristo secondo lo Spirito. Se si cercasse di edificare la vita comunitaria soltanto con iniziative di socializzazione umana sbaglieremmo, perché la comunità cristiana si edifica nell’amore, ma a partire dall’Eucaristia e dalla Parola viva di Cristo che trasforma e forma i cuori. Da questo incontro nasce la festa e la gioia del ritrovarsi».

Il vescovo, nella seconda parte della lettera,  propone alcuni spunti e indicazioni operative: dal riordino e al ripensamento della struttura e al numero parrocchie, alla presenza e riscoperta delle feste e delle tradizioni religiose diocesane e parrocchiali, alla valorizzazione dei “gruppi di Vangelo, alla sinodalità come strumento per una vera riforma della chiesa, al ruolo della formazione, alla valorizzazione del laicato e dei diaconi permanenti.

In ultimo mons. Vescovo richiama la questione dei giovani, con la quale chiude la indicazioni pastorali definito: «vero nervo scoperto della nostra Chiesa in questo momento».«Lo vado constatando nella mia visita pastorale – scrive Tardelli – la stessa Chiesa universale ha messo all’ordine del giorno i giovani. Ci vuole dunque ascolto e impegno nei confronti degli adolescenti e dei giovani, anche in chiave vocazionale sulla scia del Sinodo dei vescovi che il Santo Padre Francesco ha indetto per l’ottobre 2018».«Abbiamo troppo paura dei giovani -lasciatemelo dire-, mentre è giunto il momento di mettere nelle loro mani la Chiesa, le nostre parrocchie, con fiducia e speranza. Essi hanno prospettive diverse dalle nostre e forse preoccupazioni che non sempre comprendiamo, ma forse, come insegna San Benedetto nella sua famosa regola, al cap. III, essi possono insegnarci molto: «Ogni volta che in monastero bisogna trattare qualche questione importante, l’abate convochi tutta la comunità ed esponga personalmente l’affare in oggetto. Poi, dopo aver ascoltato il parere dei monaci, ci rifletta per proprio conto e faccia quel che gli sembra più opportuno. Ma abbiamo detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore». L’attenzione al mondo giovanile poi, è bene che si specifichi con proposte adeguate all’ accompagnamento degli adolescenti con percorsi ante e post Cresima; dei giovani più grandi e infine delle giovani coppie o famiglie».

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Catechisti in parrocchia: una missione possibile e bella

di Fausto Tardelli, vescovo

In tutte le parrocchie sta finendo l’anno catechistico. Un anno di impegno e di cammino iniziato nel settembre ottobre scorso. Vorrei ringraziare di vero cuore tutti quei laici, in gran parte donne, adulti e giovani che donano il loro tempo con generosità per far crescere nella fede i ragazzi loro affidati. Questi catechisti meritano davvero la riconoscenza di tutta la Chiesa. La fatica è tanta, credo però sia tanta anche la soddisfazione di collaborare alla diffusione del Regno di Dio, aiutando le giovani generazioni ad incontrare il Signore.

L’occasione mi da modo di richiamare tre punti essenziali della catechesi. Non fa male ricordarli proprio al termine dell’anno catechistico e quando già ci si orienta al prossimo.

Il primo obiettivo non può mai essere dimenticato:tutta la comunità è chiamata a aiutare i ragazzi a incontrare il Signore, perché rimangano affascinati da Lui e imparino a vivere con Lui, per Lui e in Lui. Già lo diceva il documento base del rinnovamento della catechesi in Italiana, tanti anni fa, nel 1970: «la catechesi promuove itinerari per una crescita permanente del cristiano, dall’infanzia all’età adulta, avendo come fine l’acquisizione di una mentalità di fede… Cioè educare al pensiero di Cristo, a vedere la storia come Lui, a giudicare la vita come Lui, a scegliere e ad amare come Lui, a sperare come insegna Lui, a vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo». Sono passati molti anni da allora e la situazione è un po’ cambiata. Oggi occorre dare un taglio nuovo alla catechesi: quello kerigmatico. In poche parole, non si può più dare per scontata la fede nei ragazzi e nelle famiglie. Quindi oggi c’è bisogno anche del “primo annuncio”, in modo che la novità di Gesù morto e risorto e del suo Regno d’amore, risuoni nel cuore dei ragazzi e dei genitori.

Il secondo punto importate per la catechesi è la comunità cristiana. Punto dolente ma irrinunciabile. Gli “Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia” dati dai vescovi italiani nel 2014, dal significativo titolo “Incontriamo Gesù”, affermano: «La Chiesa nel suo insieme, e i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza. Di qui l’impegno a far sorgere e vivere comunità cristiane che facciano della loro esperienza del Dio trinitario il centro del proprio esistere».

Infine il linguaggio. Terzo punto necessario per la catechesi. Cito il documento base senza commentarlo perché non ce n’è bisogno: «la catechesi dovrà servirsi di un linguaggio, che corrisponda alla cultura odierna e sappia far comprendere la Rivelazione agli uomini di oggi. E tale adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere legge di ogni evangelizzazione. La preoccupazione di un linguaggio adatto alla mentalità contemporanea deve essere presente nell’elaborazione dei catechismi, dei testi didattici e più ancora nella catechesi viva».